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sabato 9 marzo 2013

Luci a tre fasi, galleria Piano Nobile, Perugia, 1992

Luci a tre fasi (Brenzini, Modica, Rotelli)
galleria Piano Nobile, Perugia, 1992
a cura di Marisa Vescovo

Pino Modica, Traiettorie, 1992

dalla presentazione in catalogo di Marisa Vescovo

mercoledì 6 marzo 2013

Stefano Fontana, Passaggi, Studio Casoli, Milano, 1989

Stefano Fontana, Passaggi

Studio Casoli, Milano, 1989


Le strutture esposte da Stefano Fontana nella sua personale del 1989 allo Studio Casoli erano state precedentemente anteposte all'ingresso di un esercizio commerciale ed il loro aspetto era il risultato delle deformazioni impresse dal passaggio dei clienti del negozio.



martedì 5 marzo 2013

Arte Eventuale

ARTE EVENTUALE


di Domenico Nardone
in Rivista di Psicologia dell'Arte n.4/5, giu-dic 1981





1 - Morfologia e funzione dell'oggetto d'arte.

Esistono cataloghi di numismatica, di filatelia, di porcellane di Capodimonte e talismani della felicità. Accanto a questi esistono anche libri di storia dell'arte. Il testo di storia dell'arte è infatti il catalogo che ordina emette in fila una serie di oggetti - per l'appunto gli "oggetti d'arte" - presumibilmente appartenenti ad una stessa specie. Nondimeno, le peculiarità del catalogo in questione rispetto agli altri appaiono alquanto evidenti. Se infatti è piuttosto agevole definire in termini morfologici e di funzione lo statuto delle monete, statuto che presiede alla compilazione del relativo catalogo numismatico, altrettanto potendosi dire degli altri esempi citati, lo stesso, nei riguardi degli oggetti d'arte, appare notevolmente più arduo. In realtà, un'analisi limitata alla produzione cronologicamente antecedente al nostro secolo, individuerebbe probabilmente delle coordinate morfologiche dell'oggetto in questione piuttosto precise. Tutt'al più essa dovrebbe istituire, sulla base della diversità dei materiali e delle procedure impiegate nel processo di costituzione dei singoli oggetti, dei generi nell'ambito di una stessa classe: dovrebbe cioè distinguere un oggetto-quadro da un oggetto-scultura, un oggetto-affresco da un oggetto-incisione e via di questo passo.
La definizione morfologica dell'oggetto d'arte appena ipotizzata si mostra tuttavia decisamente insufficiente: è noto come ad un oggetto non sia sufficiente possedere i requisiti precedentemente elencati per essere catalogato come arte. Emerge qui una delle caratteristiche fondamentali del catalogo stesso: il suo risultare cioè da un processo di selezione, anziché come negli altri casi di semplice omologazione, che opera su un campo definito da caratteri morfologici. Essendo il campo d'indagine così definito, il giudizio di ammissione, che distribuisce i valori, che fonda e regola le gerarchie, non può che strutturarsi secondo parametri di ordine analogo, attinenti cioè al piano di fattura e di realizzazione tecnica dell'oggetto (es.'stesura del colore', 'qualità del disegno', 'finezza del cesello', 'levigatezza della superficie', etc.).
L'analisi dei connotati morfologici dell'oggetto d'arte offre inoltre la base per impostare anche il discorso sulla sua funzione. In un saggio del 1926 Arvatov (1), uno dei più lucidi teorici del Produttivismo russo, rilevava infatti l'esistenza di un certo grado di affinità tra i materiali e le procedure di costituzione dei vari generi di oggetto d'arte e quelle di altre attività produttive dell'uomo. Il processo di produzione di un quadro si apparenta cioè a quello d'imbiancamento di una parete, quelli della prosa e della poesia a quelli della conversazione e del discorso e via di seguito.Ciò che, alla luce di tale affinità, sembra distinguere l'oggetto d'arte, al di là del suo specifico morfologico, da tutti gli altri oggetti è proprio la sua sconcertante mancanza di funzione, la sua inutilità. L'arte, in questa prospettiva, si configura quindi come il territorio sterile di un più ampio processo di produzione, come il luogo nel quale tale processo muta di segno nel corpo di un oggetto estraniato da ogni ulteriore dinamica produttiva.
L'oggetto d'arte diviene così, rispetto agli altri, un oggetto privilegiato nel momento stesso in cui si sottrae alle leggi che governano la produzione, le quali prevedono bene anche la "consumazione", articolandosi nel rapporto con l'uomo, struttura eccellente di consumazione, secondo i canoni della "contemplazione" o della "fruizione estetica" (2). Entrambe quest'ultime sono infatti modalità di rapporto che interdicono l'uso diretto dell'oggetto per fondarne altresì il godimento in via indiretta, mediato dai suoi frutti (nel caso dell'arte i frutti dell'oggetto potrebbero essere identificati nelle immagini mentali prodotte dalla sua contemplazione): proprio come si possono godere e usare i frutti del capitale non altrettanto potendosi fare del capitale in sé.
Occorre qui ricordare tuttavia come, in apertura di discorso, si fossero fissati i limiti di questa analisi ad un ambito prenovecentesco. La rivoluzione dell'arte moderna si situa infatti proprio a ridosso della condizione dell'oggetto testè delineata: l'esperienza delle avanguardie, spesso anche programmaticamente impegnata nella estensione della gamma di tecniche e materiali utilizzabili per la produzione di arte, determina di fatto la progressiva erosione ed il conclusivo smantellamento della "definizione morfologica di oggetto d'arte" e con essa del dogma riguardante la sua inutilità (3).
Una prima conseguenza di questa trasformazione consiste nel determinare l'assoluta inadeguatezza dei vecchi strumenti di analisi e di valutazione dell'arte, giacché ne abbiamo in precedenza notato l'intima connessione con la definibilità morfologica del campo d'indagine. Un approccio critico, nei confronti della produzione contemporanea di arte, che continui, malgrado la dissoluzione di tale definizione, ad ordinarsi secondo parametri morfologici, non può pertanto che arenarsi sulla desolante constatazione che tra la fotografia giornalistica e l'opera di Warhol non sembra esserci che una differenza di prezzo (5). Purtroppo, molto spesso, anziché dedurre da questa constatazione, come forse sarebbe logico attendersi, l'inadeguatezza dei propri mezzi di analisi, ne afferma al contrario l'assoluta infallibilità e, di conseguenza, grida al feticcio, al simulacro e, in ultimo, alla truffa.
Questo genere di logica ricorda molto quella del capo della polizia del celebre racconto La lettera rubata di Poe, l'erroneità e arroganza della quale sono stati ben svelati da Lacan nel seminario ad esso dedicato (6) e che posono riassumerla nei termini di uno sguardo che, non vedendo ciò che si aspetta di vedere, ne deduce che non c'è niente da vedere.
Il nocciolo del problema consiste, nel nostro caso come in quello del capo della polizia, in uno spostamento dello sguardo, come a dire del giudizio di valutazione, dalla angusta superficie dell'oggetto ad un campo più ampio, non più morfologicamente delimitato, che abbraccia di fatto l'intera sfera dell'attività umana.
E' chiaro inoltre che, ad una estensione di tale portata del campo d'indagine, non può che corrispondere una trasformazione di analoga portata del valore d'arte - e quindi della struttura del giudizio al quale ne viene deputata l'attribuzione - che non potrà più essere individuato in particolari caratteristiche tecnico-fattuali.. In questa prospettiva ciò che l'Arte Eventuale assume a valore d'arte è appunto l'Evento.


2 - L'indefinizione di Evento.

La definizione forse più corretta di Evento è quella di trasformazione profonda dell'ordine del reale. Dal momento però che la realtà va continuamente incontro a processi di trasformazione (ogni accadimento, ogni fatto per quanto banale e quotidiano è pur sempre una trasformazione) ne deriva l'irriconoscibilità dell'Evento su base esclusivamente morfologica. Vedrò di essere più chiaro con un esempio.
Da un punto di vista morfologico il fenomeno di una mela che si stacca da un albero e colpisce la testa di un uomo seduto all'ombra di questo appare un fenomeno piuttosto frequente e di facile osservazione. Nessuno potrebbe attribuirgli su questa base caratteri di eccezionalità o di Evento. Nondimeno, la mela che colpisce in un dato momento la testa di Isaac Newton è a tutti gli effetti un Evento.
Questo semplice esempio indica la strada che dobbiamo intraprendere per approdare all'identificazione dell'Evento. Il suo riconoscimento dovrà cioè passare attraverso la valutazione di tutti gli effetti determinati dal suo prodursi nell'ordine delle cose. Nell'esempio citato tali effetti possono compendiarsi nella formulazione, ad opera di Newton, della legge di gravità, da cui derivano, con un meccanismo 'a rebound' di propagazione dell'Evento, numerosi sotto-effetti di carattere scientifico, sociale, etc.
L'esempio in oggetto ci mostra inoltre come l'analisi di un fenomeno, in termini meramente morfologici, si lasci sfuggire, o trascuri deliberatamente, tutti gli elementi - ad esempio la traiettoria d'incidenza e il peso della mela, la zona cerebrale colpita, i pensieri che Newton andava elaborando in quel mentre, etc. - che, contribuendo a definirne lo specifico, ne fondano altresì la più perfetta unicità.
Quanto detto indica in certa misura l'ottica teorica e metodologica secondo cui deve organizzarsi il giudizio di valutazione. Se questo può però almeno in parte risolvere i problemi deella critica, la quale opera in un tempo comunque successivo a quello della produzione, non risolve invece per nulla i problemi dell'artista - nella nostra prospettiva vero e proprio produttore di Eventi - che si trova altresì ad operare in un tempo antecedente anziché successivo l'Evento stesso. Oltre che dalla analisi di alcuni lavori "eventualisti" che affronterò in seguito, alcune indicazioni possono scaturire da un'ulteriore precisazione della fisionomia dell'Evento. In un articolo pubblicato sul terzo numero di questa stessa rivista (7), Lombardo attribuisce all'Evento i seguenti caratteri: la non-dicibilità, la non-prevedibilità, la non-ripetitività e la non-simbolicità. Vediamo quindi di riconsiderare il caso della mela di Newton in rapporto a questi parametri.
Avevamo già notato come la semplice caduta di una mela sulla testa di un uomo seduto sotto un albero fosse in sé un fenomeno in certa misura prevedibile, ciò che in questo caso non era assolutamente prevedibile è piuttosto la risposta del cervello di Newton allo stimolo mela-che-mi-cade-sulla-testa.
Su questa osservazione s'inserisce una riflessione estremamente importante: come cioè sia proprio il modo in cui Newton subisce e considera il fenomeno a conferire al fenomeno stesso lo statuto di Evento. Su questo punto avremo ad ogni modo occasione di tornare più avanti.
Consideriamo ora l' indicibilità e la irripetibilità dell'Evento. Già in precedenza si era notata l'impossibilità di giungere ad una esatta definizione dell'Evento, fatto dal quale consegue la sua indicibilità linguistica. Se pertanto un Evento non può essere compreso e definito nella sua complessità, allora qualsiasi tentativo di replicarlo non può che essere destinato al fallimento, dal momento che si lascerà sfuggire sempre qualche elemento necessario alla replica.
Newton ha un bel continuare a sedersi sotto gli alberi ed aspettare che una mela gli cada sulla testa, l'illuminazione non si ripeterà.
Il problema della non-simbolicità è peraltro piuttosto semplice: se l'Evento è già in sé un valore (in quanto aspetto innovativo del reale) non ha alcun bisogno di simboleggiarne uno ad esso esterno.
Affrontato quindi il problema relativo alla tipizzazione dell'Evento è d'uopo introdurre una osservazione atta a giustificarne ulteriormente l'assunzione a valore d'arte.
Jaspers, nel suo saggio Psicologia delle visioni del mondo (8), definisce i comportamenti come altrettante “possibilità formali”. Il soggetto seleziona quindi ed ordina i comportamenti sulla base di una “tavola dei valori” che ha assunto come propria. Essendo pressochè infinito il numero dei valori ed essendo possibili tutte le permutazioni del loro ordine gerarchico ne consegue perimenti l'infinità dei comportamenti possibili. In questa chiave il filosofo tedesco individua l'essenza del comportamento estetico in quella di un comportamento che si determina “isolando il valore momento per momento”. Si tratta cioè di un comportamento per definizione irriducibile ad una “tavola di valori” stabilizzata ed immutabile nel tempo ma che anzi assume nel suo stesso statuto l'inversione e lo stravolgimento dell'ordine gerarchico dei valori.
In una prospettiva analoga Lombardo nota l'impossibilità d'interpretare il comportamento estetico secondo una logica unitaria (9), dal momento infatti che ogni frazione di questo comportamento riassume in sé e risponde ad una logica propria, senz'altro diversa se non addirittura in conflitto con quella della frazione successiva. Proseguendo ancora oltre Lombardo giunge ad identificare le basi di un comportamento estetico proprio negli scarti e nelle incongruenze che esso presenta rispetto alla logica cosciente, e quindi razionalizzabile e dichiarabile, che dovrebbe informarlo.
Ritroviamo quindi nel comportamento estetico gli stessi caratteri che abbiamo precedentemente attribuito all'Evento. Vale a dire l'imprevedibilità, giacchè esso si trova a rispondere ad un ordinamento dei valori transitorio e confutabile momento per momento; l'indicibilità, perchè nel suo polimorfismo e nella sua complessità non può corrispondere a nessuno scopo formulabile; l'irripetibilità, perchè abbiamo già visto essere infinito il numero dei comportamenti possibili.
Si può quindi facilmente comprendere come l'arte, se è davvero prodotto-produzione di comportamenti estetici, non possa che essere analizzata e valutata in termini di Evento.


3 – La posizione dell'oggetto nell' Arte Eventuale.

L'identificazione del valore d'arte nel concetto di Evento, nei termini in cui è stata sin qui prospettata, pone a mio avviso la necessità di rivedere la posizione dell'oggetto nel contesto dell'arte. Se l'Evento è per statuto indicibile ed irripetibile è anche, per forza di cose, fuori della portata di ogni scrittura. Ciò, in altre parole, attesta l'impossibilità di un oggetto-evento. Data questa extraoggettualità dell'Evento, l'oggetto non può distribuirsi rispetto a questo che secondo un'ottica meramente strumentale. In questa chiave la sua posizione oscillerà tra due diverse polarità di funzione: l'oggetto-strumento di produzione da una parte, l'oggetto-strumento di documentazione dall'altra.
Di queste due polarità quella produttiva necessita di una ulteriore precisazione. Ideare un progetto per la produzione di un Evento, contesto nel quale si colloca l'oggetto-strumento di produzione, non significa infatti predeterminare la realizzazione pratica dell'Evento in questione. Una possibilità di questo genere si porrebbe tosto in conflitto con lo statuto stesso dell'Evento: se esso è imprevedibile non può certo essere progettabile. Il progetto d'Evento va inteso allora come la definizione dei termini di un processo di produzione nel cui ambito si presume soltanto di rilevare con maggior probabilità la produzione d'Evento. L'Evento infatti non è altro che il caso più favorevole di tutti i possibili esiti della progettata produzione.

Descritta quindi da un punto di vista teorico la prospettiva dell'Arte Eventuale non si può fare a meno, al fine di rendere tali concetti meno evanescenti e più chiari, di esaminarne il momento procedurale. A tale scopo preferisco, ponendo in secondo piano il criterio storiografico, servirmi di materiali già utilizzati dagli artisti come campioni; considererò cioè essenzialmente le opere presentate nella prima mostra collettiva di Arte Eventuale (10). Tra queste opere quella che, in virtù della struttura singolarmente paradigmatica, forse meglio si presta ad un approccio introduttivo è il Test di Preferenze estetiche (1980) di Anna Homberg. Il lavoro della Homberg consta infatti dei seguenti elementi:
  1. Una serie di immagini fotografiche – riproducenti oggetti d'uso comune, arredamenti, capi d'abbigliamento, etc – accoppiate due a due sulla base di una analoga funzione d'uso.

  2. Un questionario nel quale lo spettatore è tenuto ad indicare la sua preferenza per ogni elemento in ogni coppia d'immagini.
da Anna Homberg, Test di preferenze estetiche, 1980, item n.41

da Anna Homberg, Test di preferenze estetiche, 1980, questionario

Il lavoro descritto presenta quindi evidenti i tre aspetti fondamentali della procedura eventualista, vale a dire: l'oggetto-strumento di produzione (il pattern visivo articolato in coppie d'immagini), il processo di produzione (la serie di scelte operate dallo spettatore) e l'oggetto-strumento di documentazione (il questionario che documenta le scelte dello spettatore). Il processo di produzione, innescato dall'artista nello spettatore, assume, almeno in via teorica, dei connotati forzatamente estetici (11). Lo spettatore si trova infatti nell'impossibilità di adoperare nella scelta criteri economico-utilitaristici (il valore d'uso degli elementi presenti in ogni coppia si presume identico), dovendo quindi optare esclusivamente tra due diverse concezioni estetiche di uno stesso oggetto. La scelta si configura perciò in questo caso come prettamente estetica.
L'oggetto-test della Homberg funziona quindi a tutti gli effetti come strumento di produzione di comportamenti estetici. E' opportuno tuttavia rilevare in quest'oggetto un'altra modalità di funzione che vedremo condivisa da molti altri oggetti eventualisti. Vale a dire la sua capacità di funzionare come strumento di un'indagine scientifica condotta secondo criteri convenzionali. La stessa artista ha infatti sviluppato la possibilità di utilizzazione dell'oggetto in questo senso giungendo ai risultati esposti nel suo saggio Preferenze estetiche nel comportamento comune: critica della letteratura e nuovi studi sui gemelli (12).
Riguardo poi le due polarità di funzione – produttiva e documentativa – caratteristiche dell'oggetto eventualista vorrei notare come nell'oggetto-test, descritto in precedenza come strumento di produzione, affiori anche la componente documentativa: esso cioè, prima di produrre all'esterno dei comportamenti estetici, documenta con la sua peculiare composizione le scelte estetiche dell'artista stessa.
Abbiamo quindi potuto esaminare, nel Test di Preferenze Estetiche, un lavoro che presenta nell'unità spazio-temporale tutti gli aspetti fondamentali dell'opera eventualista. Va detto tuttavia che lo specifico dei problemi affrontati consente molto raramente una presentazione al pubblico di questo tipo; accade quindi spesso che gli eventualisti espongano oggetti che fanno riferimento e sottolineano piuttosto un singolo passaggio di una ricerca più vasta. Avviene cioè che, nell'ambito di una pratica di ricerca, si produce un fenomeno al quale l'artista connette il valore di Evento e la cui documentazione giudica sufficientemente autonoma da poter essere esposta da sola. Nella mostra che stiamo considerando troviamo per l'appunto esempi di questo tipo.

Raffaeli espone gli Errori (1979), una serie di ricevute, o di documenti equivalenti, che testimoniano il verificarsi di un errore di calcolo in circostanze di vario genere, sempre ad ogni modo a vantaggio dell'autore stesso.
da Ferruccio Raffaeli, Errori, 1979, evento n.1
 
Attraverso questa sottolineatura di errori – intesi nell'accezione freaudiana di atti mancati, di comportamenti che esorbitano il piano di coscienza – Raffaeli isola dalla mera esecuzione di un compito (il calcolo matematico) gli scarti e le deviazioni dalla logica esecutiva che costituiscono l'ossatura stessa del comportamento estetico. Considerando poi la concentrazione degli errori certificati, sette nell'arco di tre mesi; la loro entità sempre considerevole, aggiunte al fatto che si verificano sempre a favore dell'autore, ricaviamo l'ipoteca posta dall'artista stesso sulla genesi del fenomeno. Giacchè inoltre la documentazione offertaci non ci dice nulla riguardo gli strumenti e le tecniche adoperate dall'artista per conseguire tale risultato, possiamo dedurre che egli stesso, nell'interezza del suo comportamento e nella complessità della sua personalità, costituisca nel contempo lo strumento di produzione e la procedura tecnica che realizza l'errore. Raffaeli sgombra quindi il campo da qualsiasi protesi oggettuale e propone fisicamente se stesso come strumento di produzione di comportamenti estetici e quindi di Eventi.

Anche il lavoro di Sergio Lombardo, La tua vera immagine (sogno postipnotico, 1980), si presenta sotto il profilo di oggetto-strumento di documentazione. Essa consiste infatti in un disegno illustrante un sogno fatto dall'autore sulla base di una induzione ipnotica da egli stesso elaborata.

Sergio Lombardo, La tua vera immagine, 1979

L'opera investe quindi direttamente il campo di ricerca, il sogno, nel quale Lombardo sta investigando da un decennio a questa parte. In questa sede non è certo possibile neppure accennare ad una ricerca di tale vastità e portata, per la cui conoscenza rimando comunque alle sedi specifiche.
Mi limiterò tuttavia a rilevare come, a differenza degli Errori di Ferruccio Raffaeli, si possa qui facilmente intravedere lo strumento del quale si è avvalso l'autore per produrre l'Evento in questione, vale a dire l'induzione ipnotica elaborata dall'artista nonché precedentemente esposta al pubblico (13).
Ciò che mi interessa invece qui considerare è il problema posto dalla particolare morfologia dell'oggetto-documento: non c'è dubbio infatti che esso, su un piano morfologico, corrisponda alla definizione dell'oggetto-quadro data in apertura dell'articolo. Affinità morfologica che permane anche dopo l'osservazione che il linguaggio visivo, nel quadro di Lombardo, si dispone secondo criteri formali “asettici”, tipici dell'immagine scientifica, che conferiscono al segno un valore assimilabile a quello del simbolo matematico, nell'intento di eliminare dal disegno le componenti irrazionalistico-emotivo al fine di sottolineare l'ectopia del valore, l'evento onirico nella fattispecie, rispetto alla superficie di rappresentazione.L'artista recupera così l'oggetto-quadro sulla base della sua potenziale efficacia documentaristica e non, beninteso, nei termini di autosufficienza ed autovalore, fondati sulle sue peculiarità morfologiche e tecniche, che lo qualificafano in precedenza. La possibilità di questo recupero, dimostrata da Lombardo, lascia inoltre intravedere come, almeno in origine, anche l'oggetto-quadro si articolasse in rapporto all'Evento: da una parte come documento di eventi sociali, politici, etc. (es. i quadri storici) o intrapsichici individuali (es. i quadri astratti), dall'altra come strumento di produzione di altri eventi (le emozioni suscitate dalla sua contemplazione). In seguito tuttavia, l'utilizzazione protratta ed esclusiva del quadro come unico strumento di documentazione e produzione di eventi, ha finito per privarlo di questo rapporto, affermandolo come autovalore e rendendolo del pari inefficace in entrambi i sensi.

Il mio lavoro Io non sono qui né tantomeno desidero che si parli di me in questa sede (opera involontaria, 1981), serie di schizzi, appunti e scarabocchi da me eseguiti in varie occasioni e raccolti a mia insaputa da Lombardo, appartiene anch'esso al genere degli oggetti-documento.

Domenico Nardone, Io non sono qui nè tantomeno desidero che si parli di me in questa sede, 1981, particolare

Ci sono però in questo lavoro delle caratteristiche che meritano a mio avviso di essere considerate. Mi riferisco innanzitutto alla totale involontarietà con la quale tali documenti sono stati ottenuti. Vorrei a tal proposito ricordare che ero solito abbandonare gli scarabocchi in questione sul tavolo dove mi trovavo o addirittura accartocciarli e gettarli nel cestino dal quale puntualmente Lombardo li recuperava e conservava. Del resto la stessa didascalia “Io non sono qui né tantomeno desidero che si parli di me in questa sede” è stata da me concepita come dichiarazione, se non di completa estraneità ai fatti, giacchè non potevo negare di averli prodotti, almeno di non intenzionalità nel commettere l'accaduto. A posteriori ho avuto modo di notare come fosse proprio questa mancanza di intenzionalità a conferire loro un carattere particolare e sostanzialmente connesso all'Evento (ad esempio le conversazioni nelle quali ero impegnato ed i miei relativi stati d'animo) dal cui ambito scaturivano. Di fatto, da quando ho esposto questi scarabocchi, acquisendo in tal modo alla coscienza il loro valore, non sono più stato capace di ripeterli sortendo un effetto analogo.
A riprova di quanto detto basta osservare Interpolazione (1981), uno schizzo da me eseguito dopo aver esposto il lavoro in questione.

Domenico Nardone, Interpolazione, opera semi-involontaria, 1981

Si può notare come dalla sua superfice sia quasi completamente scomparso il carattere di involontarietà ed accidentalità che contraddistingueva gli altri.
Non si può infatti simulare l'involontarietà, l'istanza programmatica balza evidente agli occhi nonostante i trucchi da me escogitati (quali ad esempio l'aver utilizzato un foglio su cui figuravano già degli appunti anziché un foglio bianco), l'artificio rende il disegno una goffa imitazione di un gesto involontario.

L'analisi del lavoro di Vittorino Cyrci, Amatemi (1975), necessita di qualche precisazione. La prima riguarda la data che, collocandolo in una posizione all'incirca intermedia rispetto alle prime esperienze di Lombardo catalogabili come eventualiste e quelle successive di Pietroiusti, Raffaeli, etc., lo pone ovviamente al di fuori della discussione teorica che si sarebbe andata sviluppando con queste esperienze, nonché con la nascita di questa stessa rivista.
La seconda precisazione è invece relativa al contesto dal quale questo lavoro è stato prelevato e del quale offre una sorta di campionatura. Si tratta cioè di una serie di manifesti, grosso modo contemporanei a quello presentato e ad esso assimilabili da un punto di vista teorico oltre che tecnico, con i quali l'artista si proponeva di isolare le varie istanze psicologiche che promuovevano in lui il processo creativo. Sulla base di queste precisazioni resta comunque il fatto che questo lavoro, in una analisi a posteriori, presenti una piuttosto evidente connotazione eventualista. Riconosciamo infatti il suo aspetto di strumento di stimolazione nell'invocazione che esso offre allo spettatore e contemporaneamente non possiamo non rilevare anche l'aspetto documentativo, forse maggiormente cosciente nell'autore, rispetto ad una propria esigenza e ad un proprio stato d'animo.

L'ultimo dei lavori che considererò è Assenze 3° (1979) di Cesare Pietroiusti, unico oggetto-strumento di produzione presente isolatamente in questa mostra.
L'opera si compone di tre tavole grafiche ottenute attraverso la ripetizione di una sequenza segnica elementare (ad es. - + -). In ciascuna tavola la sequenza di base appare però incompleta in un tratto (ad es. - - + -).
Cesare Pietroiusti, Assenze 3°, 1979

Lo spettatore viene quindi pregato di “completare” il disegno che gli viene sottoposto. Ovviamente nella maggior parte dei casi questi, individuato il tratto mancante, lo completerà iscrivendovelo; esiste però la possibilità che egli, anziché regolarsi in questo modo, aggiunga un qualcosa di completamente extracontestuale. La valutazione di un siffatto comportamento è data dallo stesso Pietroiusti: “Il deviante (colui che non completa il disegno in base alla logica che esprime, nda)...ha una logica personale, che scientificamente si definisce 'delirante', che cozza contro il senso comune, ma che può anche imporsi ad esso, cambiandolo e indirizzandolo su nuovi binari. Il deviante costruisce infatti una nuova figura a partire dalla figura data e, lungi dallo svelarne l'assenza precedente, la rende più complessa, più problematica, stimolante altre proiezioni, cioè carente sotto nuovi e diversi aspetti. Il deviante crea nuove assenze, produce una nuova invenzione. Fa arte” (14).
Le tavole grafiche di Pietroiusti divengono quindi delle vere e proprie cartine al tornasole dell'Evento, perfettamente adatte a produrre e svelare comportamenti estetici.

Con quest'ultimo esempio si conclude la panoramica sulle opere dell'Arte Eventuale, con la quale spero di aver sufficientemente chiarito la posizione ed il ruolo assunti dall'oggetto in quest'ambito.
Sul finire vorrei però raffrontare il tipo di rapporto che intercorre tra lo spettatore e l'opera eventualista con quello che intercorreva, sempre tra gli stessi termini, nell'Arte tradizionale. Se infatti quest'ultima si articolava in rapporto allo spettatore secondo i già descritti canoni della “contemplazione” o della “fruizione estetica”, viceversa l'Erte Eventuale si fonda proprio sull'uso diretto dell'oggetto ad opera dello spettatore (test da compilare, disegni da completare, bottoni da premere, etc.). L'oggetto eventualista è tuttavia ancora un oggetto inutile, nel senso però che non si presta ad una funzione d'uso già nota e standardizzata bensì ad una funzione ancora ignota e non formulata. Con un gioco di parole possiamo dire che l'oggetto eventualista è un oggetto che deve essere usato ma che non può essere utilizzato.
Usare un oggetto per scopi ignoti è a tutti gli effetti un comportamento etetico, giacchè non può rispondere ad una logica economico-esecutiva, e quindi un Evento. In quest'ottica possiamo quindi comprendere la bellissima intuizione di Lombardo, sulla quale concludo, che “L'Evento è l'uso estetico della vita” (15).

Note:

  1. Arvatov B., L'Arte nel sistema della cultura proletaria, in Arte, Produzione e Rivoluzione, Guaraldi, 1950. Ed. or. 1926.
  2. In un primo tempo il carattere di inutilità sembra derivare all'oggetto d'arte dalla sua particolare morfologia. Successivamente, in forza della convenzione, il luogo di collocazione (la galleria, il museo, etc.) assume di per sé la capacità di destituire di ogni valore d'uso qualsiasi oggetto vi trovi posto. La defunzionalizzazione di un oggetto, necessaria secondo Duchamp per ottenerne la slatentizzazione delle valenze estetiche, è infatti a volte da questi provocata semplicemente trasferendo l'oggetto dal suo contesto abituale al museo.
  3. Mi sembra in questa chiave significativo come il rifiuto da parte delle Avanguardie storiche della concezione di inutilità dell'arte segua da vicinola formulazione più radicale che tale concetto abbia mai trovato, ovvero la teorizzazione di “un arte perfettamente inutile” (Wilde) che sottende tutta la produzione decadente. Un'impostazione teorica di questo tipo ha infatti almeno il pregio di sgombrare completamente il campo dagli equivoci.
  4. Cfr. Nardone D., La scomparsa dell'oggetto d'arte, in Riv. Di Psicol. Dell'Arte, vol.II, 1980.
  5. Perniola M., La società dei simulacri, Cappelli, Bologna, 1980.
  6. Cfr. Lacan J., Il seminario sulla lettera rubata, in La cosa freudiana e altri scritti, Einaudi, Torino 1972. Trad. it. Di Contri e Laoldi.
  7. Cfr. Lombardo S., Metodo e Stile. Sui fondamenti di un'Arte Aleatoria Attiva, in Riv. Di Psicol. Dell'Arte, vol.III, 1980.
  8. Cfr. Jaspers K., Psicologia delle visioni del mondo, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1950.
  9. Cfr. Lombardo S., Appunti sulla teoria della complessità e sul concetto di isotropia, in Riv. di Psicol. Dell'Arte, vol.I, 1979.
  10.  Arte Eventuale, galleria Jartrakor, Roma novembre 1981. La mostra, con parziali mutamenti e sotto altro titolo, era già stata presentata a Milano, Galleria Cenobio-Visualità nell'aprile del 1981. L'allestimento di questa mostra è stato in entrambe le occasioni curato da Sergio Lombardo, Anna Homberg, Cesare Pietroiusti e da me.
  11. La possibilità di ottenere da parte dello spettatore un comportamento etetico “obbligato” era già stata sfruttata da Lombardo in alcune “situazioni-problema” del 1968. In calce all'opera Scatola con 21 cubi si trova ad esempio la seguente didascalia: Riempire una scatola che contiene perfettamente 20 cubi avendone a disposizione 21 di cui sette rossi, sette gialli, sette azzurri”. Non esistendo una disposizione logica dei cubi nella scatola, né alcuna ragione per scartare un cubo di un colore anziché di un altro, le scelte operate dallo spettatore sono in ogni caso frutto di un comportamento estetico.
  12. Cfr. Homberg A., Preferenze estetiche nel comportamento comune: critica della letteratura e nuovi studi sui gemelli, in Riv. Di Psicol. Dell'Arte, vol.III, 198
  13.  Gli strumenti di produzione ai quali si fa accenno sono stati presentati al pubblico per la prima volta in Sergio Lombardo: L'attraversamento dello specchio, La tua vera immagine. Cesare Pietroiusti: Il gesto di potere, galleria Jatrakor, Roma, maggio-giugno 1979. L'induzione ipnotica in questione, La tua vera immagine, era nella fattispecie articolata in un nastro magnetico registrato, che ne costituiva la componente verbal e più in generale uditiva, e in uno specchio tachistoscopico di Lombardo, che ne costtituiva la componente visiva.Riferimenti specifici a questo lavoro si possono ad ogni modo trovare in: Lombardo S., Immagini indotte in stato di trance ipnotica, in RpdA, vol.I, 1979, pagg. 56-59.Una descrizione tecnica dello specchio tachistoscopico si trova invece in Lombardo S., Caratteristiche delle immagini che stimolano attività onirica, su questo stesso numero.
  14. Pietroiusti C.M., Assenza e devianza, in RpdA, vol.I, 1979
  15.  Da una conversazione privata con l'artista.

















domenica 3 marzo 2013

Il metodo è il quadro

IL METODO E' IL QUADRO
di Domenico Nardone

in catalogo mostra Sergio Lombardo, Comune di Suvereto, giugno 2001
pubblicato anche in http://www.undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/cgi-bin/undo/features/features.pl%3Fa%3D%26cod%3D36
a cura di Domenico Nardone in collaborazione con Stefano Fontana e Pino Modica


   La sintetica retrospettiva di Sergio Lombardo, presentata nell'ambito di questa edizione di Extempore, offre una campionatura delle opere dell'artista, dal 1959 al 1979, atta a porre in evidenza il metodo di ricerca che le sottende, al di là delle diverse connotazioni formali che le distinguono. Stabilire delle correlazioni tra le opere di Lombardo, al fine di individuare una cifra stilistica che le accomuni in senso classico, condurrebbe infatti inevitabilmente ad uno stravolgimento della loro lettura. Mai come in questo caso è vera l'asserzione di Braque: il metodo è il quadro.
La mostra si apre con un'opera del 1959, Nero 78, una carta su cui l'artista ha incollato una serie di piccoli riquadri dello stesso formato a comporre un'ordinata griglia ortogonale. Il tutto appare poi uniformemente "verniciato" di nero.
L'analisi di questa gouache concretizza subito la questione posta nella premessa. Tecnicamente è infatti descrivibile come un monocromo, apparentemente simile, nel profilo formale, a quello di Schifano, a cui peraltro è cronologicamente vicino. Un'osservazione più attenta ne rivela nondimeno un impianto metodologico del tutto diverso. Il problema che si pone l'artista è infatti quello dello scarto esistente tra un progetto (suddividere una superficie in una griglia ortogonale e campirla uniformemente di nero) e la sua esecuzione. L'attenzione di chi guarda si appunta sulle deviazioni e gli errori (difformità di campitura, lievi inclinazioni delle linee che formano la griglia, scolature, etc.) che l'esecuzione mostra rispetto al semplice progetto iniziale.
Già nei monocromi - anche se in questo caso progettista ed esecutore sono materialmente la stessa persona - Lombardo sembra quindi individuare come nevralgico nell'economia dell'opera d'arte l'apporto che l'esecutore dà alla sua realizzazione.
I Punti Extra del 1967 sono delle (n) sagome rotonde di formica che devono essere disposte entro uno spazio x secondo uno schema y. La scelta di uno schema di disposizione piuttosto che un altro è rimessa all'arbitrio del gallerista o del curatore della mostra, nei quali viene a configurarsi la figura dell'esecutore del progetto.
Progettista ed esecutore, diversamente da quanto avveniva nei monocromi, non sono più fisicamente incarnate dalla stessa persona e, tra il progetto e la sua esecuzione, si frappone un intervallo di tempo più o meno lungo.
L'imprevedibilità delle variazioni implicate dall'esecuzione dei monocromi, è codificata nei Punti Extra da una serie di schemi di disposizione, assolutamente intercambiabili e tra loro equivalenti, che prendono forma ad ogni loro diverso allestimenento. La variabilità d'esecuzione è così assunta all'interno dello statuto definitivo dell'opera, anche se rimane il fatto che, una volta allestiti nello spazio e inaugurata l'esposizione, il pubblico vero e proprio non ha più la possibilità di modificarne la disposizione.
In un'altra opera - 30 Aste, attualmente nella collezione permanente della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e di cui in questa occasione viene presentata una versione ridotta - la responsabilità dell'esecuzione è apertamente consegnata nelle mani dello spettatore. A questi viene infatti richiesto di disporre lungo una parete 30 aste di circa tre metri di lunghezza e di sei colori diversi (5 bianche, 5 nere, 5 gialle, 5 rosse, 5 blu e 5 verdi) (1).
 

Aste e Punti Extra, 1967, istallazione alla galleria Grossetti, Milano, 1968
 
Il progetto dell'artista definisce in questo modo i limiti di un campo di possibilità comportamentali, nel cui ambito lo spettatore è libero di muoversi secondo le sue inclinazioni personali, assumendo il ruolo di esecutore necessario al completamento dell'opera, che vede concretizzarsi, ad ogni singola esecuzione, una delle possibilità formali contemplate dal progetto (2).
Se, nella modalità d'interazione declinata dalle Aste, lo spettatore può dirsi pienamente consapevole dell'apporto che dà al completamento dell'opera, non altrettanto si può dire nel caso delle cosiddette situazioni-problema, rappresentate in questa mostra dalla Sfera con sirena. Nelle situazioni-problema lo spettatore viene infatti improvvisamente a trovarsi alle prese con un problema da risolvere, per giunta in un contesto - una mostra d'arte - in cui non si aspettava minimamente di doverlo fare.

Sfere con sirena, XXXV Biennale di Venezia, 1970

Alla Biennale di Venezia del 1970, Sergio Lombardo espose sette sfere di colore diverso (3), che contenevano all'interno una sirena d'allarme azionata da un interruttore a mercurio. Quando gli spettatori entravano nella sala trovavano le sfere perfettamente immobili e silenziose. Non appena qualcuno di loro, sia pure inavvertitamente, ne metteva una in movimento, partiva l'urlo lacerante della sirena.
Con quest'opera, le maglie del sistema di regole che definisce il campo di possibilità, entro cui l'interazione dello spettatore può dar luogo al completamento dell'opera, si allargano a dismisura. L' assoluta involontarietà con cui questi si trova ad espletare l'azione di completamento fà sì che la Sfera con sirena, come progetto, preveda infatti dei comportamenti esecutivi imprevedibili.
La situazione di pericolo configurata dalla Sfera con sirena trova una formulazione ben più radicale nel Progetto di morte per avvelenamento del 1970. Lo spettatore è messo di fronte ad una boccetta di veleno, accanto a cui è collocata una busta su cui è scritto che può essere aperta solo dopo la morte della persona che ha assunto il veleno. L'esecuzione dell'opera implica in questo modo la morte dell'esecutore. Le possibilità d'interazione del fruitore si riducono drasticamente alla scelta tra la vita e la morte, il cui senso è dato da un ipotetico premio conoscitivo (il contenuto della busta) che comunque non sarà riscosso dal diretto interessato.
E' chiaro, ad ogni buon conto, che la possibilità di porre termine alla propria esistenza ingerendo il veleno è più che altro virtuale: la boccetta di veleno è infatti esposta all'interno di una teca di cristallo e un custode si mantiene sempre nelle vicinanze pronto ad intervenire.
La scelta tra la vita e la morte, che è preliminare a tutte le scelte successive dell'individuo fondandone la ragion d'essere, è in realtà proposta dal Progetto di morte per avvelenamento
su un piano d'interazione prettamente mentale. In questo lavoro possiamo quindi già cogliere nella ricerca dell'artista, seppure a livello embrionale, lo spostamento del fuoco dell'indagine dall'interazione manuale a quella psicologica e mentale, che sarà più evidente nelle opere successive.

Progetto di morte per avvelenamento, 1970

I Concerti matematici (1971-1975) sono ancora una situazione-problema, come quelle precedentemente descritte, ma introducono nell'economia dell'interazione delle dinamiche del tutto inedite.
Il progetto è codificato da uno strumento - denominato nella sua prima versione R72 SAS - concepito e fatto realizzare dall'artista. Questo strumento è collegato a dieci terminali dotati di una levetta, che può essere commutata dalla posizione A a quella B, ed emette un suono modulato. I terminali sono affidati ad altrettanti esecutori e la soluzione del problema posto da questo progetto è quella di ottenere la cessazione dell'emissione di suono da parte dello strumento. Le posizioni A e B della levetta del terminale manovrato dagli esecutori modificano infatti la frequenza del suono emesso, un innalzamento della frequenza indica un avvicinamento alla soluzione, un suo abbassamento un allontanamento da questa (4). I Concerti matematici sono 'diretti' da un attore che ne ignora la soluzione e procede alla sua ricerca sulla base delle variazioni che il suo comportamento - nei termini delle regole contenute nello 'spartito' distribuito agli esecutori - determina sulla frequenza dell'indice acustico. La figura del direttore è quindi quella direttamente impegnata nella ricerca della soluzione del problema, a cui può pervenire attraverso un processo di apprendimento per tentativi ed errori, orientato dal feed-back (il ritorno acustico) fornitogli dall''orchestra'.

Concerto per danzatrice, 1971, esecuzione nello studio dell'artista, 1971

Con i Concerti matematici assistiamo quindi in primo luogo ad un'elevazione dell'ordine di complessità del problema posto - rispetto a quello elementare posto dalle Aste - e, soprattutto, all'introduzione dell'interazione tra persone e non più soltanto tra il singolo e la situazione-problema da risolvere. Gli strumentisti-esecutori apportano infatti una variabilità nello svolgimento del concerto (lentezza nelle risposte, distrazione, etc.) indipendente dal comportamento del direttore e di cui, nondimeno, egli deve tenere conto nel corso del suo processo di avvicinamento alla soluzione.
Gli Specchi tachistoscopici, i cui primi esperimenti risalgono al 1979, sono delle cassette di legno, ricoperte di laminato plastico, al cui centro è collocato un piccolo specchio. Lateralmente è posto un pulsante che, se premuto, attiva un flash che visualizza per una frazione di secondo attraverso lo specchio -sovrapponendosi quindi all'immagine riflessa di chi lo sta guardando - un'immagine-stimolo. Accanto allo specchio si leggono le seguenti istruzioni:

Inquadra il tuo volto al centro dello specchio
e fissalo intensamente per circa un minuto.
Concentra l'attenzione sull'occhio destro,
e, mentre continui a fissarlo intensamente, premi il pulsante.
Questa notte, o la notte successiva, farai un sogno.
Un sogno indimenticabile
che riguarderà la tua immagine:
ti vedrai in una forma assurda, simbolica, segreta
e, forse, non ti riconoscerai.
Ti apparirà la tua Vera Immagine.
Un'immagine straordinaria, emozionante,
intima e profondamente vera.
Un sogno che ricorderai perfettamente
anche da sveglio.

I racconti dei sogni degli spettatori che si sono serviti degli specchi tachistoscopici sono stati poi raccolti da Lombardo e hanno dato luogo ad una serie di disegni in cui l'artista ne ha riprodotto il momento saliente. Questi disegni sono divenuti successivamente anch'essi oggetto di esposizione.
Gli Specchi tachistoscopici sono quindi la prima ricerca in cui l'attenzione dell'artista si appunta sui risultati prodotti dall'interazione del pubblico con il progetto, che da questo momento egli definirà sempre più esplicitamente nei termini di 'stimolo'. Nell'esito dell'interazione tra lo stimolo ed il fruitore egli individuerà l''evento' - da lui inteso come "vissuto psicologico soggettivo generato da uno stimolo oggettivo, che coinvolge profondamente il fruitore sia sul piano cognitivo, che su quello affettivo ed emotivo" (5) - e definirà nei termini di 'documento' gli oggetti materiali, nella fattispecie i disegni dei sogni, a cui l'evento dà luogo (6).
A questo interesse per la raccolta, la catalogazione e l'analisi dei risultati che si producono nell'interazione tra lo stimolo e il pubblico, non sembra estranea la nascita, che risale grosso modo allo stesso periodo delle prime ricerche sullo specchio tachistoscopico, della Rivista di Psicologia dell'Arte, fondata e diretta da Sergio Lombardo, da lui intesa proprio come sede specifica e specialistica per la discussione e divulgazione di questi risultati.
Gli Specchi tachistoscopici e la Rivista di Psicologia dell'Arte concludono, per certi versi, il ciclo di una ricerca intrapresa vent'anni prima con i Monocromi, articolando, in maniera quasi paradigmatica e nella loro pienezza, i termini della dialettica stimolo-evento-documento - lo specchio, il sogno e il disegno che lo riproduce - riconosciuta da Lombardo come propria del processo estetico e da lui assunta, fin dagli inizi, seppure con una diversa consapevolezza teorica, come metodo.
Dalla sperimentazione intrapresa dall'artista nel campo degli specchi tachistoscopici - ed in particolare da quella relativa alla configurazione dello stimolo onirico da introdurvi come percetto subliminale - trae inoltre origine la linea di ricerca che Lombardo seguirà nei vent'anni successivi. Nel corso di questi esperimenti, egli scopre infatti che l'immagine-stimolo più efficace, quella che induce nei fruitori una produzione onirica più variegata e complessa, oltre che quantitativamente significativa, è un'immagine astratta, ottenuta distribuendo casualmente su un foglio di carta - secondo un metodo da lui stesso riconosciuto come surrealista - dei ritagli di forme geometriche varie (7).
Sulla scorta di questa scoperta, il fuoco dell'indagine si sposta decisamente verso le modalità di configurazione dell'immagine-stimolo, per la quale l'artista mette a punto nel tempo due diversi metodi di generazione, fondati su criteri di ordine matematico: il metodo TAN, per la realizzazione di immagini bicromatiche ed il metodo SAT, per quella di immagini policromatiche.
Nondimeno, la questione dell'interazione dello spettatore con lo stimolo - che abbiamo visto sin'ora occupare una posizione centrale nella teoria dell'arte di Lombardo - non viene con questo accantonata e messa da parte, piuttosto infonde corpo e sostanza all'astrazione matematica di cui anima lo sfondo. Le immagini generate dai due metodi matematici vengono infatti passate al vaglio di una verifica statistica, condotta su campioni di soggetti eterogenei, chiamati ad esprimersi circa il grado di proiettività (la capacità di produrre interpretazioni) e quello di preferenza delle immagini sottoposte a giudizio.
Questa procedura di verifica sperimentale àncora i risultati prodotti dai due generatori matematici all'oggettività del rapporto interpretativo che lo spettatore intrattiene con l'immagine-stimolo, impedendo la deriva della ricerca verso una forma di lirismo matematico.
L'evoluzione euristica che subentra con la Pittura stocastica e le Mappe è quindi, più precisamente, quella di uno spostamento dell'interesse per i meccanismi di ricezione dell'opera d'arte da parte di chi la fruisce, dalla elementarità e immediatezza di un'interazione del tipo stimolo-risposta - come avveniva ad esempio nella Sfera con sirena - alla complessità e diacronia di un'interazione di ordine più propriamente interpretativo.



Note:
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(1) E' significativo che, almeno in questa fase della ricerca, l'ordine di complessità dei progetti messi a punto per essere eseguito sia volutamente sempre molto elementare. Non sembra affatto casuale, ad esempio, che le aste siano il primo esercizio di scrittura che viene insegnato al bambino.

(2) L'opera come insieme di regole che determinano un campo di possibilità di esecuzione è definita in quegli anni da Eco opera in movimento ( cfr. Opera aperta, Bompiani, Milano 1962).
E' interessante notare come anche nelle opere del Gruppo di Piombino (Falci, Fontana e Modica), che risalgono alla seconda metà degli anni '80, il fruitore sia chiamato al completamento dell'opera. Questo avviene però in un tempo che precede il momento espositivo, quando il progetto si trova ad essere declinato nel contesto della vita di tutti i giorni assolutamente privo di connotazioni artistiche. Per contro, quando l'opera piombinese viene proposta alla fruizione estetica in senso stretto, non è più suscettibile di movimento bensì 'bloccata' e non interagibile. Su questo argomento vedi anche il mio Prolegomeni ad un allargamento del campo d'osservazione in arte in cat. Antonio Lombardi: quattro lavori, Ediz. Lascala, Roma 1983.

(3) L'anno precedente, una sola Sfera con sirena, era stata presentata alla Biennale Internazionale di Parigi.

(4) In una versione successiva (R73 SAAS) lo strumento prevede per ogni concerto non una ma due soluzioni. Ciò vuol dire che la massima distanza dalla soluzione, a cui corrisponde l'emissione del suono di frequenza più bassa, è quella di cinque levette in posizione corretta e cinque no. In questo caso l'attore pur rendendosi conto dall'aumentare delle frequenze del suono che la soluzione è vicina, non riesce però mai a riconoscere di quale delle due soluzioni si tratti, egli perciò inconsapevolmente sceglie una soluzione piuttosto che il suo opposto (S. Lombardo in Metodo e Stile. Sui fondamenti di un'Arte Aleatoria Attiva in Rivista di Psicologia dell'Arte, n.3, 1980, p.105).

(5) S.Lombardo, Specchi Tachistoscopici con stimolazione a sognare. Alcuni risultati sperimentali in Riv.di Psicol.dell'Arte, anno XII, n.2,1991.


(6) Dovrebbe essere chiaro, ad ogni buon conto, che la continuità di questo processo non si arresta, nel caso degli Specchi Tachistoscopici, con la realizzazione dei disegni che riproducono i sogni dei fruitori degli specchi. Questi documenti, nel momento in cui vengono esposti e presentati al pubblico, divengono infatti a loro volta degli stimoli che riavviano la dialettica del processo

(7) Pittura stocastica 1980-1995, intervista a S.Lombardo a cura di M.Mirolla, in cat. Sergio Lombardo, Università degli studi di Roma "La Sapienza, Roma 1995, pag.79.