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sabato 29 ottobre 2011

Myriam Laplante, Disinfopoint, Maxxi, Roma, 2011

Myriam Laplante, Disinfopoint, Maxxi, Roma, 2011


Nell'ambito della manifestazione Taxxi, movimento di corpi e mezzi al riparo delle piogge acide contemporanee, Roma, Maxxi, ottobre 2011, Myriam Laplante ed i suoi collaboratori hanno trasformato l'infopoint del museo in un disinfopoint, dove l’aiuto fornito dai performer presenti dietro al consueto bancone era volutamente strampalato e controproducente, i pannelli indicatori conducevano ovunque tranne che nel posto desiderato e ogni altro tipo di informazione offerta era stata intenzionalmente alterata e resa paradossale, fino ai serissimi inviti con l’altoparlante rivolti al pubblico affinché si preparasse all’imbarco o raggiungesse i propri amici nell’(inesistente) infermeria del museo (Alessandro Testa, Taxxi al Maxxi: performance collettiva per rendere vivi i musei, Nuovo Paese Sera, 16/10/2011)

Operatori del Disinfopoint
Carlo Gaeta, Teresa Ruggeri, Molli Nardone; sullo sfondo, con la maschera antigas, Myriam Laplante e, sulla destra e in disparte l'operatrice dell'Infopoint del museo.


Piantina del museo distribuita al Disinfopoint



Buono omaggio privo di specifica distribuito ai visitatori al Disinfopoint 

Depliant di offerta promozionale distribuito ai visitatori


Teatro de Merode, I brokers adorano la Borsa, Roma, 15 ottobre 2011

Teatro de Merode, I brokers adorano la Borsa, azione di piazza, Roma, 15 ottobre 2011.


Anche se non c'erano più nè telecamere nè macchine fotografiche, noi abbiamo continuato a fare questi personaggi e questi grotteschi rituali anche intorno alle zone dove si svolgevano gli scontri, per tutte quelle persone che non volevano la guerriglia e che avrebbero voluto continuare a manifestare, dalle vie intorno a piazza San Giovanni, a Piazza Vittorio, al Circo Massimo, a Piramide... (Teatro de Merode)


sabato 1 ottobre 2011

N.d.R.

N.d.R., cartellone per le affissioni pubblicitarie
cm. 150x300, via Portuense, Roma
coordinamento di C.Maurizio Benveduti e Franco Falasca
in collaborazione con la galleria GAP di Gianni Fileccia, via Monserrato 120, Roma

Dal 1974 al 1977 N.d.R ha presentato le opere di 33 artisti

Francesco Clemente, Senza Titolo, 14 marzo 1974

Marcanciel Stuprò (Claudio Cintoli), Liberazione, 21 marzo 1974

Tullio Catalano, Dal ponte..., 1 giugno 1974

Vettor Pisani, L'Oriente è rosso, 6 aprile 1975

Robert Filliou, With love from Robert Filliou, 1 maggio 1975

Arakawa, What is, where is left?, 5 ottobre 1975


George Brecht, N.d.R., 4 luglio 1976

C. Maurizio Benveduti, Panagulis, l'attentato, 26 maggio 1977



lunedì 1 agosto 2011

Articoli recenti

Simona Antonacci, Falci, Fontana, Modica, Pietroiusti e Nardone: gli "altri" anni Ottanta. Gli interventi subliminali nello spazio urbano del Gruppo di Piombino, Arskey magazine, luglio 2011

Simona Antonacci, Il Gruppo di Piombino una storia impertinente. I parte, www.unclosed.eu arte e altro/art an behind, 2014

Ernesto Fedi, Il Gruppo di Piombino: dall'Eventuale al Relazionale, in Prometeo, n.138, pagg. 101-108, giugno 2017

lunedì 25 luglio 2011

Memoires. Cronistorie di arte contemporanea (1967-2007)

Memoires. Cronistorie di arte contemporanea (1967-2007)
a cura di Francesca Capriccioli e Mary Angela Schroth

Gangemi Editore, Roma 2008


In un capitolo del libro le curatrici ricostruiscono, ripubblicando anche alcuni testi, l'attività de Lascala nella sede di piazza di porta S.Giovanni nel periodo 1982-1985 (pagg. 25-31).





mercoledì 20 luglio 2011

Nuove avanguardie a Roma, galleria Jartrakor, 1985

Nuove avanguardie a Roma
Anna Homberg, Stefano Fontana, Daniela de Dominicis, Sergio Lombardo, Giovanni Di Stefano, Cesare Pietroiusti, Domenico Nardone

galleria Jartrakor, Roma, maggio-giugno 1985


comunicato stampa

   La mostra “Nuove avanguardie a Roma” sembra voler proporre un clima intellettuale d'altri tempi, una purezza utopistica ormai sostituita dalla furbizia, un rigore teorico ormai sommerso dal comune destino delle merci.
   Il mondo è diventato un supermercato e l'arte è l'etichetta che indica il prezzo di un semplice cosmetico: ogni parola in sua difesa è interpretata come pubblicità e non incuriosisce più di tanto. Nell'allestire questa mostra abbiamo perciò seguito il criterio meno fondato sulla appetibilità del prodotto e più fondato sui pregi della teoria.
   Abbiamo preso in considerazione un gran numero di artisti, alcuni dei quali già sulla rampa di lancio di ricchi e furbi mercanti , altri nemici di quelli e pronti a sostituirli sulla stessa strada, ma quasi sempre ciò che era diverso in loro era solo il modo di offrirsi, la confezione pubblicitaria del prodotto, non tanto il contenuto.
   Alla fine avendo preferito escludere chi non disponeva di una solida teoria anche se disponeva di un solido talento artigianale, ci siamo decisi per questi sette artisti: Anna Homberg, Stefano Fontana, Daniela De Dominicis, Sergio Lombardo, Giovanni Di Stefano Cesare Pietroiusti e Domenico Nardone. ( S.L.)

   La mostra pone a confronto gli eventualisti con l'altra ipotesi di avanguardia a partire dal campo dell'arte, nata dalla scissione di Domenico Nardone, che con Daniela de Dominicis apre la galleria Lascala ed organizza un gruppo di artisti: Salvatore Falci, Stefano Fontana e Pino Modica (detti poi per la loro provenienza i “Piombinesi”) i quali esordiscono collettivamente alla fine del 1984. Nel 1985 Nardone e De Dominicis presentano le mostre di Stefano Fontana, Contenitori ideologici, consistente in alcune cassette gialle con la scritta del titolo e una feritoia per imbucare, disposte per 15 giorni in spazi pubblici, e nel contenuto in esse raccolto; Pino Modica, Rilevamenti estetici, registrazione video prodotta dai passanti che cercano di utilizzare una sorta di “misuratore d'inclinazione” davanti alla Torre di Pisa; e di Salvatore Falci, Itaj-Doshin, lastre di vetro ricoperte di vernice nera e poste sui tavoli di ambienti pubblici dove vengono graffite dai frequentatori. Jartrakor ripropone del gruppo un solo artista, Stefano Fontana, insieme a De Dominicis e Nardone presentati come teorici-artisti.
Le opere esposte derivano quasi sempre da ricerche già presentate a Jartrakor o a Lascala: Per Anna Homberg da Modelli qualitativi (1985); per Stefano Fontana da Contenitori ideologici (1985); per Sergio Lombardo lo Specchio tachistoscopico e il progetto Concerto per 10 sguardi dei primi anni '70; per Giovanni Di Stefano dalle Prove di memoria (1985); Per Cesare Pietroiusti da Scusi, ero distratto (1985) per Domenico Nardone, dalla sua mostra a Lascala di Interpolazioni urbane (1984); manifesti pubblicitari con interventi anonimi, strappati dal loro contesto. Daniela De Dominicis presenta un modello meccanico della teoria delle catastrofi di Renè Thom.

da Paola Ferraris, Psicologia e Arte dell'evento. Storia eventualista 1977-2003, Gangemi editore, Roma 2005, pag. 101.

martedì 19 luglio 2011

Being there/Being here: nine perspectives in new italian art, Los Angeles, 1991

Being there/Being here: nine perspectives in new italian art
a cura di Merle Schipper e Giovanna Zamboni-Paulis
testi in catalogo di Merle Schipper e Alessandra Mammì

Art gallery of Otis/Parsons School of Art and Design, Los Angeles, oct-nov 1991



   For the three founders of Gruppo di Piombino, named for the Tuscan town in witch they are based, enviroment is inseparable from the similarly innocuos, normally unnoticed objects that they employ. For these artists, however, objects are merely ploys, sherewdly selected to lure unsuspecting spectators into interaction, and thereby, illuminate human behavior.
In Rome, Pietroiusti, who joined the group in 1987, takes a different tack. A trained psychiatrist who perceives behavior from the scientific perspective, rather than use objects, he prefers to recreate the situations he construes by means of photograph. As the group's link to art worlds beyond Piombino's confines, a partecipant in the Roman scene and a frequent visitor to America, Pietroiusti garners information to supplement his fellow artist's exposure to magazines and objects in exibhitions to which they have access. Thus, the work of Dan Graham, Vito Acconci and Douglas Heubler has contributed to their direction. The impact of these Conceptualists on Pietroiusti, most notably Acconci's use of photographs as documentation and Heubler's rejection of the object, has been a more formidable one.
Working in Piombino, the others prize their isolation and distance from the complexities of a major urban center as essential to the realization of their projects to objectify human activity in their art. The traces of pedestrian – in both sense of the word - travels marks Falci's beds of grass. Modica's shuttered glass, fractured by accident or “test”, and messages on Fontana's telephones retrieved from the further reaches of the urban community are further data of their researches. Pietroiusti hugely blown-up photographs render the implicit and the obscure in lucid and coherent visual terms. They document, for exemple, a “test” of 40 people undertaken in a studio that belonged to Lucio Fontana. Created by attaching silhouettes of the subjects made from slides to photographs of the space in which they chose to wait for thirty minutes, they invite viewers to probe aesthetic phenomena in terms of more mondane experiences.
Although the group deems work successful only if it is charged with an “aura” that attests to its formal value, the capturing of reality holds primacy in their intentions. That stipulation supports their insistence on identifying their work not as conceptualist but as realist.
(da Merle Schipper, Transatlantic Crossing, testo in catalogo)


   In presenting an exibition by Falci, Fontana, Modica and Pietroiusti in 1988, Domenico Nardone, the critic who is considered their theoretician, felt it necessary troughout his entire essay to insist upon the differences that separate the political art of the 1970s from the political practice that informs the works and actions of the so-called Piombino Group. In fact, the unifying element in the works of these four artists has been the more or less unsuspecting involvement of the public in the elaboration of their pieces. “Unfortunately, this expression”, writes Nardone, "recalls the art of agitation and propaganda - an art which, recognizing its own role as a superstructure with respect to the trasformation of reality, coherently places itself at the service of an ideology and an organization in witch it recognized a role as structure. The art of 1970s in Europe was strongly informed by this kind of theoretical stance. (…) The 'involvement' implied by the works of these four artists, instead, seems to me to be of an entirely different nature (…) On previous occasions i have definited this as a transition from a political art to an art made in a political way (…) witch seems clarify how far it is from any utopian plan to 'recostruct the universe' - this art no longer envisions the realization of a futuristic ideal cities or millenarian final solutions”.
   In short, these artists have stripped politics of any ideological baggage and returned to its philological parameters: i.e., a system of relationships among members of the public. From this system are born, to a great extent through will and predetermination, but in part also by chance, the works of these artists: Falci's floors, with the footsteps of anonymous passersby; Fontana's clay forms shaped by the impressions of the hands of supermarket patrons; Modica's machines, which record the effects of automatic human actions; and Pietroiusti's gigantic objects, laden with traces and signs left by casual everyday gestures. There is no pretence of universality in any of this, but if anything an attempt to observe minimal mechanisms, an attitude similar to that of a scientist or entomologist poised to record a series of phenomena and actions.
This is an attitude shared by an entire generations, although on the young italian art scene the Piombino Group represents a unique exemple of artists united by a common resolve, a common set of poetics.
(da Alessandra Mammì, Reflections on the New Italian Art, testo in catalogo)


Salvatore Falci, Mercati generali, erba su forex, 1991

lunedì 18 luglio 2011

Stefano Fontana, Messaggi, 1991

Messaggi
Stefano Fontana, 1991



Stefano Fontana e la persistenza del dialetto
di Cesare Pietroiusti

in Cesare Pietroiusti, Prendere alla lettera il discorso dell'altro, Aperture, n.1, 1996, pagg. 99-100

   Stefano Fontana è un artista che vive a Piombino ed è operaio da vent’anni nelle locali acciaierie. I suoi lavori sono stati esposti (in particolare fra l’87 e il‘91) in numerose mostre e rassegne anche internazionali e sono stati, in Italia, elemento di un vivace dibattito sul ruolo dell’artista, che è lungi dall’essere concluso ma che tende progressivamente a marginalizzare (e, nel breve termine, a ignorare) coloro i quali, per necessità o per scelta, restano a vivere la loro vita in piccoli centri, lontano dai circuiti di distribuzione della cultura. In effetti, il lavoro di Stefano Fontana risente fortemente di tale dinamica di esclusione, che ne rappresenta uno dei temi fondamentali. Varie sue operazioni consistono proprio nel tentativo di raccogliere il discorso del cittadino comune di Piombino e di ripresentarlo come tale (possibilmente con un minimo di mediazione formale) nel sistema dell’arte, facendone un’opera.
Contenitori ideologici è un’operazione del 1985. L’artista dispone in giro per la città (su cancellate, muri, etc.) una serie di scatole gialle tutte uguali, della forma di una piccola cassetta delle lettere, con una fessura in alto e con la scritta “contenitore ideologico”. Le scatole sono lasciate per un certo tempo, dopodiché vengono rimosse dall.’artista che in mostra, oltre ad una documentazione fotografica dell.’installazione “in campo”, esibirà tutto il contenuto che, contenitore per contenitore, ci ha trovato dentro.
Messaggi (1991) è il titolo di un’altra serie di oggetti: si tratta di piccoli basamenti (anche in questo caso di colore giallo) in cui è inserito un apparecchio telefonico. Sul basamento c’è solo la scritta “messaggi”. In effetti alla cornetta non si sente niente, ma, proprio nel momento in cui questa viene sollevata, un registratore entra in funzione e registra tutto ciò che l’occasionale fruitore, soprattutto se capisce che non ci sono messaggi da ascoltare, ma da lasciare, dice. Anche questi oggetti vengono lasciati per un certo tempo in vari luoghi della città di Piombino, per lo più spazi pubblici. In mostra il registratore semplicemente emette, alla stessa cornetta, ciò che prima era stato registrato.
Voto libero (1994), infine, è una specie di bussolotto, completo di matita e schede bianche con una piccola scritta in alto “voto libero”, e con scomparto in cui lasciare le schede “completate”. L’operazione è stata compiuta in due o tre occasioni, sempre a Piombino, in prossimità di appuntamenti elettorali. L’artista ha raccolto varie centinaia di schede, e i relativi messaggi, che ha poi successivamente esposto.
La dichiarata volontà di Stefano Fontana è quella di valorizzare un discorso che proviene dal basso, sia nel senso sociale che geografico; di sottolineare la persistenza delle sue caratteristiche locali e non intellettuali, in una parola la persistenza di un “dialetto” culturale in un mondo in cui sembra che il discorso delle scelte e dei desideri si articoli dappertutto con la stessa onnipervasiva sintassi della pubblicità, in cui tutti si omologano a votare per gli stessi partiti mentre, di fronte alla possibilità di esprimersi liberamente, sembrano assumere centinaia di posizioni politiche (ed esistenziali) distinte.


Dai Messaggi di Stefano Fontana (pubblicati in Storie, ediz. Alice e Il Campo, Roma; Sergio Casoli, Milano; Marco Noire, Torino; 1991, pagg. 22-23)

CENTRO SOCIALE GIOVANI
- Meloni, vai in culo te e tutta la tua famigliaccia...
- Flavio schiavizzato.
- La vita è bella se la vivi come ti pare.
- Fuma bello, fuma sano, fuma solo pakistano.
- Il blob.
- ...è scema.
- Cosa ha detto?
- (cantando) Il mondo è qua, ma non c.’è stato mai...
- Fai cacare.
- Messaggio, messaggio: viva la topa!
- Pronto: il babbone è scemo.
- Messaggio, messaggio per Barletta. Barletta scappa, c.’è l.’allacciacani.
- Solo la mafia obbliga, il privato propone, lo strozzino ricatta.

BAR TORREFAZIONE GIULIANI
- Vengo subito, pronto.
- ...che Marco è una gran carogna, fa dei caffè che fan pietà e poi non vuole
fare mai il resto, vuole sempre la mancia.
- ...sono arrabbiato perché la mia zia è rinchiusa.
- Sono un libero cittadino. Mi piacerebbe vedere Piombino pulita, in particolar
modo l.’aria.
- ... è sottile, affascinante, struggente intrigo sul tema dell.’amore e
dell.’autodistruzione.
- Troppo cari i rifiuti urbani, si pagano.
- ...
- Pronto, non dice nulla... (altra voce) devi dire te... (il primo) mi sono stufato di lavorare


domenica 17 luglio 2011

Cesare Pietroiusti, N Titoli,1987

N Titoli
Cesare Pietroiusti

Lascala c/o Il Desiderio preso per la coda, Roma, 1987


Cesare Pietroiusti, N Titoli, veduta dell'istallazione, 1987

   Cesare Pietroiusti nel febbraio del 1987 espone a Lascala c\o, anche se l’inserimento del suo lavoro tra quello dei Piombinesi avverrà qualche mese dopo a Milano.
A Il desiderio Pietroiusti presenta i risultati di un esperimento condotto proprio negli spazi del bar-galleria, N Titoli. Qui l’artista installa per 15 giorni 6 tavolini ricoperti da tovaglie, cambiate ogni giorno e ideate dall’artista con elementi decorativi che rimandano ad elementi presenti nell’ambiente stesso (lampade, irregolarità dell’intonaco, ecc.).
Le tovaglie vengono poste sul tavolino per raccogliere disegni e scritte realizzate dai visitatori, che hanno a disposizione pennarelli colorati ( rosso, blu, verde e nero) posti in contenitori affissi alle pareti.
L’esperimento si divide in due fasi: nella prima sono presenti soltanto le tovaglie bianche, nella seconda le tovaglie elaborate nei primi sette giorni vengono appese alle pareti come veri e propri quadri. Obiettivo di questa suddivisione è valutare il cambiamento in termini di spontaneità nel momento in cui si è consapevoli del progetto di esposizione della tovaglia e dunque sull’inibizione della spontaneità dell’intervento in relazione alla riconoscimento di un valore artistico dell’operazione in atto. Pietroiusti prosegue qui l’indagine, già avviata negli anni di Jartrakor, sulle modificazioni comportamentali e psicologiche dello spettatore.
Cesare Pietroiusti, Tovaglia N Titoli, pennarelli su carta, diam 60 cm, 1987

Nell’opera l’elemento centrale è la “situazione mentale del soggetto”, in una poetica delle trasformazioni minime invisibili. Pietroiusti lavora sulla differenza tra l’atteggiamento consapevole e quello involontario, individuando e giocando proprio su quella sottile linea di confine, quello spazio della differenza che agisce sulla situazione mentale dello spettatore.
Questo intervento segna inoltre un momento importante nel processo di apertura al quotidiano e al reale che porta Pietroiusti sempre più vicino ai Piombinesi. Merito di questo intervento è l’aver utilizzato i locali della galleria, luogo pubblico, come spazio di sperimentazione. La galleria non è più uno luogo della decontestualizzazione (spazio fisico in cui le opere vengono portate, diverso da quello in cui sono state prodotte) ma è spazio concettuale in cui l’intervento allo stesso tempo si progetta, si attua, si espone.

da Simona Antonacci, L'altra Roma negli anni ottanta. L'Eventualismo e il Gruppo di Piombino, un confronto, tesi di specializzazione in Storia dell'Arte, Università degli studi, Siena 2011, pagg. 95-96

Miscellanea

  
   Nell'83 Domenico Nardone, singolare figura che tenta di coniugare in modo inedito il ruolo del critico con quello del gallerista, si distacca [dal gruppo di Lombardo, ndr] e apre a San Giovanni lo spazio La Scala dove l'anno seguente inizia il lavoro con i cosiddetti Piombinesi (Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica) interessati alle valenze sociali e antropologiche dell'arte, con l'attenzione ai comportamenti comuni e la ricerca di nuove e non ortodosse possibilità di formalizzazione. Nardone e la giovanissima De Dominicis ne curano la prima mostra collettiva con il lavoro delle seggioline a cui nell'85 seguono le personali: Modica con un rilevatore estetico, Falci con i tavoli neri graffiabili posti alla stazione, Fontana con il contenitore ideologico posto fuori da una scuola, da una banca...dove ognuno poteva mettere quel che voleva. Sono notevoli due fatti: il richiamo (anche se probabilmente involontario) al lavoro di artisti come Mambor e lo stesso Lombardo per l'aspetto interattivo e Ufficio di Immaginazione Preventiva (Catalano, Benveduti e Romeo avevano esposto a La Scala [Catalano, Benveduti e Romeo, La Ricerca dell'oro, Lascala, Roma, maggio 1985, ndr] per l'aspetto ideologico e l'oggettiva sintonia con le ricerche che di lì a poco si svilupperanno in America sul tema dell'ideologia. Alla fine degli anni Ottanta infatti il valore dell'ideologia, che era stato tipico dell'arte europea (pensiamo al libro di Bonito Oliva del '76
Europe-America. The different a ant-gardes e alla sua distinzione tra Europa: l'ideologico e America : lo statistico) diviene appannaggio caratteristico dell'arte americana. Nell'86 ai Piombinesi si aggiunge Pietroiusti mentre Nardone apre il bar-galleria La Scala c/o Il Desiderio preso per la coda: la prima performance è impressionante. Marino Vismara e Terry Fox aprono ostriche con le mani e le offrono insanguinate agli ospiti. Ma è nell'87 che ci sarà un vero e proprio punto di svolta con l'entrata in gioco di interessi non romani: inizia il rapporto con il giovane gallerista Sergio Casoli (il diverso destino delle gallerie di Casoli e Nardone è sintomatico del diverso clima delle due città: fertile a Milano per i giovani artisti, apatico, se non ostile, a Roma, forse oberata dalla presenza di grandi artisti delle precedenti generazioni, laddove a Milano i giovani colmarono un vuoto, e stremata anche nelle più volenterose gallerie, probabilmente molto più dura in una capitale in cui mai ha regnato il mercato dell'arte). Nel gennaio del'87 Pietroiusti presenta nella personale al Desiderio tovaglie di carta che le persone scarabocchiavano ( la mostra si svolgerà in due tempi: nella seconda fase le tovaglie già segnate verranno appese al muro e questo muterà il rapporto del pubblico con esse).
Considerando quindi questa linea di lavoro, non stupisce che Cesare Pietroiusti, abbia deciso, per l'odierna Quadriennale, di ampliare l'invito ad artisti con cui egli lavora e che non erano stati rappresentati e che essi abbiano proposto un ulteriore ampliamento configurando una sorta di interno Salon des Refusés come progetto collettivo. Nell'88 Nardone apre Alice con la mostra di Alfredo Pirri, nell'89 ci saranno i Piombinesi che includono ormai anche Pietroiusti e più tardi Arienti, mentre il ciclo si chiuderà con Storie, prima ad Alice e al Campo che le si affianca, poi nelle due gallerie di Casoli e infine da Noire a Torino (Bond, Doherty, i Piombinesi...a cura di Christov-Bakargiev e Nardone)

da Laura Cherubini, Roma e altro, in catalogo XII Quadriennale di Roma. Italia 1950-1990 , Ultime generazioni , Edizioni de Luca, Roma 1996

giovedì 14 luglio 2011

Una nuovissima generazione nell'arte italiana, Siena, 1985

Una nuovissima generazione nell'arte italiana
a cura di Enrico Crispolti

Fortezza medicea, Siena, agosto 1985

Fu questa la prima mostra "pubblica" a cui vennero invitati a partecipare Falci, Fontana e Modica. Il curatore, Enrico Crispolti, mostrò di riconoscere la peculiarità e contiguità del lavoro dei tre artisti raggruppandoli in una sezione, Azione partecipata, creata appositamente ed esclusivamente per loro.

Quelques éléments d'information sur une nouvelle génération d'artistes en Italie

da Quelques éléments d'information sur une nouvelle génération d'artistes en Italie

di Eric Troncy pubblicato in Halle sud n.23, I trimestre, 1990, pag. 21

Adeguamento del ruolo della galleria al contesto artistico e sociale: il caso de Lascala

Adeguamento del ruolo della galleria al contesto artistico e sociale: il caso de Lascala
di P.F. Angeleri e Leo Carlesimo

Relazione in rappresentanza di Lascala c/o.al convegno Il nuovo sistema dell'arte, Internazionale d'arte contemporanea , Milano 26-28 maggio 1987.





   La galleria Lascala nasce in pieno clima di Transavanguardia e vi si contrappone con rigore e fermezza di intenti. Alla dissoluzione del senso della storia, che rinchiude l'artista nella prospettiva di un operare artistico, che non può essere che un rifare, in quanto reso avulso dal contesto storico-critico, Lascala contrappone il progetto di una ridefinizione dei modelli e delle metodologie di analisi del comportamento estetico.
Negli anni 1982-1985 Lascala contribuisce a costruire una nuova generazione di artisti, il cui operare mostra caratteristiche consimili più ad un ricercatore scientifico che a un artista. Oggetto del loro lavoro non è più la realtà interiore dell'artista, ma bensì i rapporti che egli, inteso come qualunque, intrattiene con le cose, intese come qualsiasi cosa. Questo rapporto è affrontato e analizzato per il tramite di strumenti di misura, i quali sono disegnati per essere sensibili all'errore, inteso quale scarto dal grado zero. In questo nuovo modo di procedere l'artista si confronta con gli elementi fondanti del suo operare.
L'artista diviene progettista, disegna, costruisce sperimenta macchine, che altro non sono che strumenti concepiti per rilevare scostamenti di comportamenti dalla norma, intensità di azioni, che vengono registrate solo se al di sopra di un valore di soglia, forme e manifestazioni di creatività involontaria. Ma gli artisti non sono gli unici protagonisti, il critico stesso documenta il proprio lavoro d'indagine ed analisi delle metodologie e degli strumenti dell'operare artistico.
In questa fase, Lascala ha, per così dire una configurazione di tipo tradizionale, e costituisce il luogo dove le risultanze sperimentali vengono illustrate e macchine e strumenti esposti.
Tuttavia l'aver constatato che la galleria, quale sede della fase di documentazione, avulsa dal contesto naturale nel quale nasce ogni esperimento, non costituisce contenitore asettico, ma bensì contesto connotato di valori storico-funzionali, ha posto le premesse per la trasformazione de Lascala nella attuale configurazione, cioè in un luogo altro dalla galleria.
E' evidente che una galleria militante non si pone né come vuoto contenitore disposto ad accogliere ed a sostenere operazioni artistiche di matrice diversa, né tantomeno come semplice intermediario di mercato tra produttori – eventualmente appartenenti ad un'area più o meno omogenea – e consumatori di opere d'arte.
Al contrario, la galleria, strettamente connotata dal credo estetico del gruppo di artisti che essa sostiene, ne assume coerentemente tutte le conseguenze, derivando da queste la sua identità e le direttrici del suo modus operandi.

Il gruppo di artisti attualmente legato alla galleria Lascala – il cui nucleo principale, composto da Falci, Fontana, Modica e Pietroiusti è presente in questa Fiera internazionale d'arte contemporanea nell'ambito della sezione “Nuove gallerie milanesi” - individua come oggetto del proprio lavoro l'ambiente, inteso quale elemento condizionante dell'esperienza estetica, ambiente che diviene, di volta in volta, ora il campo di indagini di tipo comportamentale, ora ricettore di interventi tesi, in diversa misura, a mutarne la dinamica o ad evidenziarne aspetti altrimenti ignoti. Nascono su questi presupposti lavori imperniati su forme di creatività spontanea – eventualmente sollecitata o manipolata dall'artista – (le tovaglie e le scatole di Pietroiusti, i vetri di Falci), o sul set di risposte che l'artista stesso è in grado di ottenere inserendo in un dato ambiente opportuni “oggetti di stimolo”, ovvero progettando operazioni miranti a suscitare e registrare un determinato tipo di interventi ( i camminamenti di Falci, il rilevatore estetico di Modica, i contenitori di Fontana).
Se l'artista, uscendo non solo fisicamente dal suo atelier, elegge l'ambiente che lo circonda a mileau della sua opera mirando a ridefinire per questa via il suo stesso ruolo, allo stesso modo la galleria, all'interno della quale egli espone i suoi lavori, deve subire una metamorfosi parallela. Nei primi anni della sua attività, Lascala si identificava con un luogo fisico all'interno dl quale venivano tenute delle mostre, articolate in una regolare stagione; l'esposizione del lavoro dell'artista si svolgeva dunque in un ambiente espressamente deputato a questa funzione e chiaramente connotato ad essa. Questa definizione di luoghi e funzioni, che ha certamente il pregio della chiarezza, si è rivelata tuttavia a lungo andare un limite sia al ruolo che la galleria era in grado di svolgere – in termini di presentazione e diffusione del lavoro degli artisti – sia all'attività degli stessi artisti, trasformandosi via via in un freno all'evoluzione delle loro opere. La galleria d'arte insomma, intesa come luogo eplicitamente ed unicamente deputato all'esposizione, sembrava in questo caso rimanere irrimediabilmente in arretrato rispetto al lavoro degli artisti; e la fase espositiva sembrava trasformarsi non in un momento di diffusione, ma nel suo contrario, in un momento di chiusura, trasferendo tra le rigide pareti di una galleria lavori nati all'interno e in funzione di un contesto più ampio.
E' sulla scorta di questo logoramento della galleria intesa in senso tradizionale, che è maturata l'esigenza di ridefinirne, almeno parzialmente, il ruolo ed il modo di operare, sia trasferendo l'esposizione in un luogo non strettamente designato ad ospitare mostre, sia modificando l'accezione stessa del termine galleria, che viene ad indicare una unità mobile, più legata al lavoro dei suoi artisti – e funzionale ad esso – che ad un luogo specifico e, soprattutto, ad un pubblico specifico. Ne è nato il bar-gallery presso il quale Lascala ha tenuto le sue mostre nella stagione '86-'87.

Il bar-gallery - “Il desiderio preso per la coda”, dal titolo di una commedia di Picasso – è stato inaugurato nel novembre '86 con una live action e successiva mostra di Terry Fox e Marino Vismara; sono seguite la mostra di Ettore Innocente “Chiunque...” , e, dopo un breve interludio durante il quale “Il desiderio preso per la coda” è stato sede di una operazione-esperimento di Stefano Fontana, le due mostre di Cesare Pietroiusti (“N titoli”) e di Salvatore Falci (“Azioni costanti”); l'ultima mostra, attualmente in corso, è intitolata “I Rulli”, e Renato Mambor vi espone lavori degli ultimi anni '60.
Per descrivere sommariamente i punti sui quali verte l'attività della galleria Lascala ci è sufficiente rienumerare quelli su cui verteva l'attività della galleria di Durand-Ruel, che può essere considerato a buon diritto l'antesignano del mercante moderno: mostre individuali e collettive in galleria, fondazione di riviste specializzate con funzioni critiche, contratti con i pittori con l'acquisto di parte della propria produzione, organizzazione di mostre all'estero, etc.

Quanto il bar, il caffè sia legato alla storia dell'arte moderna – come luogo d'incontro e di discussione per gli artisti, e talvolta anche come sede di esposizione – è probabilmente inutile ricordarlo; basti pensare al Cafè Guerbois degli impressionisti o, senza allontanarsi troppo, al vecchio Jamaica qui a Milano. Al di là di questa vaga legittimazione storica, tuttavia, più semplicemente il bar risponde all'esigenza di un luogo aperto, frequentato da un pubblico di composizione più eterogenea rispetto a quello che una galleria tradizionale è in grado di catturare, e in generale di un ambiente più profondamente inserito in un contesto (urbano) che lo accoglie. Che si tratti di un'esigenza nata direttamente dal gruppo che a Lascala fa capo, e dunque come adeguamento della galleria al ruolo e ai metodi dei suoi artist, è già stato sottolineato a sufficienza. Tra le conseguenze di questo trasloco della galleria, di questa sua diversa collocazione, due sono quelle che qui si intende evidenziare.
La più immediata è la disponibilità di un luogo che possa fungere non solo da sede espositiva, ma anche da laboratorio, ove sia consentito agli artisti di porre in atto i loro esperimenti (progettati, come temi a soggetto, sull'interazione con un ambiente tipo, in questo caso lo stesso bar). In questo senso, il bar possiede quei requisiti di neutralità che alla galleria fanno difetto; infatti non solo esso è frequentato da un pubblico più vario, ma, ovviamente, è frequentato in modo diverso. Dai ready-made di Duchamp conosciamo il potere che una galleria esercita sugli oggetti che accoglie, e quali capacità possieda di alterare il nostro modo di percepirli. Questo potere agisce sul pubblico in modo difficilmente controllabile; chi si reca in galleria, sa ancora prima di entrare che ciò che va a vedere (o a fare) è comunque parte di una mostra, e chiaramente condizionato da questa coscienza matura in base ad essa una serie di aspettative. Come laboratorio dell'artista, la galleria è un luogo fortemente connotato, e i risultati degli esperimenti ne sono chiaramente distorti. Le tovaglie di Pietroiusti – che raccolgono una serie di interventi di avventori del bar sulla base di disegni-stimolo tracciati dall'artista – possono essere prese ad esempio di questo genere di operazioni-esperimento progettate sull'ambiente (lo stesso ambiente che, in un secondo momento, ospiterà il risultato dell'operazione). In questo caso, tra l'altro, uno degli aspetti messi in luce è precisamente l'influenza che la consapevolezza di “essere visti”, di partecipare con il proprio contributo ad una vera e propria mostra, esercita sugli interventi operati dal pubblico. Assai diverso sarebbe stato il senso di un'operazione analoga realizzata in galleria ( cosa che del resto lo stesso artista aveva fatto alcuni anni prima, presentandola però sotto forma di test.
Il secondo elemento da tenere presente, deriva dal fatto che il bar-gallery è evidentemente un luogo ibrido, che vive sul filo di una doppia identità, perchè assolve contemporaneamente a due funzioni assai diverse tra loro. Queste non possono mai integrarsi perfettamente; né devono farlo. La dialettica tra uso conviviale ed uso estetico dello stesso ambiente è l'elemento che più di ogni altro sancisce la differenza rispetto alla galleria tradizionale. Nel bar-gallery, è il primo che apparentemente prevale sul secondo (eccezion fatta per le serate di vernice), ed anche questo è ragionevole; senza stravolgere l'abitus consueto del luogo che la ospita, la mostra tuttavia lo trasforma, riaffiora costantemente al di sotto della patina abituale del locale.
Questa invasione non distruttiva che conserva all'ambiente-ospite (qualunque esso sia) il suo statuto pre-galleria ma vi dissemina le trappole escogitate dall'artista, è forse l'obiettivo principale dell'abbandono della galleria come sede stabile di esposizione e, rispondendo ad una evidente esigenza di espansione, assume i caratteri di una parziale colonizzazione. E' chiaro, su questa base, che la scelta di un luogo altro dalla galleria non può presentarsi come un'iniziativa estemporanea, ma deve assumere la solidità e la durata minime di un progetto. Allo stesso modo, come la mostra si sposta dalla galleria propriamente detta per approdare ad un bar, non vi sono ragioni per cui debba necessariamente restarvi; si possono immaginare – con l'unica innovazione della sistematicità – gallerie mobili ospitate dalle hall degli alberghi, dalle sale d'imbarco degli aeroporti, dai locali di uno shopping-center.

mercoledì 13 luglio 2011

Salvatore Falci, Intervista a Flash Art, 1990

Intervista a Flash Art
a cura di Giacinto Di Pietrantonio
in Flash Art n.156, giu-lug 1990, pagg. 136-137


Cesare Pietroiusti, Cesare Pietroiusti, galerie de Paris, 1989

Cesare Pietroiusti
Cesare Pietroiusti

galerie de Paris, Paris, 1989

press release


Eric Troncy in Artscribe, n.83, set-oct, 1990

martedì 12 luglio 2011

Arte a Roma 1980-1989: nuove situazioni ed emergenze, Roma, 1989

Arte a Roma 1980-1989: nuove situazioni ed emergenze
a cura di Ludovico Pratesi

galleria Rondanini, Roma, 1989

Pino Modica, Flipper, 1988

Cesare Pietroiusti, Palazzo Rondanini 6 giugno 1989, 1989
Durante una mostra a Palazzo Rondanini avevo registrato i suoni e le voci prodotti dal pubblico che la visitava. Il mese seguente, in occasione della mostra a cui partecipavo, diffusi attraverso altoparlanti nascosti queste registrazioni e lasciai vuoto lo spazio a me riservato (cfr. Cesare Pietroiusti, A certain number of things 1988-2001, Roma, 2001)

Domenico Nardone, intervista a cura di L.Pratesi, pubblicata in catalogo




Stefano Fontana, 40.518, galleria Vivita 1, Firenze 1990

40.518
Stefano Fontana

galleria Vivita 1, Firenze, febbraio-marzo 1990

Stefano Fontana ha affisso per le vie di Piombino un manifesto che riproduceva un suo ritratto a mezzo busto. Come quelli in cui i cantanti di provincia pubblicizzano le loro serate. Come quelli in cui i politici senza fama cercano almeno di divulgare un'immagine sana e rassicurante di se stessi. Strani ritratti questi, falsi e artificiali come il sorriso degli imbonitori e lievemente malinconici, anche. Con quel bianco e nero e quel retino grossolano che sanno di roba fatta in casa e alla buona.
Sotto il ritratto i manifesti recavano stampigliato un numero di telefono a cui rispondeva una voce registrata che ripeteva: "Risponde il numero 40.518 Lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.
A noi rimangono i manifesti deturpati dalle caricature e coperti di commenti, spesso d'improperi; i messaggi raccolti dalla segreteria telefonica; gli strani accostamenti involontariamente realizzati dagli attacchini comunali, resi nella mostra da alcune gigantografie documentarie.
Campagna pubblicitaria e segreteria telefonica, strutture portanti del villaggio globale, inserite e messe in funzione dall'artista nel vivo di un villaggio reale, in cui realmente quasi tutti si conoscono almeno di vista, si riconoscono e quando s'incontrano si salutano.
L'opera di Fontana è tutta nello stridore vibrante di questo contrasto, nell'assurdo cortocircuito dei commenti, pareri e messaggi che s'intrecciano e si aggrovigliano sullo scenario allestito dall'artista come in una beffa.
Come in una farsa.
E come in questa e in quella viene il sospetto che laddove fa uno scherzo, è nascosto un problema.
(Domenico Nardone, comunicato stampa della mostra)


   Stefano Fontana fece stampare un manifesto che riproduceva la sua immagine a mezzo busto. Un ritratto banale in bianco e nero con un mezzo sorriso, lo sguardo fermo ma sperso a guardare un altrove denso di significati, la camicia aperta a mostrare la catenina e, stampato in basso, un numero. Che era un numero telefonico a cui rispondeva una voce registrata che recitava: “ Risponde il nuero 40.518. Lasciare un messaggio dopo il segnale acustico”. Questi manifesti furono affissi per le strade di Piombino e dentro alcune scuole. Il caso volle che l'attacchino a volte mettesse questo manifesto accanto a un messaggio politico in modo che il ritratto somigliasse a quello di un politico in cerca di voti, oppure che altre volte lo sistemasse in successione ossessiva fino a farlo associare a quello di un cantante da balera che reclamizza le sue serate, o ancora forse a quello di un santone, cartomante, o chiromante, in cerca di clienti.

Stefano Fontana e interventi anonimi, 40.518

Ma certamente queste, per tutti quelli che vedevano questa immagine così intrigante, erano solamente ipotesi. Per chi voleva una risposta c'era solamente quel numero telefonico, al quale rispondeva solo una segreteria meccanica che non offriva chiarimenti. Anzi chiedeva parole.
In galleri l'artista riporta la curiosità e l'interesse che quell'immagine aveva scatenato nella gente. Infatti la maggioranza delle voci che ora noi ascoltiamo dai registratori sistemati in una delle stanze della galleria esprime insieme a commenti più o meno benevoli un interrogativo insistente: “Ma chi sei?”. E buona parte dei manifesti ora attaccati in galleria, segnati dalle solite frasi e da disegni osceni, recano scritto ancora: “Chi sei?”.

Fontana si diverte a provocare e a mettere in difficoltà la gente. Come quando in maniera disarmante afferma: “Io sono un genio”. Le su azioni entrano in collisione con il tranquillo paesaggio che circonda ciascuno. Immettono un elemento straniante, perturbante, mentre lui si diverte a osservare cosa succede.
(Maria Luisa Frisa in Flash Art n.156, 1990)

Piombinesi in cerca d'identità

Piombinesi in cerca d'identità
di Gianluca Marziani, pubblicato in L'Opinione , 1 maggio 1996, pag.20


venerdì 8 luglio 2011

Oltre il Grande rettile, Livorno, 2010

Oltre il Grande rettile. Finestre sull'arte contemporanea a Livorno
a cura di Stefano Pezzato

Museo civico Giovanni Fattori - ex Granai di Villa Mambelli, Livorno, 2010




Salvatore Falci, Fontana Borgo san Jacopo, 1990-1997, cm. 231 x 190, erba su forex





Stefano Fontana, Unione Depauperati Consapevoli: No alla diga sul Cornia, azione, 1995-in corso.
Campagna di mobilitazione contro un inesistente progetto di erigere una diga lungo il corso del fiume Cornia.

Pino Modica, Falegnameria Della Lena, 2004, cm, 80 x 155, plexiglass e impianto luce.
Lastra di plexiglass sovrapposta al piano di lavoro di un laboratorio di falegnameria per la durata di due settimane.

domenica 3 luglio 2011

Cesare Pietroiusti, Cesare Pietroiusti, Studio Casoli, 1990

Cesare Pietroiusti
Cesare Pietroiusti

Studio Casoli, Milano, 1990



press release


Anthony Iannacci in Artforum, set 1989, anno XXVII, n.1