Stefania Gagliardini, Spazi, gallerie, azioni e contesti di ricerca a Roma negli anni Ottanta.
La tesi si articola in quattro capitoli, a cui si aggiungono l'Introduzione, gli Apparati, le immagini, la Bibliografia e la Conclusione. Il primo capitolo offre una mappatura cronologica della situazione capitolina, delineata anche attraverso l'analisi di alcune rassegne nazionali in cui è presente la componente romana. Mostre che però non tengono conto della frantumazione linguistica, seguita alla crisi del concettualismo. Infatti alla forte carica di rinnovamento si contrappone l’esigenza selettiva del mercato, che non riesce a «sostenere la babele linguistica». Di conseguenza le rassegne degli anni Ottanta si concentrano sulle pratiche artistiche tradizionali, ben assestate nel sistema dell'arte. Il ritorno alla pittura, tuttavia, non costituisce una automatica accettazione delle regole economiche, come dimostrano i Trattisti, che preferiscono le piazze agli studi e alle gallerie. Si è inoltre accennato a tre gruppi antagonisti alle logiche di mercato - eventualisti, piombinesi e astratto poveristi - prendendo in esame un evento che li coinvolge tutti, la mostra-dibattito Nuove avanguardie a Roma, organizzata presso il Centro Studi Jartrakor.
Nel secondo capitolo la dissertazione sulle mostre di ricognizione, romane e nazionali, è stata anche occasione per seguire il dibattito sul cambiamento dell'approccio ermeneutico, approfondito dalle mostre-convegno organizzate dai critici della nuova generazione. L'esigenza di ridefinire la funzione del critico e dell'artista ha determinato la nascita di periodici autoprodotti, in cui le due figure depongono le rispettive diffidenze per impegnarsi nel rinnovamento del sistema dell'arte: «Aut.Trib.17139», «891», «Opening» e «Arte Argomenti».
Tutte queste pubblicazioni manifestano l’esigenza di rompere la catena artista-critico-gallerista e comunicare in modo schietto con il lettore. Si entra poi, con il terzo capitolo, nel merito della ricostruzione cronologica delle attività degli spazi autogestiti a Roma tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta, di cui la storiografia fa scarsa menzione. Per La Stanza e Sant'Agata de' Goti gli unici studi sono quelli pubblicati da Daniela Lancioni19 nel corso delle sue ricerche sugli anni Settanta, oltre a qualche accenno sulla recente pubblicazione del CRDAV Spazi d'arte20. Non è stato compiuto però uno studio complessivo che renda giustizia alle sperimentazioni attuate in questi laboratori di ricerca, tanto incisivi per il passaggio dalle istanze concettuali al ritorno alla pittura. La dissertazione è stata anche occasione per documentare il clima in cui hanno operato gli artisti, per delineare i loro interessi, che coinvolgono teatro, poesia, e musica. Si è inteso inoltre sottolineare la distinzione tra gli artisti di Sant'Agata e quelli che da questo spazio si trasferiscono al civico 21 della stessa via, Antonio Capaccio e Mariano Rossano, artisti promotori, insieme a Gianni Asdrubali, dell'Astrazione povera. Proprio in questo spazio nasce l'idea di aprire gli studi al pubblico21, con un certo anticipo rispetto alla più conosciuta mostra Extemporanea22 all'Attico. Nel clima settario e un po' utopistico degli anni Settanta nasce anche il Centro Studi Jartrakor, le cui ricerche proseguono per un decennio nella totale auto-emarginazione23. Proprio a partire da quelle premesse si originano le sperimentazioni messe in campo da Domenico Nardone e Daniela De Dominicis a Lascala, spazio interessato a portare l'oggetto-stimolo eventualista nel tessuto urbano.
Il quarto capitolo è invece dedicato agli spazi no-profit, le cui esposizioni sono state analizzate in ordine cronologico. All'interno di questa prassi acquistano un significato importante iniziative come quelle promosse da diverse gallerie, interessate maggiormente a sostenere una linea di ricerca che a vendere le opere: Alice, Il Campo, Arco di Rab, Speradisole, Break Club, OACF58. Pur essendo formalmente spazi autogestiti, L'Alzaia e il Lavatoio contumaciale sono stati inseriti in questa sezione. Sotto la guida di Rossi Lecce, negli anni Ottanta, L'Alzaia infatti smette progressivamente di essere un laboratorio permanente inserito nel territorio e si configura come un centro attivo all'interno di mostre istituzionali di grande rilevanza mediatica. Il Lavatoio, invece, nonostante fosse un'associazione al femminile, legalmente costituita, è stato diretto unilateralmente da Bianca Pucciarelli. Inoltre lo spazio non ha mai raccolto artisti intenti a portare avanti una ricerca comune. Di altra natura è Underwood, un'associazione culturale avviata dai fratelli Fabrizio e Francesco Carbone, artista e giornalista l'uno, fotografo l'altro. Con l'obiettivo di dare dimora a tutte quelle ricerche che crescevano "nel sottobosco", la galleria ha accolto presenze internazionali eterogenee, insieme agli artisti della rivista «891». Ci è sembrato interessante inoltre ricostruire la storia dell'Arco di Rab, unica associazione improntata ad accogliere tutte le componenti del sistema dell'arte (artisti, galleristi, critici, collezionisti, intellettuali esperti in vari campi, semplici fruitori), in una location innovativa, simile a un loft newyorkese, che permette alle opere di dialogare con lo spazio industriale che le ospita. La galleria è tra le prime, insieme a Speradisole, al Break club e alla galleria Stefania Miscetti, ad accettare quel processo di decentramento dell'arte, che dal centro storico si sposta in zone più periferiche.
Le note conclusive si propongono di tirare le fila dell'indagine effettuata, suggerendo possibili percorsi interpretativi. Gli apparati contengono soprattutto le interviste agli artisti, ai quali questo lavoro dà una certa centralità, nell'intento di capovolgere l'idea tradizionale dell'artista ispirato, che necessita del critico per dare significato all'opera. Non si vuole ridurre assolutamente al silenzio la critica, ma far emergere le voci di chi spesso resta muto. Si è scelto di far parlare direttamente i protagonisti che in quegli anni sono stati parte attiva negli spazi di ricerca, svolgendo il ruolo di critici, galleristi e direttori di riviste autoprodotte. Le numerose testimonianze degli attori principali, non tutte confluite in appendice, hanno permesso in parte di colmare le lacune documentarie. L'apparato iconografico a corredo del testo è stato fornito dai diretti interessati ed è in gran parte inedito, dunque costituisce un prezioso strumento di documentazione. Il testo si conclude con la bibliografia generale e specifica di riferimento, articolata al suo interno, anche per spazio espositivo.