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lunedì 14 dicembre 2015

Marta Leteo, Il Gruppo di Piombino: una risposta al ritorno all'immagine. Teoria e metodologia di contrasto praticata nel reale.

Marta Leteo, Il Gruppo di Piombino: una risposta al ritorno all'immagine. Teoria e metodologia di contrasto praticata nel reale, tesi di laurea magistrale in Storia dell'arte, Università degli studi “La Sapienza”, Roma 2014.


Con l’elaborazione della tesi, Il Gruppo di Piombino: una risposta al ‘ritorno all’immagine’. Teoria e metodologia di contrasto praticata nel reale, si è voluto esaminare, approfondire e valorizzare la storia e l’esperienza di Gruppo nel contesto dei primi anni ottanta e fino agli inizi degli anni novanta, con una piccola incursione anche verso la fine del decennio allo scopo di aprire un inciso sul lavoro, alcuni anni dopo lo scioglimento del Gruppo, sia degli artisti, Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica e Cesare Pietroiusti, che fecero parte del Gruppo, che del critico, Domenico Nardone.
In modo particolare si è cercato di mettere in evidenza l’assoluta singolarità della ricerca dei Piombinesi rispetto alle tendenze artistiche Postmoderne, evidenziando nei loro interventi la lungimiranza di aver anticipato modalità operative in direzione dell’orizzonte teorico dell’Arte Relazionale degli anni novanta.
L’elaborato è stato sviluppato partendo da due linee di ricerca distinte ma compresenti. La ricostruzione storiografica e la riflessione dal taglio critico. Tale approccio è stato possibile grazie allo studio dei documenti diretti ed indiretti che hanno costituito l’ossatura della ricerca da cui e stato possibile, poi, articolare ulteriori considerazioni collaterali.
Il lavoro di ricerca è stato basato sulla consultazione dei cataloghi delle mostre, delle recensioni, degli articoli pubblicati sulle riviste di settore e degli archivi privati, si è proceduto poi con l’analisi di testi filosofici e di libri d’approfondimento su tematiche socio-culturali, al fine di poter avere un riferimento attraverso cui contestualizzare l’esperienza del Gruppo di Piombino rispetto ad un ambito storico, artistico e culturale di più vasta portata. Fondamentali, infine, sono state le interviste ad alcuni protagonisti dell’esperienza Piombinese, quali, gli artisti Cesare Pietroiusti e Pino Modica ed il critico Domenico Nardone, mentre, purtroppo, non è stato possibile intervistare, perché non rintracciati, gli altri artisti Salvatore Falci e Stefano Fontana.

La struttura della tesi, nella sua forma monografica, è stata concepita in tre capitoli suddivisi in paragrafi e sotto paragrafi in modo da organizzare secondo gli eventi più significativi lo sviluppo del racconto. In base ad una scansione cronologica, si è ricostruita la storia del Gruppo di Piombino, a partire dalla formazione fino ad un piccolo accenno sulle ricerche affrontate dagli artisti dopo l’esperienza comune. Si è preferito evidenziare le vicende collettive piuttosto che le vicende delle singole personalità e, attraverso la descrizione ed il commento critico di alcune opere, tra gli anni ottanta e il duemila, si è tentato di sottolineare l’evoluzione dello stile e delle ricerche artistiche dei singoli artisti del Gruppo di Piombino, insistendo anche sull’importanza della teoria e della metodologia in esse profondamente implicate, teoria messa a punto dal critico Domenico Nardone.
Ogni capitolo è stato anticipato da un’introduzione. Queste introduzioni costituiscono dei brevi antefatti rispetto poi a quanto verrà approfondito nei capitoli.

L’introduzione al primo capitolo, dal titolo: Nel contesto del Postmoderno e delle poetiche del ritorno all’immagine”, un breve cenno sulla storia della formazione del Gruppo di Piombino, lascia intendere che ci si occuperà della genesi del Gruppo di Piombino attraverso cenni sul panorama culturale e artistico degli anni ottanta, a partire dalle definizione del Postmoderno, termine con cui è stato identificato lo stesso decennio.
Il primo capitolo, La genesi del Gruppo di Piombino nel clima del ‘ritorno all’immagine” (dal 1983 al 1987), approfondisce gli eventi che portarono alla formazione del Gruppo e alle prime mostre collettive e personali dei suoi componenti tenutasi alla galleria Lascala poi nel ristorante-bar, Il desiderio preso per la coda.
Il capitolo è stato organizzato in modo tale che si potessero trattare contemporaneamente, tramite uno sviluppo ad intreccio, le vicende, dei singoli protagonisti, precedenti alla formazione del Gruppo.
Le storie individuali si ricongiungono nell’ultimo paragrafo del capitolo, dove si approfondiscono gli episodi legati al 1987, anno dell’effettiva formazione del Gruppo di Piombino. In questa sede sono state esaminate le dinamiche che concorreranno alla formazione del Gruppo di Piombino.
Partendo dal retroterra culturale del Centro Studi Jartrakor fondato da Sergio Lombardo, si è potuta indagare la formazione dell’artista Cesare Pietroiusti e del critico Domenico Nardone in seno all’Arte Eventuale. Sono state quindi analizzate le ricerche di Cesare Pietroiusti che progressivamente, a partire dal 1983, lo condurranno ad approfondire l’indagine sulle espressioni involontarie in rapporto all’ambiente naturale. Tali ricerche successivamente porteranno l’artista ad allontanarsi dal Centro Studi Jartrakor di Sergio Lombardo.
Parallelamente si è voluto dare voce al pensiero critico di Domenico Nardone, il quale, uscendo dal contesto del Centro Studi Jartrakor nel 1983, inizierà ad elaborare una teoria dell’arte indirizzata verso la città, il coinvolgimento del pubblico e la ricerca delle forme creative diffuse.
Sono stati ripercorsi, quindi, i vari momenti che hanno dato origine alla “messa in forma” della teoria e della metodologia che sono sottese al lavoro del Gruppo di Piombino, riconoscendo le origini di tale teoria in alcuni testi di critica d’arte elaborati da Domenico Nardone in occasione di alcuni interventi in sedi istituzionali. Tali ricerche sono anche presenti in alcune scelte curatoriali che il critico propose alla galleria Lascala di Roma.
Inoltre sono stati presentati gli interventi ludici e destabilizzanti realizzati dagli artisti residenti a Piombino, Pino Modica, Stefano Fontana e Salvatore Falci. A partire dal 1983, l’interesse di questi artisti si indirizza verso la realtà contestuale. Iniziarono infatti ad indagine le azioni che scaturivano dall’incontro fra un soggetto con un oggetto in un determinato ambiente attraverso interventi urbani.
La mostra Sosta quindici minuti, tenutasi nel 1984, sarà la prima mostra di Salvatore Falci, Stefano Fontana e Pino Modica curata da Domenico Nardone presso la galleria Lascala. Questo evento rappresentò la conferma di un comune orizzonte di ricerca, iniziato da differente percorsi, presupposti e formazioni che, in seguito a questa mostra, verrà proseguito insieme dagli artisti e dal critico attraverso una strategia di gruppo.
Nel 1987 si aggiungerà al primo nucleo l’artista romano Cesare Pietroiusti, che completerà così la formazione del Gruppo di Piombino.
In quello stesso anno gli artisti ed il critico saranno impegnati nel portare avanti un progetto innovativo dal nome Lascala c/o Il desiderio preso per la coda, con il quale proponevano una radicale ridefinizione dei ruoli e delle funzioni degli artisti, del gallerista, del critico, delle opere, della galleria e del pubblico.
L’introduzione al secondo capitolo, dal titolo, Una nuova generazione di artisti italiani nella seconda metà degli anni ottanta, fa capire che verrà affrontato il tema del ritorno alla ricerca e alla sperimentazione che ha portato ad una maggiore attenzione al reale, ravvisato dai giovani artisti italiani, con particolare attenzione al fermento culturale della scena milanese nella seconda metà degli anni ottanta.
Nel secondo capitolo, L’affermazione del Gruppo di Piombino nell’ambito delle ricerche sui dati del reale (dal 1987 al 1991), vengono menzionate le mostre personali e le mostre collettive più significative a cui hanno partecipato Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica e Cesare Pietroiusti, nel contesto nazionale ed internazionale.
Il periodo compreso dal 1987 ed il 1990 corrispose al momento di riconoscimento ufficiale del lavoro dei Piombinesi nel sistema dell’arte. Si è qui accennato alla posizione del Gruppo di Piombino rispetto agli artisti della stessa generazione, enunciando i punti di contatto e le divergenze.
Sono state poi riportate le mostre realizzate nello Studio Casoli di Milano, nella galleria Alice di Roma e nella galleria Vivita 2 di Firenze.
Per tali esposizioni sono state descritte alcune opere al fine di rintracciare il nesso comune riscontrato nella teoria e nel modus operandi che lega attraverso un file rouge il lavoro degli artisti che, però, mantengono vive ricerche del tutto personali.
Inoltre si è parlato delle partecipazioni del Gruppo di Piombino ad importanti mostre collettive nazionali ed internazionali tra cui Arte a Roma 1980-1989: nuove situazioni ed emergenze, Davvero. Ragioni Pratiche nell’arte, Il cielo e dintorni, la mostra Something is happening in Italy, Storie, le Groupe de Piombino a Guérigny, fino alla sezione Aperto 90’ alla Biennale di Venezia.
Questo periodo di riconoscibilità e successo fu seguito da un momento di sbandamento che comportò, insieme ad altri motivi, lo scioglimento del Gruppo tra il 1991 e il 1992, scioglimento di cui si cercherà di mettere in luce le possibili cause.
L’introduzione al terzo ed ultimo capitolo, L’arte degli anni novanta, esamina i caratteri che definiranno l’arte degli anni novanta indirizzati verso un’estetica relazionale tesa a sviluppare tematiche legate all’intersoggettività.
L’ultimo capitolo, L’eredità del Gruppo di Piombino (dal 1991 al 2000), approfondisce l’indagine sull’esito delle ricerche portate avanti dagli artisti in seguito allo scioglimento del Gruppo di Piombino e nel pieno contesto degli anni novanta, verso un arte relazionale secondo la definizione formulata dal filosofo Nicolas Bourriaud.
In tale capitolo si propone un confronto tra le tattiche di resistenza a livello di comportamenti creativi e diffusi e le strategie subliminali messe in atto dal Gruppo di Piombino rispetto ai successivi interventi di DisordinAzione, nei quali si riscontrano alcune analogie e similitudini linguistiche rispetto alle operazioni Piombinesi.
Attraverso le conclusioni si chiude il lavoro della tesi e si tirano le fila della ricerca.
L’obiettivo di tale lavoro è stato quello di portare alla luce le operazioni artistiche sperimentali di Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica, Cesare Pietroiusti, con il supporto critico di Domenico Nardone, allo scopo di sottolineare la tenacia e la pervasività di questi artisti che, attraverso la particolare pratica artistica, sono stati capaci di essere incisivi culturalmente e socialmente anche nell’epoca postmoderna e nel contesto di una società di massa.
Essi sono riusciti a ragionare sui problemi legati alla realtà contingente e alla convenzionalità di ciò che si percepisce nel quotidiano offrendoci un nuovo punto di vista sul già esistente. Ciò permette di ripensare il ruolo dei singoli individui facendo leva sull’espressività individuale involontaria scaturita dai comportamenti creativi attraverso i quali si destrutturano i codici percettivi prestabiliti.
Proprio per i suddetti motivi si deve riaffermare il valore culturale del lavoro dei Piombinesi.



lunedì 14 settembre 2015

L'Arte nello spazio urbano


L'Arte nello spazio urbano. L'esperienza italiana dal 1968 ad oggi.

di Alessandra Pioselli
Johan & Levi Editore, 2015

Il paragrafo 3 del capitolo 5 (pagg. 104-111) è interamente dedicato all'esperienza del Gruppo di Piombino.

Mimetiche e virali le azioni del gruppo di Piombino tesero a rilevare, più che a proporre orizzonti globali di mutamento. Esse puntarono a registrare condotte già in essere o i margini psicologici della libertà tra le pieghe dei condizionamenti, a sollecitare meccanismi di sottrazione spesso non volontari, slittamenti non evidenti alla coscienza che investono esclusivamente la sfera del soggetto.
(...) Cambiò il vocabolario: il "soggetto" sostituì la classe sociale, e la valenza psicologica quella sociologica. Progettate per accadere in luoghi pubblici extrartistici, le operazioni del gruppo di Piombino ritornavano in galleria per sottoporre a "valutazione" i dati ottenuti. I materiali manipolati diventavano testimonianza di una gestualità comportamentale acquisita nella quotidianità. L'artista è colui che opera il prelievo, sorta di readymade esperienziale. Tale impianto relazionale tornò ad attribuire valore alla processualità, riproponendo la messa in discussione dello status dell'autore e dell'opera, ora frutto del caso indotto da una serie di parametri.
(...) Per Nardone il progetto forte era quello moderno dell'avanguardia: una strategia di cambiamento affidata all'arte e attuata attraverso una progettualità militante, esplicitata dalla coesione tra artista, critico e gallerista in una presa di posizione sul ruolo dell'opera e dell'artista contraria alle teorizzazioni postmoderniste di tipo transavanguardistico e citazionista. Tale visione caratterizzò il gruppo di Piombino, distinguendolo dalle tendenze coeve con le quali condivise in ogni caso affinità formali.

venerdì 19 giugno 2015

Conversazione con Ange Leccia e Pino Modica

Conversazione con Ange Leccia e Pino Modica
a cura di Domenico Nardone

Pubblicato in Arte Argomenti n.2, maggio 1989


mercoledì 17 giugno 2015

domenica 8 febbraio 2015

Ettore Innocente, "Chiunque...", 1986

Ettore Innocente, "Chiunque..."

Lascala c/o il Desiderio preso per la coda, dicembre 1986

comunicato stampa

Lunedì 15 dicembre 1986, alle ore 19, alla galleria Lascala c/o il Desiderio preso per la coda, vicolo della Palomba, 23 – Roma, s'inaugurerà la mostra di ETTORE INNOCENTE dal titolo “CHIUNQUE...”. La mostra proseguirà nei giorni successivi, dal martedì alla domenica, dalle ore 20.00 alle 24.00.

La mostra presenta alcuni lavori di Innocente che risultano tutti composti da due elementi: un oggetto ed un enunciato che stabilisce le regole della relazione che il pubblico deve con questo intrattenere.

Negli enunciati, sistematicamente, figura l'impiego del pronome indefinito “chiunque”, da cui il titolo della raccolta.
Innocente appartiene, anagraficamente e per formazione, a quella generazione di artisti, emersa a Roma nei primi anni '60, che diede vita alla sfavillante stagione della “pop-art romana”. Sperimentata in prima persona l'esperienza dell' “ultima pittura possibile”, Innocente è stato tra i pochi, di quella generazione, ad aver trasferito la propria ricerca, stabilmente e senza ripensamenti di comodo, sul terreno, assolutamente non garantito, dell'extra-pittorico.
In questa chiave, il ruolo attivo del pubblico nel processo di definizione dell'arte è sempre stato al centro della sua problematica (emblematica la serie dei “Take one”, lavori in cui il pubblico veniva invitato ad impadronirsi di frammenti modulari dell'opera, che mutava così continuamente forma in relazione agli spostamenti nello spazio di tali frammenti).
Centralità di ruolo che i “chiunque...” raccolti in questa mostra ribadiscono nella forma forse più radicale, in cui l'interazione del pubblico con l'oggetto viene assunta come indispensabile per realizzare la promozione ad arte di quest'ultimo.

 
La mostra “Chiunque...” raccoglie una serie di lavori di Ettore Innocente – alcuni dei quali realizzati, altri rimasti allo stadio di progetto (“Fluidiforme”, 1973) – che punteggiano irregolarmente la sua produzione.
Il criterio che consente di raccoglierli sotto un denominatore comune verte in primo luogo sulla particolare configurazione di base che essi si trovano a condividere. Ognuno di questi lavori appare infatti costituito da due elementi: un oggetto e un enunciato.
Nell'ambito di tale configurazione di base, si può osservare come alla componente oggettuale siano consentiti – almeno apparentemente – dei margini di variabilità più ampi di quelli ammessi per l'enunciato.
Consideriamo, a titolo di esempio, Sette piastre speculari in acciaio inox... (1975).
L'enunciato, nella fattispecie, è espresso nei seguenti termini:

Chiunque condensa il proprio alito su una delle piestre
allora verifica il tempo della propria esistenza

che in un linguaggio logico-matematico possiamo formalizzare nell'espressione:
∀x (yx--->fx)
dove x sta per “qualunque sia il valore di x” (1), y per “condensare l'alito su una delle piastre”, f per “verificare il tempo dell'esistenza” e il segno ---> per la connessione “se..allora”.
Ad un livello più generale, questa implicazione asserisce che tutti i valori di x che soddisfano la condizione y soddisfano anche f, che è appunto la struttura logica che si ritrova in tutti gli enunciati adoperati da Innocente nei Chiunque...
 
 
Le regole che presiedono alla formulazione dell'enunciato, identificabili nella struttura logica testè evidenziata, stabiliscono per quest'ultimo dei vincoli che, in linea teorica, non hanno corrispettivi per la scelta della componente oggettuale. In maniera tale che l'unica condizione a cui deve sottostare la scelta dell'oggetto diventa la possibilità di formulare, in relazione ad esso, un enunciato del genere sopra descritto.
Questa sostanziale indifferenza emotiva nella scelta della componente oggettuale, nonché il suo essere subordinata alle ragioni dell'enunciato – posizione che risulta per certi versi analoga a quella assunta da Duchamp nei confronti dei ready-made – ci spinge a cercare nelle implicazioni dell'enunciato il significato di queste operazioni.
L'enunciato, come abbiamo visto, consiste di una proposizione antecedente e di una conseguente. L'antecedente stabilisce, per la relazione tra soggetto e oggetto, delle modalità (“alitare”, “urlare”, “passare o fermarsi”, etc.) che – ogni qual volta si realizzino – comportano necessariamente la realizzazione di quanto asserito dalla proposizione conseguente (“la verifica del tempo della propria esistenza”, “la realizzazione di un lavoro di Ettore Innocente, etc.).
In questo modo l'enunciato sottrae la definizione dell'arte ad ogni correlazione con una particolare classe di oggetti, radicandola, viceversa, nell'esperienza del soggetto, nel cui ambito l'individua come una particolare modalità di relazione di questo con gli oggetti.
Gli oggetti qui presenti, in altre parole, non mostrano di possedere in permanenza, e, soprattutto, in assenza di un oggetto che con essi interagisca quella qualità artistica che, nondimeno, assumono temporaneamente ogni qual volta abbia luogo l'interazione indicata dai rispettivi enunciati.
Orbene, proprio nella dinamica, replicabile all'infinito, per cui l'oggetto si trova ad assumere e dismettere continuamente da sé la qualità artistica, l'operazione di Innocente si distingue radicalmente dalle già citate nomine di Duchamp.
Laddove queste trasformano, in primo luogo e stabilmente, lo status dell'oggetto – e solo come conseguenza di questa trasformazione primaria modificano la sua relazione con il soggetto – gli enunciati di Innocente trasformano in primo luogo la relazione del soggetto con l'oggetto e solo secondariamente e per un tempo sempre provvisorio lo status di quest'ultimo.
Domenico Nardone
 
(1) Il campo di variabilità della “X” è qui implicitamente circoscritto a  tutti gli esseri viventi che sono fisicamente in grado di svolgere l'azione prescritta dall'enunciato.