Visualizzazioni totali

giovedì 6 febbraio 2020

Alessandra Pioselli, La partecipazione involontaria. Inizi e lasciti del Gruppo di Piombino.

La partecipazione involontaria. Inizi e lasciti del Gruppo di Piombino
di Alessandra Pioselli
 
Relazione per il convegno “L'Arte Relazionale prima di Nicolas Bourriaud. Gli anni '80 e '90 in Italia: Gruppo di Piombino – Progetto Oreste -Stalker”, Macro Asilo, Roma 16 marzo 2019.
Pubblicato negli Atti del Convegno, a cura di Francesca Franco, Macro Asilo Diario, fasc. 16/03, Roma 2019.


«Negli anni sessanta e settanta chi puntava su elementi di partecipazione e sugli aspetti cognitivi dell’opera lo faceva per mutare il contesto: Falci, Modica, Pietroiusti e Fontana si accontentano di rilevarlo»1. Nonostante il “coinvolgimento delle persone” rimanga focale nella genesi del lavoro dei Piombinesi, per comprendere la misura di tale distanza tra le pratiche artistiche nella stagione della “partecipazione popolare” e l’approccio dei quattro artisti, che si presentano per la prima volta assieme come gruppo nel 19872, bisogna fare un passo indietro fino alla realizzazione della prima e unica opera collettiva di Salvatore Falci, Stefano Fontana e Pino Modica. Si tratta delle cinque sedie di colori diversi collocate in strada a Populonia nel 1983, con un cartello che ne indica l’uso, Sosta 15 minuti, e portate abusivamente l’anno dopo alla Biennale di Venezia, nei giardini. Nell’autunno del 1984 alla galleria Lascala di Roma, aperta da Domenico Nardone con Daniela De Dominicis e Antonio Lombardi, le sedie sono esposte assieme a grafici statistici sul genere e il numero di persone che le hanno utilizzate in base al colore. Come le sedie, anche gli oggetti d’uso comune alla base di altre opere come i Contenitori ideologici (1985) di Fontana, il Rilevatore estetico (1985) di Modica o di Itaj-Doshin (1984-85) di Falci,3 dichiarano una funzione quotidiana. Le persone li adoperano con facilità senza avere del tutto contezza, tuttavia, che questi oggetti possiedono una “doppia personalità”, come scrive Nardone4. Per quanto quotidiani, essi servono a stimolare e a registrare gesti spesso involontari, comportamenti inconsapevolmente creativi compiuti dalle persone. Nardone innesta sulla storia dei Piombinesi l’esperienza del Centro Studi Jartrakor da cui si distacca nel 1983, ritenendo che “la produzione di eventi” andasse testata in contesti fuori dalla galleria e con pubblici non allertati5. Nardone legge nel lavoro di Falci, Modica e Fontana, la possibilità di trasferire il discorso in una dimensione più aperta e urbana. L’esperienza di Jarkatror è condivisa da Cesare Pietrouisti.6 Con N Titoli (1987), l’artista si sposta fuori dal contesto della galleria con una processualità vicina a quella dei tre Piombinesi: nel bar Il desiderio preso per la coda di Roma, dove Nardone trasferisce l’attività espositiva alla fine del 1985, l’artista lascia sui tavolini tovagliette di carta per poi esporle come erano state scribacchiate dagli avventori. Se le differenze tra i quattro Piombinesi non sono affrontabili in questo breve testo, sia sufficiente considerare che nelle operazioni di questo breve giro d’anni la partecipazione delle persone avviene involontariamente. L’involontarietà garantisce che il gesto sia spontaneo. L’artista registra. L’opera è concepita come un esperimento, la cui efficacia è pertanto «verificabile, analogamente a quanto avviene per le ipotesi scientifiche, attraverso specifiche procedure»7. Le operazioni sociali degli anni settanta rimanevano spesso fuori dalla cornice espositiva e perseguivano una partecipazione consapevole, con finalità spesso pedagogiche o politiche: le energie che si sarebbero liberate coscientemente avrebbero trasformato l’individuo riverberando sul corpo sociale, con prospettive di cambiamento. Le azioni mimetiche dei Piombinesi puntano a rilevare dati più che proporre mutamenti sociali: annotano comportamenti, sollecitano meccanismi non volontari, slittamenti della coscienza. «La trasformazione dell’esperienza quotidiana […] è ottenuta a mezzo di strategie morbide» e la “modificazione subliminale” è preferita al modello dell’agit-prop, chiarisce Nardone8. Per il critico l’arte conserva una funzione sociale nel provocare «trasformazioni in ambiti volutamente circoscritti e locali dell’esperienza»9. Il soggetto sostituisce la classe sociale, la valenza psicologica quella sociologica. Enrico Crispolti lo nota prontamente nel 1985, cogliendo l’ “azione partecipata” di Falci, Fontana e Modica in un momento in cui l’attenzione per questo tipo di operatività cooperativa è del tutto storicamente calato, sottolineando che nel caso dei tre autori “la partecipazione è comportamento, psicologica”10.

I Piombinesi calibrano la distanza anche dalle coeve tendenze neo-espressioniste, post-astrattiste e citazioniste che postulano in vari modi, tra gli altri aspetti, il ritorno all’immagine. Falci ricorda il bisogno di andare nella direzione contraria all’affermazione dell’autorialità dell’artista, identificata nei cosiddetti “ritorni alla pittura”, verso una dimensione più aperta e non competitiva, verso l’altro11. Pietroiusti domanda come misurarsi con i ritorni all’immagine pittorica12. Gli artisti del Gruppo di Piombino non rinunciano all’immagine ma provano che può essere il risultato della gestualità quotidiana. La processualità diventa di nuovo centrale. Le operazioni dei Piombinesi si svolgono in luoghi extra-artistici. In galleria si verificano i dati ottenuti e i materiali manipolati dalle persone. L’artista è artefice del prelievo del dato. Falci lo chiama ready-made esperienziale13. L’opera è frutto di una serie di parametri e il caso gioca un ruolo rilevante. La matrice è nel Situazionismo e altrettanto nelle pratiche concettuali. Questo modo di procedere torna a mettere in dubbio lo statuto dell’autore, dell’opera e della cornice espositiva, come fa Sosta 15 minuti, operazione “illecita” all’interno della cornice istituzionale. Alla metà degli anni ottanta sono diverse le voci che si allontanano dai postmodernismi pittorici e affini. Tra il 1985 e il 1988 diventa più evidente. Nardone difende il progetto moderno dell’avanguardia: una presa di posizione militante sul ruolo dell’opera e dell’autore contraria alle formulazioni citazioniste e transavanguardiste, che si esercita attraverso una strategia di coesione tra artisti, critico e gallerista. Gli artisti del Gruppo di Piombino partono a una data precoce e con le peculiarità di cui si è detto. Nella prima metà degli anni ottanta essi sono tra i pochi, se non gli unici, a testare in modo programmatico la pratica nello spazio urbano. Il lascito dell’esperienza dei Piombinesi sta nel considerare l’artista colui che sollecita comportamenti prima che produrre oggetti e l’opera un processo relazionale, nella messa in crisi dell’autosufficienza dell’opera, nella creazione di micro-situazioni, nel valore dato agli elementi del vissuto e del quotidiano. La dimensione relazionale delle pratiche diventa evidente in Italia tra gli ultimi anni ottanta e la prima metà dei novanta, ma la definizione di “arte relazionale” non tiene conto della pluralità delle interpretazioni. Le esperienze italiane esprimono, oltre a ciò, caratteristiche distintive rispetto alla nota argomentazione di Nicolas Bourriaud14. Ancora la “relazionalità” diventa qualcosa di diverso rispetto alla visione del Gruppo di Piombino. Comunque, non si sentirà più la necessità di ribadire la distanza dagli anni settanta.


Note
1 A. Vettese, Falci, Fontana, Modica, Pietroiusti, in “Flash Art”, Milano, n. 188, gennaio-febbraio 1988, recensione della prima collettiva dei quattro artisti in galleria presso lo Studio Casoli e Il Milione di Milano.

2 Pietroiusti si unisce a Falci, Fontana e Modica nel 1987, in occasione della mostra presso lo stand di Sergio Casoli alla II Internazionale d’Arte Contemporanea di Milano, quando i quattro artisti sono presentati per la prima volta come Gruppo di Piombino.

3 Nel 1985 Nardone propone le prime mostre personali in galleria dei tre di Piombino, con questi lavori.

4 D. Nardone, Ritorno a Piombino (Roma, Galleria Primo Piano, gennaio-febbraio 1999), Galleria Primo Piano, Roma 1999, s.p.

5 Il Centro Studi Jarkator è fondato da Sergio Lombardo a Roma nel 1977 con l’aiuto di Cesare Pietroiusti e di Anna Homberg. Lombardo fissa i principi dell’Eventualismo cui Nardone dà un fondamentale apporto sulle pagine della Rivista di Psicologia dell’Arte, dopo aver avvicinato il Centro nel 1979.

6 Cesare Pietroiusti vi partecipa fino al 1985.

7 D. Nardone, Ritorno a Piombino, op. cit., s.p.

8 D. Nardone (a cura di), Salvatore Falci Stefano Fontana Pino Modica Cesare Pietroiusti (Firenze, Galleria Vivita - Milano,  Studio Casoli, 6 febbraio - 2 aprile 1988), Galleria Vivita-Studio Casoli, Firenze-Milano 1988, p. 8.

9 Ivi, p. 9.

10 E. Crispolti (a cura di), Una nuovissima generazione nell’arte italiana (Siena, Fortezza Medicea, agosto 1985), Edizioni Periccioli, Siena 1985, s.p. Crispolti avvertì la necessità di creare in mostra la sezione Azione partecipata apposta per i tre artisti.

11 Salvatore Falci, testimonianza rilasciata a chi scrive, 2013, in A. Pioselli, L’arte nello spazio urbano. L’esperienza italiana dal 1968 a oggi, Johan&Levi, Monza 2015, p. 106.

12 Pietroiusti, testimonianza rilasciata a chi scrive, 2013.

13 Falci, testimonianza rilasciata a chi scrive, 2013, in A. Pioselli, op. cit., p. 109.

14 N. Bourriaud, Esthétique relationnelle, Les presses du réel, Paris 1998.


Nessun commento:

Posta un commento