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mercoledì 6 giugno 2012

L’attività di critico e teorico dell’arte di Domenico Nardone


L’attività di critico e teorico dell’arte di Domenico Nardone
di Filadelfo Anzalone*

Il mio contributo e la mia testimonianza sono cose non richieste, forse non gradite ma il pensiero non lo puoi fermare non lo puoi recintare. Siamo figli di Renato Curcio e dell’idea rousseauiana di parlare con il cuore e Nardone è figlio dell’Illuminismo e della grande rivoluzione a cui faremo riferimento. Siamo scampati alla ghigliottina che Nardone ha montato dichiarandoci controrivoluzionari e poi malati mentali. L’illuminismo porta anche all’occhio asciutto alla clinica e difatti il nostro è uno psichiatra come formazione culturale. Il nostro contributo: quello del giacobino Domenico Nardone nel compito di teorico di un gruppo di validi artisti di ricerca si è assolto con un mandato imperativo. Questa concezione della rappresentatività come rispecchiamento di un gruppo e delega la concezione liberale non l’accetta. Faccio l’esempio di Burke critico della rivoluzione francese e della celeberrima lettera agli elettori di Bristol. Da parte del parlamentare l’autonomia del mandato il non accesso degli elettori nei confronti dei rappresentanti vuole che il politico - il critico d’arte - non rappresenti le istanze di un gruppo di un ceto ma dell’intera nazione. Nella nostra costituzione non c’è vincolo di mandato anche se poi il parlamentare riceve un mandato imperativo dall’iscrizione al gruppo parlamentare. In questi termini quella capeggiata da Domenico Nardone è stata l’unica ed ultima avanguardia. Comportando la soppressione di chi non vi aderiva, il potere di una parte così avvertito poi nell’antropologia pessimistica dei federalisti americani. Toccò al grandissimo Lenin dirci che la democrazia cosiddetta è l’involucro dello sfruttamento e nasconde il potere della borghesia sul proletariato. Nardone vorremmo fosse conosciuto dal filosofo Costanzo Preve, nella sua idea da me non seguita, e lo prendo con le pinze, della fine della dicotomia destra sinistra. Nardone è un rivoluzionario di quella destra che negli anni ottanta avrebbe rimandato lo scontro con i rossi all’indomani della rivoluzione. Mi faccio carico di questa osservazioni non tranquille forse scomode. Io ho conosciuto questa avanguardia di Piombino da ragazzo e non posso tacere il merito. Segnalo a quella decina di lettori del mio blog l’operaAzione per Roma del gruppo disordinazioni a cui il nostro teorico si è messo a fianco con un mandato imperativo di rappresentarne le autentiche istanze; senza quell’autonomia del mandato che poi i sedicenti critici, che tutto accomunano facendone una professione redditizia porta a scrivere cose che strumentalizzano l’opera altrui. Questi artisti che sono il gruppo – disordinazioni - hanno affisso foto su carta di finestre, io lo chiamo tromp d’oeil. Nella mia oscurità voglio far conoscere ciò. La continuità teorica con il gruppo dei piombinesi e con l’arte concettuale porta Nardone a delineare la sua lucida e precisa teoria, non distraendoci da altre letture, divagazioni, che ci collegano alla storia dell’arte. Il momento analitico e politico domina l’operazione ai confini con il ghetto dell’arte. Un'arte rivoluzionaria come per precisione e correttezza rivela Nardone fosse quella dell’Ufficio dell’immaginazione preventiva di Benveduti, Catalano, Falasca. Amici compagni, in quegli anni settanta che sono finiti con l’impero di Bonito Oliva, una restaurazione che ha mantenuto qualche tratto repubblicano, loro erano Babeuf. Domenico Nardone è stato Roberspierre ed è stato anche lui ghigliottinato. Lo stato d’Israele è uno stato terrorista, che uccide donne e bambini, non rispetta il diritto internazionale segrega e decima il popolo palestinese. Non sono sulle posizioni di Preve ma tra Nardone ed un sionista preferisco Nardone.Un ricordo dello scritto di sua sorella Flaminia mi resta, parlava del metodo in arte lucidamente. Domenica sportiva, l’altra domenica, finalmente domenica, buona domenica. Sono fratello e sorella e ci tocca l’affetto e la simpatia da contagio se prendi l’una ti tocca l’altro il fratello.Io non aderisco alla continuazione dell’arte non me ne interesso e basta, forse nemmeno sò. Credo che l’autonomia del mandato porti il critico all’ecumenismo a mostre che sono appalti pubblici con i nostri soldi. L’arte non ha più rapporto con la teoria e vengono pratiche in sudditanza della parola dei cosiddetti critici. Non vi abbraccio sarò sempre non capito farete finta di non capirmi. Non è semplice passare dalla radicalità del terrore di Nardone alla diplomazia di Cesare Pietroiusti preferisco Nardone.Credo che i migliori lavori del Pietroiusti siano nati dal legame con il Nardone .Critico e teorico di scelte, veramente critico nella decisione di fare lui stesso il gallerista. Se la critica d’arte non è militante non fa la scelta di stare da una parte e non cambia le cose. La critica d’arte è un genere letterario, non lo pratico, una professione redditizia per alcuni in ambiti di potere e micropotere. Bonito Oliva è venuto dopo la rivoluzione francese il suo impero oggi è tracimato non saprei aggiungere altro a questa testimonianza.Viva Roma viva la Repubblica romana rimandiamo il papa a Gaeta questo da noi fù conseguenza ed eredità dei francesi eppure furono gli stessi francesi a tradirci. Io sono ateo ed anticlericale ma da comunista ricordo che quella grande rivoluzione è stata una rivoluzione borghese. Del resto il nostro è lui stesso un borghese che sta facendo una seria autocritica anomalo nel mondo dell’arte di cui è un eccezione, che gli vada riconosciuto.La verità è sempre rivoluzionaria.

*  Filadelfo Anzalone (il nome è ovviamente uno pseudonimo ma, per quanto mi perseguiti praticamente da sempre, non ho mai conosciuto il suo vero nome) non è certo un mio estimatore e ciclicamente mi ricorda in un modo o nell'altro la sua presenza di corvo appollaiato appena al di sopra della mia spalla destra. Per solito i suoi testi sono infestati dai fantasmi che si riverberano sull'orizzonte del delirio, ingorgati e appesantiti da immagini e citazioni e riferimenti che si affastellano confusamente nel deragliare del piano di realtà. Nondimeno, in questo caso, c'è qualcosa in quanto scrive che mi colpisce, come se dietro la sua scorza di livore intravedessi il modo in cui davvero mi piacerebbe rimanesse e fosse letta l'esperienza del gruppo di Piombino. Ma forse – come direbbe lui – non sono che un intellettuale borghese, che ha letto il Malaparte della Technique ed è rimasto folgorato dalla figura di Pëtr Verchovenskij. In ogni caso pubblico il suo testo integralmente, magari nel far questo deludendolo, ma – sempre come direbbe lui – alla fine, se proprio devo scegliere, tra Boresta e Anzalone, scelgo Anzalone.