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giovedì 26 settembre 2024

Trilogia di una città sconosciuta di Domenico Nardone

 Trilogia di una città sconosciuta

di Domenico Nardone


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Questo di Domenico Nardone, assai meglio d’ogni romanzo non necessario, può essere definito, prendendo in prestito un’espressione propria della tradizione narrativa letteraria, un esempio di imperdibile “catasto magico”, in quanto racchiude, custodisce e immagazzina, illimitatamente, con lo stesso puntiglio di un collezionista di memorabilia, l’intero scibile (o quasi) della nostra storia recente e trascorsa. Un po’ come accade con il mondo animale al Museo Civico di Zoologia se s’apre su via Aldrovandi, non lontano da via Paisiello, dominio dei Parioli e del quartiere Salario, la stessa strada che all’alba del 3 febbraio 1960 conobbe la morte di Fred Buscaglione, la sua Ford “Thunderbird” coupé modello 1959 rosa a schiantarsi…
Un volo narrativo radente sull’Urbe. Mitologia, anagrafe, catalogazione, una scia memoriale, topografia residenziale romana, puntiglio da coroner, sorta di “Guida Monaci” della città dei pittori, delle figure oscure e dei semplici astanti davanti alla fermata del 628 (per tutti, a Roma, inspiegabilmente, il “sei e ventotto”). Poi Giorgio De Chirico accanto alla Tomba di Cecilia Metella, e perfino il profilo dell’imperatore Commodo.
Un romanzo “topografico” che lascia intravedere addirittura l’ingresso, era il 4 giugno del 1944, delle truppe Alleate del generale Clark e la sua jeep, precisando che non entrarono dall’Appia, semmai dalla Casilina, costeggiando la borgata del Pigneto dirigendosi verso Porta Maggiore dov’è la Tomba del Fornaio, ciò che nel tempo sarebbe divenuto simbolo di gentrificazione cittadina; le ceneri e la poltiglia non meno memoriale del film “Accattone”, lì girato.
Un “prontuario” di storia dell’arte, del vivente e insieme una mappa di ciò che Roma è stata, dove perfino l’Hemingway, trascorso locale capitolino di via delle Coppelle figura nel racconto, insieme al ricordo dei suoi residenti notturni, l’artista Gino De Dominicis fra loro.
Diversamente da molta letteratura da “truccabimbi”, il romanzo di Nardone brilla invece come un “baedecker” storico, cronistico, esistenziale, restituendo perfino memoria del “Rugantino”, il locale di viale Trastevere, già viale del Re, dove “nasce” la dolce vita, trasfigurato poi in affollato McDonald’s e infine, adesso, agenzia di banca.
Per chi non ne fosse al corrente, anche il pittore Mario Schifano affermava che la luna non sarebbe mai stata sfiorata dal Lem dell’Apollo 11, semmai una semplice messa in scena degli studios di Hollywood.
E molte altre cose e memorabilia ancora nel nostro romanzo-faldone-museo, compresa la citazione del night “Il Pipistrello”, le sue luci non meno lunari, se non da pianeta rosso, spettrografia d’ogni possibile suggestione sessuale.
Questo di Domenico Nardone, va divorato allo stesso modo del libro ormai introvabile su Eugenio Cefis, pagine “nere” che avrebbero suggerito a Pier Paolo Pasolini il romanzo incompiuto postumo “Petrolio”. Grazie a lui, la “città”, ci appare infine svelata.

Fulvio Abbate