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giovedì 12 dicembre 2013

Stefano Romano, Vuoi giocare?, 2002


Stefano Romano
Vuoi giocare?

galleria Alice&Altri lavori in corso, febbraio 2002

 invito


comunicato stampa
Il gioco è un fattore molto importante della vita di ogni persona, è una delle prime cose che impariamo da bambini; tuttavia crescendo questo elemento viene messo sempre più in secondo piano, abbandonato o comunque trasformato. Il gioco è un confronto tra due o più persone (o con se stessi) ed i meccanismi che si attivano durante una partita sono quelli della vera e propria sfida: l'accanimento, l'insicurezza dei movimenti, l'imitazione delle mosse dell'avversario, la concentrazione e le smorfie del volto, la paura di sbagliare o di favorire l'avversario. Questi meccanismi si attivano sempre e comunque, chiunque sia la persona con la quale si sta gareggiando, forse anche perché giocare contro qualcuno ci da la possibilità di mandare dei messaggi a chi ci sta di fronte senza bisogno della comunicazione verbale, ma usando i nostri gesti, le nostre azioni come mezzo per esprimere ciò che vorremmo dire all'altro, in maniera non meno efficace. Vuoi giocare? prevede una serie di incontri tra le persone tramite un gioco da tavolo: "Jenga". Il gioco consiste nel mantenere in equilibrio una torre di mattoncini in legno disposti in file di tre alternate una sopra l'altra a formare una torre. A turno i due sfidanti tolgono un mattoncino da una fila qualsiasi della torre e lo ridispongono sopra l'ultima fila (quella più alta) dalla quale non si possono togliere mattoncini. Lo svolgersi del gioco rende sempre più alta ed instabile la torre e naturalmente sempre più difficoltosa l'azione del togliere e mettere. Colui che sfilando un mattoncino da sotto la costruzione o sistemandolo sopra la farà cadere avrà perso l'incontro. A tutti i partecipanti verrà regalato alla fine della partita un mattoncino dove è stata stampata la frase: "La pazienza è vittoria".

Stefano Romano, Vuoi giocare?
stampa fotografica, cm. 13x18, 2002
 
 Stefano Romano, Vuoi giocare?
stampa fotografica, cm. 13x18, 2002

Un effetto non del tutto secondario di questo allargamento del campo d'azione è il progressivo allontanamento dell'oggetto dal centro della scena dell'opera, che viene ad essere occupato più chiaramente dall'esperienza vissuta dai fruitori.
Questo fenomeno è estremamente evidente in Vuoi giocare? (galleria Alice&Altri lavori in corso, Roma, febbraio 2002) di Stefano Romano, in cui l'oggetto implicato - un esemplare del Jenga, a cui i visitatori vengono invitati a giocare – non è altro che un prodotto assolutamente di serie, sui cui moduli l'artista si è limitato a stampigliare la frase: la pazienza è vittoria. Il gioco consiste sommariamente nell'innalzamento di una torre, utilizzando i mattoncini modulari che vengono sfilati a turno dai due giocatori: chi fa cadere la torre, perde. Il centro della scena è quindi occupato dalla relazione che si stabilisce tra i due giocatori, compresa tra le opposte polarità della complicità (i due giocatori si aiutano a vicenda nel tentativo di costruire la torre più alta possibile) e dell'antagonismo (le mosse dei giocatori sono volte a mettere in difficoltà l'altro - che in questo caso diviene avversario - e a provocare il crollo della torre il più rapidamente possibile). La struttura di questa relazione rappresenta il centro d'attenzione attorno a cui si distribuiscono le aspettative del pubblico, che culminano e si sciolgono nel punto di catastrofe costituito dall'inevitabile crollo della torre.



 
 
 



domenica 24 novembre 2013

Renato Mambor, I Rulli, 1987

Renato Mambor, I Rulli, aprile 1987

Mambor aveva tracciato i rulli sul soffitto del locale

 
L'esperienza “ufficiale” di Renato Mambor come pittore dura all'incirca un decennio. Ha inizio nel 1959 (collettiva alla galleria Appia, Roma) e termina nei primi anni settanta, quando l'artista decide di chiudere i conti con la pittura per dedicarsi esclusivamente e completamente al teatro (nascita del Gruppo Trousse).
Nell'ambito di questo particolare quanto isolato itinerario di ricerca,i Rulli rappresentano, a tutti gli effetti, il fulcro attorno a cui l'esperienza dell'artista compie una rotazione di centoottanta gradi. E' infatti attraverso i rulli che il lavoro di Mambor esce definitivamente dalla problematica della pittura ed entra in quella dell'azione e del teatro.
I momenti salienti di questo processo di spostamento possono essere così ricostruiti:

1968 – Galleria dell'Ariete, Milano. Espone per la prima volta, col titolo di Itinerari, alcune tele realizzate impiegando i rulli per finta tappezzeria.

1968 – Dipinge con i rulli una parete della sala superiore della galleria La Bertesca di Genova. In questa occasione firma anche delle gouache realizzate da persone a cui vengono affidati i rulli.
In una lettera aperta al critico Nanni Cagnone, apparsa nel luglio del 1968 sulla rivista Pallone, scrive: “La tappezzeria è lo stereotipo che ci avvolge la vita. Mi sono messo a fare il decoratore non per bene, che fa uno sgarbo al suo lavoro uccidendone l'inevitabilità. Riferendomi alla mostra dell'Ariete voglio dirti che il box ne è il limite simbolico, mentre il vero limite è il supporto che traspone la parete sulla tela. Io non voglio che l'itinerario diventi un oggetto soggetto a vendita, che nasca nel farlo e muoia nel darlo per buono. I suoi limiti sono diventati nel frattempo i limiti stessi della pittura”.

1972 – Galleria del Naviglio, Milano. Presenta nuovamente gli Itinerari. Stavolta accanto ai quadri sono esposti anche i rulli utilizzati per eseguirli. La mostra è inoltre accompagnata da un catalogo che riproduce, in tutto e per tutto, quelli usati in commercio per pubblicizzare le “macchinette a rullare”.

1982 – Nell'ambito della manifestazione Censimento Teatrale (Roma), presenta con il Gruppo Trousse gli Itinerari interni – alcuni rulli vengono messi a disposizione del pubblico perché possa lasciare delle tracce sulle pareti del teatro – e quelli esterni – due macchine traccialinee vengono affidate a due operatori specializzati perché traccino delle linee sull'asfalto a loro piacimento.
 
Renato Mambor, Itinerari, 1968
 
Questa ricostruzione mette in rilievo tutta la duplicità di valenza dei Rulli di Mambor, vera e propria ricerca di confine che, se da una parte affonda le proprie radici nella fissità del quadro, da cui prende le mosse e che quasi immediatamente riconosce come limite, dall'altra estende le proprie ramificazioni verso la dinamica dell'azione e del comportamento.
I quadri realizzati con i rulli, in questa chiave, presentano un aspetto sintomatico in quel loro apparire superfici slabbrate e incapaci di contenere il segno dell'artista (il rullo dà sempre l'impressione di attraversare la tela con una certa noncuranza, come se si trattasse del brevissimo segmento di un percorso molto più lungo e interessante).
L'artista, già in queste tele, mostra di non essere interessato tanto alla produzione di oggetti estetici fine a se stessi, quanto a proporre una deviazione dell'oggetto comune dai binari della sua utilizzazione convenzionale e stereotipata (mi sono messo a fare il decoratore non per bene, che fa uno sgarbo al suo lavoro uccidendone l'inevitabilità). Deviazione che, a ben vedere, cessa di essere virtuale e diviene reale solo nel momento in cui l'oggetto abbandona la posizione – fondamentalmente di stallo – del ready-made (oggetto sottratto all'uso e sottoposto a contemplazione) e rientra nel circuito dell'uso.
E' infatti consegnando al pubblico i rulli perché se ne serva come meglio crede o affidando le macchine traccialinee agli operatori con l'istruzione di tracciare le linee come vogliono che Mambor, reintegrando l'oggetto nella realtà dell'uso, permette ad esso di sviluppare le nuove potenzialità di cui l'ha arricchito.
Ed è proprio questa visione dell'arte come qualcosa di strettamente correlato alla fenomenologia del quotidiano, nel cui ambito agisce ricaricando d'aura gli oggetti, rivoluzionandone la nostra percezione e i rapporti che con essi intratteniamo abitualmente, a fare dei Rulli un'opera straordinariamente attuale.
 
Domenico Nardone
 
*Il testo è parzialmente riprodotto anche in Renato Mambor, L'idea del rullo, Tracce su carta dal '68 ad oggi, Ed. Soligo Art Project, 2001


 
 

lunedì 18 novembre 2013

Dialogo tra Simona Antonacci e Domenico Nardone


Dialogo tra Simona Antonacci e Domenico Nardone

Il testo che segue è il frutto di un lungo scambio di e-mail intercorso tra i due autori tra l'aprile ed il maggio del 2011. Di comune accordo il testo viene lasciato quasi grezzo come materiale documentario di prima mano. Una versione quasi integrale del testo è riportata anche in Simona Antonacci, L'altra Roma negli anni Ottanta. L'Eventualismo e il Gruppo di Piombino, tesi di specializzazione in Storia dell'Arte, Università degli Studi di Siena, 2011.


L'arte è agguato e trappola, un'imboscata tesa al senso comune
che ne mette in mora le certezze mandandole in pezzi ..

Gentile Domenico,
grazie degli ulteriori testi, mi sono molto utili, sta diventando più chiaro il quadro della "guerriglia" di cui mi parlava, e ho una chiave di lettura efficace per leggere il testo che mi ha consigliato
Non è vero (1)
.
Purtroppo non riesco ad aprire il collegamento ad undo.net, a che pagina faceva riferimento?
Come sa raccolgo tutto, quindi se avessi l'impulso di mandare altro...non esiti!
un saluto,
Simona

Gentile Domenico,
scusami se ti do del tu ma mi viene più naturale a questo punto e scusa per il ritardo nella risposta ma solo oggi ho ripreso il contatto con il computer e tutto il resto.
dunque: non ho "L'Avanguardia di Piombino e il movimento subliminale diffuso" , che dal titolo capisco mi sarebbe molto utile.

Ti ringrazio per i testi, alcuni mi hanno chiarito meglio il passaggio tra l'approccio Jartrakor e il distacco, motivato, ora mi è chiaro, da un diverso approccio al reale:
tra l'opera inserita nel chiuso del contesto "arte", al suo inserimento negli spazi di vita reale, motore poi dell'approccio subliminale. Davvero interessante e utile per me per capire "dove porta" questa avanguardia è il testo "Dall'arte subliminale all'opposizione militante" . Inoltre mi sono molto divertita a leggere lo scambio con la Monferrini (2), c'è stato un seguito?
Sei stato molto gentile a riportarmi il testo della mostra con Crispolti a Siena (3), anche quello comunque ce l'ho già, ho il foglio orginale datomi dal professore appena gli ho parlato del progetto di tesi.
Però è importante per me collocarlo "storicamente" come prima mostra pubblica in cui sono stati invitati, dunque riconosciuti all'esterno come gruppo, quindi grazie della segnalazione.
intanto ho sentito Modica e Fontana, che andrò a trovare a Piombino questo fine settimana o a fine aprile, e il povero Falci, che ho intercettato in ospedale dopo una caduta, lo ricontatterò tra qualche giorno.
Sono molto felice di essere un elemento di attivazione di nuove letture, spero anche di riattivazione di legami e contatti.


Adesso, Tania, sopprimi anche il "gentile" ed i "cordiali saluti"...
Oggi ho incontrato la mia amica Anna Pocchiari che era la proprietaria de "Il Desiderio preso per la coda" che esiste ancora e che poi finanziò Alice. Lei potrebbe parlarti del clima di quegli anni ed ha della documentazione fotografica che io non ho. Le ho parlato del lavoro che stai facendo e sarà senz'altro disponibile. Puoi chiamarla al locale all'ora di pranzo per prendere un appuntamento. Se decidi di andarci, fotografa tutto e poi magari mi passi il materiale....è anche una delle poche collezioniste che possiede un opera di Pietroiusti..


Che meraviglia grazie! Ci andrò molto volentieri.
Domani la chiamo per accordarmi e andrò armata di macchinetta fotografica, vedrò di incontrarmi con lei all'ora di pranzo o di cena.
Invece per quanto riguarda Modica e Fontana li incontrerò sabato 30 a Piombino,
un saluto,
simona


Mi stai facendo lavorare, ma forse ne vale la pena. La relazione che ti mando non è mai stata pubblicata ma, rileggendola e notando la sua data mi sono stupito da solo...
Rileggendomi, come tu mi costringi a fare, vado scoprendo una coerenza di pensiero che mi sorprende. Tout se tient...



grazie!! Tra l'altro Irene de Vico Fallani la conosco , è una mia
collega, non sapevo ti avesse intervistato!
Sto cominciando a scrivere a partire dall'esperienza eventualista...
credo che presto ti manderò qualche domanda via mail...
un saluto,
simona
ps. ho chiamato la Pocchiari, andrò a trovarla in settimana!

caro domenico,
ho poi letto ieri sera il testo che mi hai inviato (4) e mi sono venute in mente le seguenti domande, se hai voglia e tempo di ragionarci.
Un paio più concrete, altre un po' più simili a libere associazioni di pensieri, un po'scoordinate, scusa:
- in che ambito è stato organizzato il convegno a Siena? da chi?
- chi era il critico cui Andrea Lanini aveva indirizzato il segnale stradale?
ma soprattutto, suggestionata dall'ultima parte del testo: scrivi che la ragione profonda dell'arte va trovata nella necessità - primaria - di sottrarsi all'esistenza automatizzata, alla normalità.

Dunque è necessario ci sia la "norma" per poterla scardinare con l'intervento artistico? e di conseguenza: l'arte deve essere sempre "all'opposizione" per poter agire? e infine, ma questo mi pare il tema cruciale che continuerò ad approfondire attraverso i vostri scritti e forse il cuore del problema delle avanguardie in generale: come si coniuga tutto questo con l'intervento diffuso a livello di grande massa? può produrre - o intende produrre - una trasformazione? l'avanguardia è destinata a trasformarsi in kitsch nel momento in cui si confronta con la "massa", aveva ragione il povero Greenberg?
Mi spiego meglio: se l'intervento artistico mira a scardinare i comportamenti stereotipati propri del vivere normalizzato e "globalizzato"(direbbe Lombardo), ma allo stesso tempo non può esistere che ALL'OPPOSIZIONE rispetto ad esso (perchè se diffuso diventa normalizzato e standardizzato) allora che finalità\prospettive ha? la risposta è forse quella dell'intervento urbano subliminale, ma che è appunto per sua natura o non-progettuale e non verificabile, o al contrario la risposta è già suggerita, tipo domanda retorica (es. via dello Sfratto) (5)? o forse una risposta a questo è rappresentata dall'atto di RICERCARE - si capisce che sto leggendo gli scritti di Lombardo?! - ma di un ricercare sempre nuovo, cioè un continuo cambiare il proprio intervento, stando sempreall'opposizione (il principio della differenziazione della risposta è l'elemento che verifica l'esistenza dell'evento, altrimenti l'evento muore, non esiste)? è questo che prospetti alla fine del tuo intervento? insomma l'arte di avanguardia è un continuo inseguimento dell'evento (dunque insegue non una finalità-soluzione, ma un modello operativo-creativo: insomma non un cosa ma un come)?
spero di essere stata comprensibile...


(rewind)


Insomma l'arte di avanguardia è un continuo inseguimento dell'evento (dunque insegue non una finalità-soluzione, ma un modello operativo-creativo: insomma non un cosa ma un come?)

Il concetto dell'arte di avanguardia come opposizione militante deriva in parte da quello di Rivoluzione permanente di Trotzky – intesa appunto come opposizione (storicamente si chiamerà proprio Opposizione di Sinistra) al consolidarsi degli apparati burocratici nel nascente stato sovietico e alla sua involuzione in senso autoritario.
L'opposizione militante è quindi evidentemente un modus operandi, che produce continuamente modelli alternativi a quelli divenuti normativi dell'esistenza quotidiana, in una sorta di ininterrotta fuga in avanti; in altre parole, per definizione, non ha un progetto di gestione dell'ordine costituendo, ovvero, nella tua terminologia, una finalità-soluzione.
Fermo restando che occorre comunque distinguere tra due diversi livelli di produzione d'arte: uno, ristretto e più propriamente euristico, in cui l'avanguardia mette a punto ed elabora questi modelli alternativi attraverso procedure sperimentali, l'altro, diffuso e più dilatato nel tempo, in cui questi modelli trapassano nel corpo sociale divenendo progressivamente cultura e pratica di massa (per quanto riguarda più direttamente il periodo che t'interessa, puoi notare il realizzarsi di questo fenomeno nel modo in cui le pratiche sperimentali dell'avanguardia di Piombino si siano trasformate nella pratica delle disordinazioni in comportamenti diffusi. A questo proposito, Lombardo ti ha mai detto che suo figlio Giuliano è stato uno dei leader del movimento delle disordinazioni?).


Dunque è necessario ci sia la "norma" per poterla scardinare con l'intervento artistico? e di conseguenza: l'arte deve essere sempre "all'opposizione" per poter agire?

La necessarietà di una norma rispetto alla quale l'arte si definisce come scarto è anche, se non soprattutto, nella teoria di Lombardo. Del resto non credo sia mai stato dato un contesto sociale in cui non vigano norme...


chi era il critico cui andrea Lanini aveva indirizzato il segnale stradale?

Il critico a cui era indirizzata la lettera di Lanini era Bruno Mantura.


p.s. Ti allego un divertente articolo di Sandro Veronesi (6) che all'epoca aveva appena pubblicato il suo primo romanzo e non era ancora uno scrittore famoso. Spero ti possa essere utile a comprendere un certo clima e il fatto che la militanza si esprimeva allora non solo nei testi teorici ma anche negli interventi estemporanei. Il Fulvio citato è Fulvio Abbate, scrittore e critico d'arte allora vicino alle posizioni dell'Astrazione povera, Dario è Dario Evola, docente all'AA.BB. di Roma e lontano parente dell'artista.


Due invii. Il primo è ancora un intervento non pubblicato per il convegno realizzato alla Fiera di Milano nel 1987 (7). Molto spesso, se non ero tra i primi relatori a dover parlare, riscrivevo anche completamente i miei interventi, come in questo caso, per adeguarli alla situazione.Te lo mando perchè, al di là delle note polemiche che sono comunque abbastanza frequenti nei miei interventi pubblici e che comunque dicono del mio modo di fare critica militante, mostra come l'avanguardia di Piombino abbia sempre avuto, rispetto al “lombardismo” di stretta osservanza, una maggiore attenzione al contesto internazionale, come attestato da mostre come Storie o quella di
Guerigny, nonché dalle personali di Pietroiusti e Modica alla galerie de Paris.
Cartoline, apparso invece nel catalogo Generazioni a confronto, Castel S.Pietro terme 1990, te lo mando semplicemente perchè ancora oggi a distanza di vent'anni mi sembra letterariamente riuscito

p.s. comincio a chiederti subito..nn trovo nulla della prima mostra al "baretto", Opening Oysters, di Marino Vismara e Terry Fox, se hai fotografato qualcosa potresti mandarmela?

p.p.s sì, posso confermare quanto hai colto nella conversazione con Anna, formidabili quegli anni...

caro domenico, ti mando molto volentieri del materiale...dal mio
archivio :)
le foto sono davvero indecenti, scusa.
Ieri sono stata a Piombino. ho conosciuto Fontana e Modica, che ti salutano, e ho capito molte cose, molte dinamiche. e mi sono più chiare anche le diverse personalità.
Quello che più mi incuriosisce al momento è capire qual è il passaggio dall'eventualismo al gruppo di Piombino. leggendo il testo di Sosta 15 minuti (8) mi sembrava ovvio che loro avessero già conosciuto il metodo sperimentale di Lombardo, invece no! sono stata molto colpita dalle affinità strordinarie di METODO tra i due gruppi:
- l'approccio sperimentale
- opera come stimolo
- verifica della ricezione
- ricerca della risposta differenziata
ma anche dalle fondamentali differenze (correggimi se sbaglio), a parte il contesto operativo arte\reale, soprattutto la differenza fondamentale mi sembra l'idea teorica forte dell'avanguardia.
la sensazione che ho avuto, che devo però verificare sui documenti, è che seppure arrivano a esiti simili dal punto di vista dell'elaborazione processuale dell'opera-esperimento, però alla base dei due approcci ci sia una radicale differenza di "formazione":
Lombardo, il vecchio grande maestro. mi ha detto:
"l'avanguardia sono io"
: e probabilmente è vero, quell'idea di avanguardia con l'ideologia forte, con i riferimenti culturali e teorici, con l'idea di progetto, insomma con la consapevolezza dell'azione che si sta compiendo rispetto
a tutta una storia e un sistema, non è lo stesso che c'è nel gruppo di Piombino.
quest'ultimo ha agito con una modalità sperimentale, ludica, svincolata dalla storia e dalla consapevolezza, almeno all'inizio.
insomma gli esiti e gli approcci possono essere simili, ma le "condizioni di possibilità" e il contesto radicalmente diversi, mi sembra.
quindi mi sono chiesta questo:
conoscevano l'eventualismo quando hanno pensato alle sedie? No, quindi come si è arrivati agli stessi esiti senza conoscersi? Come è stato possibile che all'improvviso a Piombino sia nata questa forma di intervento con le stesse modalità scientifiche e rigorose dell'eventualismo da tre "pittori" che, come mi ha spiegato anche pino, non avevano alcuna coscienza dell'arte, nè della teoria, almeno all'inizio?
dunque è nato contemporaneamente da un comune sentire improvviso? non credo sia così..
quindi ti chiedo: sei stato tu a "costruire" questo legame?
so infatti che hai fatto un intervento a Piombino, subito dopo aver conosciuto Modica, prima delle sedie se non sbaglio. forse è stato questo che li ha condotti sulla strada della sperimentazione rigorosa?
insomma come è nato nel gruppo dei tre pittori, non formati artisticamente nella provincia toscana, il metodo "forte" che c'è già nelle sedie?


Innanzitutto grazie per il materiale che mi hai mandato.

Credo che queste due citazioni, tra le quali intercorrono venticinque anni, contengano la risposta alle tue domande. La dichiarazione preposta al catalogo di SQM da me e dalla De Dominicis mi sembra abbastanza chiara ed esplicativa del nostro apporto alla genesi dell'opera.
Il rivoluzionario di professione esprime invece la figura che è in grado di aggregare forze disparate attorno ad un progetto unitario, è il coagulo che catalizza la formazione dell'avanguardia.

Io non sono stato nè un critico nè uno storico nè un teorico dell'arte, se sono stato qualcosa sono stato un rivoluzionario di professione....(D.Nardone, Montescaglioso)
Da tempo abbiamo trasferito il nostro lavoro di critici militanti all'interno del processo di produzione dell'arte, anziché relegarlo in un tempo ad essa postumo. Le nostre argomentazioni teoriche e critiche danno e prendono vita dalla pratica sperimentale da cui a volte, come nel caso di SOSTA QUINDICI MINUTI, non possono essere essere estrapolate. Per questo abbiamo rinunciato a scrivere una 'presentazione critica' che non avrebbe avuto ai nostri occhi alcun significato.
- Ma è una presentazione anche questa!
- Almeno è breve.
(D.De Dominicis e D.Nardone, in cat. Sosta Quindici Minuti)

Credo poi che la differenza tra me e Lombardo non sia tanto nell'avere una ideologia più o meno forte (se metti in fila tutti i miei scritti teorici non credo che ne risulti un impianto ideologico meno forte del suo) quanto il fatto che lui dell'avanguardia - come evidente da una dichiarazione del tipo “l'avanguardia sono io” - ne ha fatto una mistica, io invece una pratica rivoluzionaria...:))

p.s. La rottura teorica con Lombardo è già presente in "Prolegomeni ad un allargamento del campo d'osservazione in arte", in cat." Antonio Lombardi: Quattro Lavori" che credo di averti dato.

Grazie per le utili sollecitazioni, in effetti la tua figura si sta decisamente chiarendo all'interno di tutto il contesto, proprio come catalizzatore, attivatore, in qualche modo produttore e mente del progetto unitario, e con una impostazione teorica assolutamente forte e strutturata, e assolutamente non meno di Lombardo. Per questo mi chiedevo, non avendolo all'inizio capito, come potesse essere nata tra i tre artisti di Piombino Fontana Falci Modica una così raffinata e strutturata teoria d'intervento in quel contesto isolato: la loro teoria unitaria di intervento nello spazio urbano si forma quando arriva il TUO intervento, è così?
ho qualche difficoltà a ricostruire i fatti, mi puoi confermare?
- i tre artisti-amici si incontrano a Piombino, fanno qualche mostra pittorica (ritmo, vibrazioni, colori).
- nell'estate del 1983 decidono, sullo spunto di una riflessione condivisa nel corso di un viaggio in macchina, di lavorare con interventi nello spazio urbano.
- intanto Modica ti incontra a Roma e ti invita a tenere una conferenza a Piombino.
qui mi perdo un attimo: la tua conferenza a Piombino precede o segue il loro intervento SQM a Popolunia? so che non lo hanno progettato con te, ma che te lo hanno presentato successivamente, però già erano influenzati dalla tua linea teorica? oppure no?


Carissima Simona
Le difficoltà di cui tu parli sono quelle che qualunque storico incontra quando si accinge a studiare lo stato nascente di un movimento. Non è facile distinguere ed isolare l'apporto dei singoli in una situazione che è per definizione fluida ed in rapido divenire.

Di certo posso dirti di non aver assolutamente partecipato direttamente alla fase ideativa e alla progettazione di SQM ma di aver piuttosto contribuito vigorosamente, assieme a Daniela De Dominicis ed Antonio Lombardi, alla sua critica in un processo dialettico che ne determinò la formalizzazione espositiva.
“E' significativo, per altro, che la critica di regime, quando costretta suo malgrado a prendere in considerazione l'esperienza del gruppo di Piombino, l' accosti ad esempio a quella di gruppi come il Group material o le Guerrilla girls - con i quali, come mi capitato è di leggere lo scorso hanno nel catalogo della mostra dedicata a Le tribù dell'arte (Spazi espositivi ex Fabbrica Peroni, Roma 2001) , a cui ovviamente né il Gruppo di Piombino né quello delle Disordinazioni erano stati invitati - condividerebbe a suo dire la caratteristica di firmare le opere collettivamente, caratteristica che, nella storia del gruppo, si riscontra viceversa esclusivamente in Sosta Quindici Minuti del 1984, ovverosia la loro opera prima.” (D.Nardone, L'arte come trasformazione della pratica sociale: l'opposizione militante, Relazione al convegno L'altro da sè alterità e differenza nella ricerca artistica contenporanea, Fondazione Adriano Olivetti, Roma 3-4 giugno 2002)
Come spesso avviene, quanto usato dall'avversario per screditarti, coglie un fondo di verità. In effetti, se riferita alla sola SQM, l'asserzione di Bonito Oliva appare veritiera. SQM è infatti una sorta di manifesto, una dichiarazione di paradigma che reca in calce la firma di tutti coloro che in un modo o nell'altro vi hanno contribuito.
Ti chiedo, per essere più esplicito, t'imbarcheresti in una analisi del manifesto della pittura futurista che pretendesse distinguere quale frase abbia voluto inserirvi Balla e quale Boccioni? Faresti ad entrambi la domanda “quanto ha contribuito il manifesto di Marinetti ad imprimere una svolta alla vostra ricerca?”
"Come te butta?", direbbe mia figlia...
Ti mando un articolo che dovrebbe chiarirti come accanto al gruppo di Piombino sia esistita anche un'area di Piombino, rappresentata da artisti che hanno fatto lavori "piombinesi" magari solo occasionalmente (nè più nè meno di come esistono quadri futuristi di Rosai...). Ti segnalo anche, se non lo conosci, il sito
http://www.salvatorefalci.com/ che mi sembra abbastanza ben fatto.
Good luck


caro domenico,

mi butta discretamente, lunedì dovrei incontrare Crispolti! grazie del materiale, sto cercando di capire quali fossero i presupposti, sia di Jartrakor che di Piombino, quindi se hai della "bibliografia" specifica (cioè quello che leggevi, le tue teorie di riferimento) manda pure. per il momento sto mettendo in relazione Jartrakor con Opera Aperta, la scuola di Palo Alto, e la teoria della complessità, Morin, . per i piombinesi, comunque, mi sembra più attinente de Certeau ( diciamo rifeirmento prima Magritte:lo svelamento del reale, poi situazionismo, poi scuola post strutturalista, Deleuze, Foucault?). per quanto riguarda la tradizione dell'intervento di disordinazione o interferenza non ho grossi rifeirmenti teorici. insomma se vuoi raccontarmi meglio cosa leggevi ne sarò felice!
un saluto,
simona


Opera aperta di Umberto Eco ovviamente l'avevo letto, opere come le Aste o i Punti extra di Lombardo sono infatti molto legate al concetto di opera aperta formulato da Eco. Come anche avevo letto Foucault, Storia della follia e Watzlawick lo conoscevo ma non ricordo mi entusiasmasse troppo. Considero invece testi importanti per la mia formazione d'allora:

- S. Freud, Scritti sull'arte (soprattutto gli studi su Leonardo e sul Mosè di Michelangelo e il saggio su Il perturbante), Psicopatologia della vita quotidiana, Il motto di Spirito, Analisi terminabile e analisi interminabile (che avvicina il concetto di rivoluzione permanente di Trotzky)
- A.Schwarz, La sposa messa a nudo in Duchamp, anche- G.Deleuze e F.Guattari, L'Antiedipo
- E.Migliorini, Conceptual Art
- F. Menna, La linea analitica dell'arte moderna
- J. Lacan, Seminario sulla Lettera rubata


nel determinare la formulazione del modus operandi “piombinese” e l'abbandono di quello lombardesco fu fondamentale la lettura di questi testi:
 - K.Popper, Logica della scoperta scientifica
- T.Kuhn, Storia delle rivoluzioni scientifiche
- P. Feyerabend, Contro il metodo
- un'antologia di ricerche maturate nel campo della nascente antropologia urbana che non trovo più...

i riferimenti più appropriati per lo sviluppo del concetto di arte come opposizione militante sono invece:

- H.Marcuse, L'uomo a una dimensione
- Mario Perniola, La società dei simulacri
- Guy Debord, La società dello spettacolo
- Naomi Klein, No logo
- M. Verges, Strategia del processo politico
- T. Negri, Il dominio e il sabotaggio: sul metodo marxista della trasformazione sociale.

La teoria della morte dell'arte di Argan come il concetto di rivoluzione permanente di Trotzky o quello di Habermas di modernità come progetto incompiuto a cui pure la mia teoria dell'arte è debitrice non riesco a ricondurli ad un unico testo.

Ovviamente ho scritto questa nota a braccio, e sicuramente ho dimenticato qualcosa di fondamentale.
Spero di esserti stao d'aiuto anche se mi chiedi di "stendermi sul tavolo anatomico e tirare fuori le budella" (H.Miller, Tropico del Cancro), leggevo anche questo...



caro domenico,
grazie motlissime per esserti sottoposto a questa operazione chirurgica!! questi riferimenti che mi dai mi risultano FONDAMENTALI!! ho proprio la necessità di capire il significato profondo (sembra un'po' l'analisi iconologica di Panofsky, diciamo l'indagine del terzo livello), individuare le "condizioni di possibilità" per lo sviluppo e le trasformazioni di quegli anni...sarebbe interessante in un'ipotesi di dottorato, andare a confrontare i riferimenti teorici dei gruppi "sommersi" con queli dei gruppi ufficiali...!
mi aspettavo anche Michel de Certau (l'invenzione del quotidiano), ma suppongo fosse un testo che riprendeva alcune teorie già formulate.
comunque grazie davvero, mi aspetta una bella giornata di ricerche!
un saluto,
simona


Dissento drasticamente dal sentirmi parte del “sommerso”. Mi sono seduto al tavolo, ho giocato ed ho perso, è una cosa diversa.
“Sommerso” è colui il quale non si è mai potuto sedere al tavolo...
Ricorda che nella sezione Aperto (la stessa utilizzata da Bonito Oliva dieci anni prima per lanciare la Transavanguardia internazionale) della Biennale di Venezia del 1990, furono invitati Pietroiusti, Falci e Modica e Fontana fu escluso solo per essere già stato invitato nell'edizione precedente, eravamo ben altro che “sommersi”...
Ed è vero che il Potere ha la possibilità di cancellare e riscrivere continuamente la versione ufficiale della storia (dalle damnatio memoriae fino ai roghi dei libri del nazismo o alla pratica del delate/rewrite immaginata da Orwell) ma mai definitivamente e del tutto.

In Farenhait 451, Bradbury ipotizza che il Potere proibisca del tutto l'esistenza dei libri considerando l'arte e la cultura strutturalmente ad esso antagoniste. L'opposizione si organizza e nascono gli uomini-libro, ogni militante impara un classico a memoria....


quindi domenico ti senti insomma come Montag? tu senti la necessità di una riscoperta da parte della critica di quel momento oppure no? ma soprattutto perchè pensi di aver perso, rispetto a cosa?
grazie, le tue riflessioni innescano sempre nuove domande!



Le utopie negative (preferisco questo termine a quello di distopie), le profezie di una evoluzione dell'organizzazione sociale in senso totalitario e totalizzante che, pur in diversi contesti socioculturali esprimono Bradbury, H.G. Wells (La macchina del tempo), Orwell (1984), Huxley (Il mondo nuovo) e Zamjatin (Noi!) ma la serie potrebbe continuare includendo Kafka ed altri, fanno sicuramente parte del backround della teoria dell'arte come opposizione militante. Tra l'altro Romolo Runcini, sociologo della letteratura e autore del saggio “I cavalieri della paura” che tratta proprio di queste utopie negative tenne una conferenza a Jartrakor negli anni in cui ero lì.
Mi verrebbe da dire che in tutti i romanzi citati la rivolta del protagonista, il suo tentativo di reindividualizzare il proprio vissuto vengono sistematicamente frustrati e battuti. Come se la disfatta di cui tu hai parlato per prima fosse in qualche modo già scritta nel nostro destino....

caro domenico,

visto che sei così disponibile ti sottopongo qualche altra perplessità che ho, soprattutto, al momento, rispetto alla teoria eventualista. ti va di darmi un tuo parere?
La teoria eventualista apre a diverse problematiche connesse, innanzitutto, alla natura dell’opera e alla sua definizione. Se l’opera è costituita dall’evento, e se gli oggetti di produzione e di documentazione non sono altro che degli strumenti ne consegue che:

- le opere-oggetto presentate sono tutti elementi di documentazione , e l’autore di tali oggetti non corrisponde necessariamente al protagonista (possiamo chiamarlo autore?) dell’opera-evento.

- Viene dunque negata la figura dell’autore? Possiamo parlare di un autore preterintenzionale, cioè l’individuo in cui l’evento si manifesta?

mi viene in mente la tua opera in arte eventiuale (9): l'autore chi è? esiste ancora? sei tu che hai prodotto involontariamente, o Lombardo che ha documentato?

- L’evento non può essere presente in un oggetto. Quest'ultimo può essere al massimo testimonianza del suo avvenimento o strumento della sua attivazione.

- se l’opera è l’evento allora, indipendentemente da chi l’ha innescato (in genere quello che definiamo l’artista), la sua natura è immateriale in quanto l’evento creativo avviene nella mente dell’individuo, ed è costituito dal processo mentale creativo ed imprevisto che è innescato. Dunque l’evento può essere definito sempre come un processo?

(rewind)

caro domenico, visto che sei così disponibile ti sottopongo qualche altra perplessità che ho, soprattutto, al momento, rispetto alla teoria eventualista. ti va di darmi un tuo parere?
La teoria eventualista apre a diverse problematiche connesse, innanzitutto, alla natura dell’opera e alla sua definizione. Se l’opera è costituita dall’evento, e se gli oggetti di produzione e di documentazione non sono altro che degli strumenti ne consegue che:

- le opere-oggetto presentate sono tutti elementi di documentazione , e l’autore di tali oggetti non corrisponde necessariamente al protagonista (possiamo chiamarlo autore?) dell’opera-evento.

- Viene dunque negata la figura dell’autore? Possiamo parlare di un autore preterintenzionale, cioè l’individuo in cui l’evento si manifesta?

In questa chiave ho parlato di autori vari ed involontari, la prima volta sicuramente nel caso del cortometraggio girato dal Rilevatore estetico di Modica, e di espressionismo involontario. Devo dire che la tua definizione di autore preterintenzionale e quindi di espressionismo preterintenzionale l'ho trovata folgorante. Mi sembra infatti più appropriata al concetto che entrambi cerchiamo di definire. (L'espressionismo preterintenzionale del gruppo di Piombino mi sembra anche un bellissimo titolo)

mi viene in mente la tua opera in arte eventuale: l'autore chi è? esiste ancora? sei tu che hai prodotto involontariamente, o Lombardo che ha documentato?

Credo che il titolo da me dato a quest'opera contenga la risposta che cerchi:Io non sono qui né tantomeno desidero che si parli di me in questa sede”...

- L’evento non può essere presente in un oggetto. quest'ultimo può essere al massimo testimonianza del suo avvenimento o strumento della sua attivazione.

- se l’opera è l’evento allora, indipendentemente da chi l’ha innescato (in genere quello che definiamo l’artista), la sua natura è immateriale in quanto l’evento creativo avviene nella mente dell’individuo, ed è costituito dal processo mentale creativo ed imprevisto che è innescato. Dunque l’evento può essere definito sempre come un processo?

Non esattamente. L'evento è un momento di culmine del processo, più esattamente il suo punto di catastrofe, quando nell' individuo avviene una riorganizzazione percettiva, quando la zucca di Cenerentola si trasforma in carrozza sotto i suoi piedi.
p.s e se la mia disponibilità non fosse altro che il tentativo di passare il testimone?


caro domenico,
grazie per queste ricche lezioni di critica. devo in effetti dire che l'occasione della tesi e delle
conversazioni con te mi ha portato, di nuovo, a constatare che, almeno alla mia generazione, mancano proprio dei maestri in questo senso, che ci facciano porre domande sul critico e sul suo senso, sulle sue "dinamiche", o meglio sulla sua posizione. o meglio, non è che non ci siano, è che è difficile vedere questa critica in atto, è difficile entrare concretamente ed esperenzialmente nelle sue dinamiche, invece tu mi hai dato l'occasione di farlo e spero che questo possa essere per me lo spunto per lo sviluppo di un diverso modello di approccio alla produzione artistica contemporanea, è un campo che mi piacerebbe esplorare. mi rendo conto, d'altra parte, che la posizione "implicata" è molto difficile da portare avanti, bisogna avere una preparazione immensa, dunque probabilmente prima bisogna diventare eccellenti storici per poter arrivare all'attivazione critica del presente.
stavo proprio pensando che questa diventerà una tesi di critica d'arte.. sarebbe davvero interessante appofondire in questo senso (magari nel dottorato...)!
altra domanda:perchè usi il termine "espressionismo" per i piombinesi? non creatività? è perchè l'espressionismo implica un'implicazione soggettiva più forte?


In parte è per la ragione da te indicata, giacchè, come abbiamo visto insieme, la reindividuazione dei vissuti, la maieutica della loro singolarità ed una sorta di riscatto catartico dell'individuo-massa rappresentano un'istanza primaria della teoria dell'arte di Piombino. In parte è per una connotazione più specificamente aristica che il termine espressionismo storicamente ha – nel suo rimandare ad esempio all'espressionismo astratto i cui risultati formali presentano spesso un'assonanza con quelli piombinesi anche se, nella pratica piombinese, questi appaiono rinvigoriti e corroborati da un più alto grado di autenticità.
Per il resto, sono io a dover ringraziare te per essere stata capace di darmi lo stimolo a rimettere ordine in questa “cronaca di una disfatta”..era qualcosa che ancora dovevo a quel “giovane con la sciarpa”...
La rivoluzione non è un pranzo di gala né un ballo di debuttanti ed il rivoluzionario di professione
indossa male gli abiti del maestro...più consoni a chi si atteggia a “guru” dell'avanguardia...
Sul frontespizio della mia tesi di laurea campeggiava questa citazione di R.D. Laing:

“ Il giorno stesso della laurea, uno psichiatra deve cominciare a dimenticare tutto quanto ha necessariamente dovuto studiare”.

Credo valga la stessa cosa per un critico d'arte: lo studio della storia è una conditio sine qua non ma, una volta assorbito, va in qualche modo messo da parte, è formativo e necessario e preliminare ma se si trasforma in punto di vista totalizzante non può che fiancheggiare le repliche accademiche a cui il Potere costantemente vuole ridurre l'arte.

è vero la storia va superata, altrimenti non ha senso essere qui..
grazie!


Sto rimontando e ripulendo il nostro carteggio. E' assurdo. Ci siamo incontrati una sola volta e abbiamo praticamente scritto a due mani un saggio di teoria dell'arte di una solidità impressionante. Quando avrò finito questo lavoro e potrai leggerlo come testo completo ti cadrà dalle mani...ed è di questo che dovremmo occuparci adesso di come questa forma di comunicazione cambia i rapporti interpersonali, riduce le distanze, apre nuovi scenari. Laddove il Potere alza il livello di surveillance - può vederci con l'occhio dei satelliti, localizzarci con la cella a cui si aggancia il nostro cellulare, seguire le tracce lasciate dai nostri prelevamenti bancomat o dalle nostre carte di credito, etc. - l'opposizione militante mostra di poter rovesciare la rete immaginata da Orwell nel suo contrario, da strumento di controllo in amplificatore della rivolta (la primavera araba ha usato i social networks per estendersi e diffondersi). Qui è la nuova frontiera, il nuovo bordo sul cui filo l'arte lancia ancora la sua eterna sfida all'ordine costituito: "Io non so dirvi come debba essere fatta un'opera d'arte, so solo dirvi come non deve essere fatta"...



caro domenico,
anche io ho riflettuto molto su questo aspetto, da un punto di vista forse più semiologico. il "filtro" ha creato una nuova realtà, molto meno virtuale e più concreta dell'altra. non riesco, ad esempio, immaginare questi discorsi che in questa modalità, in questo spazio scritto, con questi limiti, modi e ritmi, capaci di attivare un meccanismo che ha creato domande che possono non avere risposta, e risposte venute fuori senza la domanda.
in questo senso questo modello comunicativo è davvero, profondamente eventuale, implica uno stimolo creativo e possiede una componente generativa nuova. forse è la "comunicazione" che vince sul mezzo, che supera le restrizioni teoriche che gli abbiamo voluto attribuire nel tempo. la rete costrittiva dell'email è in realtà nuovo stimolo, da cui nasce, che contiene lo stimolo, come ogni costizione, contiene in sè il germe per il suo superamento, il seme da cui nasce la rivoluzione , che poi è una forma di creatività...
questo modo di comunicare ha un'identità che è propria e questi contenuti non potrebbero essere nati in modo diverso. certo non in un incontro, non ci sarebbe il tempo di elaborare i pensieri..l'email permette di far sedimentare il pensiero, e poi concentrarlo in uno scritto, che va prima in bozze, poi si modifica..permette di rileggere e di rileggersi, insomma propone un modo di attivare il proprio pensiero e il proprio ascolto che altre forme di comunicazione non hanno... a questo proposito stavo in realtà proprio pensando, se lo trovi opportuno e se sei d'accordo, di inserire nella mia tesi tra le interviste proprio questo scambio di email. però stavo pensando di non "formattarlo" troppo, perchè vorrei potesse essere letto mantenendo proprio l'autenticità della modalità con cui è nato e si è sviluppato, insomma in quel caso come materiale grezzo, che ne pensi?


“Amo tutto ciò che scorre, anche il flusso mestruale che si trascina
via le uova infecondate” (H.Miller, I Tropici)
Condivido praticamente tutto quello che hai scritto nell'ultima tua, tranne forse l'ultima parte a proposito degli errori di battitura (sono in effetti solo quelli che sto correggendo). E' vero che sono gli equivalenti degli errori di campitura nelle “biro” di Boetti o nei momocromi di Lombardo, ed in quanto tali esprimono anch'essi una creatività involontaria e producono microfratture nell'ordine del linguaggio, non sono però del tutto daccordo nel presentare un testo teorico come un testo d'arte, credo tu comprenda cosa intendo..ma puoi convincermi del contrario...
Nel frattempo guardati anche questo e dimmi cosa ne pensi:

Cesare Pietroiusti, Pensiero Unico, Castel S.Pietro, 2003

http://www.youtube.com/watch?v=glK3CyhyYCg


caro domenico,
vado per punti:

- il video di Pietroiusti lo conoscevo, lo avevo visto in occasione di una sua presentazione, con il suo commento. quel video mi diede vari spunti di riflessione. metafora del mondo contemporaneo.
1.la posizione dell'artista: è all'interno, in uno spazio altro da quello della vita, ma allo stesso tempo in vetrina, e soprattutto a un certo punto DEVE smettere, a un certo punto un po' di preoccupazione per i giovani neofascisti fuori o il più concreto sfinimento fisico, però si deve tornare nell'ordine del reale.
2. naturalmente l'aspetto della sparizione, anzi DISATTIVAZIONE del senso, l'oblio del senso e dell'ideologia che si obnubila con la ripetizione, per un verso, ma per l'altro capaci ancora di attivare una reazione, nel bene o nel male (dunque forse un senso-contenuto esiste ancora nel fondo delle parole?). cosa rimane del sensi", del credo nella società della ripetizione o del bombardamento mediatico? i contenuti sono davvero sempre disattivati dal sistema o questa disattivazione ne crea di nuovi?

- il testo mi sembra perfetto. l'ho rivedrò con più calma, ma mi convince molto questo approccio, mi pare giustissimo. in effetti non ero convinta neanche io. pensavo volessi trasformarlo in un testo critico unitario e scorrevole, ma mantenuto così mi sembra perfetto. molto d'accordo sull'evitare la deriva artistica. (hai fatto bene a fare un po' di correzioni sono una produttrice di errori di livello industriale!)

- ho portato a Crispolti il primo sostanzioso capitolo sull'eventualismo, lo abbiamo visto insieme e mi sembra sia stato molto soddisfatto dell'impostazione (però poi vorrò avere il giudizio anche di chi ha vissuto sulla pelle l'esperienza). la buona notizia è che dovrei riuscire a laurearmi a luglio, il posto da correlatore è già preso, dal prof bignardi ;))

sto lavorando al secondo capitolo sui piombinesi, poi il confronto tra i due...devo confessare una cosa importante: mi sto divertendo, e questo è fondamentale!
"posso fare qualsiasi cosa, ma non troppo a lungo", frase di Giacinto Scelsi, è il mio motto...ogni evento in me, di qualsiasi tipo, perchè sono davvero curiosa di tutto, ha sempre un grande effetto "motivatore"...ma anche la saturazione non stenta a cogliermi..invece, nonostante i tempi stretti e la fatica di scrivere una tesi, non ho avuto momenti di noia, insomma l'argomento continua ad essere è assolutamente stimolante...e ti dirò che questo è importante per me anche a livello di scelte personali.
nei prossimi giorni ti manderò qualcuna delle solite domande
saluti

p.s sai cosa ho scoperto? che “preterintenzionale” lo usa già Barilli quando parla del gruppo di Piombino!!! sicuramente lo avevo letto e lo ho poi rimosso, ma è rimasto in modo subliminale nella mia testa..confermata dunque l'efficacia del termine :)

«Forse il fenomeno che nel modo più caratterizzante ha dato il via a un simile clima di “rompete le righe”, concedetevi tutto quel che vi pare, praticate il saccheggio delle risorse ambientali, mentali, psicologiche, sentimentali con la massima disponibilità, si è costituito attorno a un quartetto di artisti sorti per la maggior parte in uno di quei centri minori di cui è prodiga la realtà socioculturale del nostro paese. Il riferimento è alla cosidetta Scuola di Piombino, nata intorno alla metà degli anni ottanta con tre personaggi che proprio nella piccola località avevano fatto i primi passi … Questo, si potrebbe dire, il fine generale che i quattro si sono dati: andare a sorprendere la piccola poesia preterintenzionale nascente dai comportamenti di massa» (Renato Barilli, Storia dell'Arte contemporanea in Italia, Bollati Boringhieri, 2007, pag. 254)


Siamo in due..questo testo lo conoscevo ma non ricordavo che avesse utilizzato questo aggettivo..in effetti un termine assume valore anche in funzione della connotazione che il contesto gli da'. A parte la farneticazione della premessa, nella frase finale, che è invece abbastanza centrata, la connotazione crepuscolare della locuzione “piccola poesia” non mi aveva evidentemente fatto cogliere la pregnanza del termine a differenza di quando lo hai usato tu.



Note:

1) E.De Falchi, Non è vero!, ediz. Odradek, Roma 1998


2) Allude all'articolo di Augusta Monferrini, L'arte d'ingannare, apparso su L'Espresso, del 23 marzo 1985 e alla risposta di D.Nardone in catalogo L'arte d'ingannare, ediz. Il Prisma, Siena 1985)


3) Una nuovissima generazione nell'arte italiana, a cura di E.Crispolti, Fortezza medicea, Siena 1985.


4) D.Nardone, Relazione al convegno“L'Arte d'ingannare”, Istituto di Estetica, Università degli Studi, Siena 1986


5) Allude a questo passo:


Un paio di mesi fa, passeggiando per le strade di Roma, sollevando lo sguardo notai una targa stradale su cui era scritto Piazza degli Sfratti di Trastevere. La targa, dal mio punto di osservazione, sembrava identica in tutto e per tutto a quelle normalmente in uso a Roma.

Solo avvicinandomi notevolmente scoprii che la targa in questione, anziché essere di marmo, era di polistirolo. A questo punto la riconobbi come falsa e guardandomi attorno potei identificare, in una posizione molto più defilata, la targa che recava il vero nome della piazza.
Successivamente notai anche come la targa falsa fosse collocata sul muro di un palazzo occupato e potei comprendere come questa singolare iniziativa s'integrasse nel quadro delle lotte intraprese da un locale comitato per la casa.
Per meglio cogliere il grado di raffinatezza presente nella messa a punto di questa targa – che, a buon diritto possiamo considerare alla stregua di un oggetto di stimolo – è opportuno aggiungere che, a Roma, Piazza delle Fratte di Trastevere esiste realmente.
E' chiaro infatti come, la possibilità di sfruttare questa assonanza, aumenti il grado di congruenza al contesto di questo manufatto, grado di congruenza che, come sappiamo, permette all'oggetto di superare la diffidenza del pubblico e, successivamente, di espletare la sua funzione di stimolo.
Credo che a nessuno di voi, ad ogni modo, sfugga l'esistenza di una certa affinità tra le procedure utilizzate da questo comitato di lotta per la casa e quelle seguite dagli esperimenti estetici di cui si è parlato sin'ora. Ci sono tuttavia delle differenze: il comitato di lotta per la casa, per certi versi, ha fatto con la sua targa dell'arte applicata, perchè si è servito di questa procedura per divulgare un messaggio determinato – nella fattispecie di protesta contro gli sfratti - e per indurre nel pubblico una reazione predeterminata, l'eventuale sostegno o adesione alla lotta.
L'arte, viceversa, a livello di ricerca si distingue dall'arte applicata proprio per l'assenza di finalità così precise e prevedibili, esprimendo essenzialmente la tensione puramente euristica del ricercatore.
(da D.Nardone, Relazione al convegno L'Arte d'ingannare, Istituto di Estetica, Università degli studi di Siena, maggio 1986).

6) S.Veronesi, Zero in pantera, Il Manifesto, 18 febbraio 1990.


7) D.Nardone, Relazione per il convegno “Il nuovo sistema dell'arte”, Internazionale d'arte contemporanea , Milano 26-28 maggio 1987.


8) Falci, Fontana e Modica, Sosta Quindici Minuti, Edizioni Lascala, Roma 1984


9) D. Nardone, Io non sono qui né tantomeno desidero essere nominato in questa sede, biro su carta, scarabocchi involontari raccolti da Sergio Lombardo ed esposti, a firma e con il consenso dell'autore, per la prima volta nella mostra Arte Eventuale, galleria Cenobio-Visualità Milano 1981.








































domenica 28 luglio 2013

Eric De Paoli, Segni, 2013

Eric De Paoli, Segni, 2013


Questo progetto artistico è ispirato dall’opera “N titoli” (1987) realizzata da Cesare Pietroiusti alla galleria Lascala c/o Il Desiderio preso per la coda. Lo scopo dell'artista era continuare uno studio precedente sulle forme di creatività ed espressività involontarie, come scarabocchi, grafismi distratti, etc. Imitandolo desideravo valutare l’efficacia dell’intervento e le sue potenzialità. Inoltre ero interessato all’idea di opera realizzata collettivamente, non solo con interventi volontari come lo scarabocchio, ma anche involontari come sporcare di cibo e bevande le tovaglie, lasciando vari segni e danni che avrebbero contribuito all’aspetto finale dell’opera.


Cesare Pietroiusti, N Titoli, diam. 70 cm., 1987
 
Cesare Pietroiusti, N Titoli, diam. 70 cm., 1987

Descrizione

La prima sperimentazione di “Segni” è avvenuta nel bar-pub UnionClub, il 17 febbraio 2013. Formalmente non si discosta molto da quella di Pietroiusti, se non per il fatto che i tavoli de "Il desiderio preso per la coda" erano tutti dello stesso tipo, circolari e di circa 70cm di diametro, mentre quelli dell'UnionClub sono tutti diversi e quindi ogni tovaglia è di forme e dimensioni diverse, alcune circolari, altre quadrate, altre rettangolari, etc. Inoltre, benché anche le mie tovaglie fossero bianche, non avevano immagini stimolo come quelle di Pietroiusti. L'unico indizio sul da farsi erano pennarelli, matite e penne abbandonate su ogni tavolo, di colori variabili. Inoltre nel mio caso le tovaglie non sono state raccolte, ma sono rimaste dalle 18.30 fino all'orario di chiusura del locale, verso le ore 2:00 di notte. Più gruppi di persone sono intervenuti sulle tovaglie, i primi trovandole bianche e tutti gli altri trovando man mano stimoli sempre nuovi su di esse, potendoli continuamente rielaborare. Molte tovaglie sono rimaste danneggiate dall'usura, ma anche questo faceva parte dell'intervento. L'idea era far sì che ogni tovaglia fosse un’opera collettiva, testimonianza di un vissuto attraverso il suo utilizzo.
 
Eric De Paoli, Segni UnionClub, diam. 60 cm., 2013
 
Eric De Paoli, Segni UnionClub, dimensione ignota, 2013

Un altro esperimento è stato fatto il giorno 3 marzo 2013, sempre all'UnionClub, questa volta con diverse tovaglie in formato A3 e i soliti pennarelli su ogni tavolo. Questi esperimenti liberi hanno prodotto interesse e in alcuni casi “scatenato” l'espressività dei clienti.

La documentazione video e fotografica raccolta testimonia come alcuni momenti della serata abbiano visto interi tavoli lavorare alacremente alla "decorazione" delle tovaglie. Gli interventi variano molto da scritte a immagini stereotipate, fino a figure realmente espressive di contenuti emozionali interiori. I primi due esperimenti mi hanno dimostrato come una semplice stimolazione, una superficie bianca e dei pennarelli, risveglino l’impulso di esprimersi.

Eric De Paoli, Segni UnionClub, cm. 33x48, 2013
 
Eric De Paoli, Segni UnionClub, cm. 33x48, 2013

Prima di questo lavoro, il 24 febbraio, al locale ShuClub in via Molino delle Armi a Milano, ho sperimentato un altro approccio. Ho modificato il formato dei fogli in A4 ed è stato aggiunto uno stimolo "pop": la firma "Picasso" in un angolo del foglio. Alla base di questo intervento c’è l’idea di verificare se e come uno stimolo potesse orientare l'espressività dei clienti. La firma di Picasso è stata scelta perché è uno stimolo riconoscibile da tutti, non solo per la fama dell’artista, ma anche grazie alla famosa casa automobilistica che ha prodotto un'auto “firmata” con il suo nome. Inoltre non c'è quasi nessuno che non conosca Picasso e che non associ alla sua figura idee di avanguardia artistica, talento e genio. La supposizione che ho fatto riguardo ai possibili esiti dell'esperimento era che la firma "Picasso" avrebbe indotto a realizzare forme cubiste e che quindi i clienti sarebbero stati condizionati nel loro modo di intervenire. Di questa serata non è stata raccolta documentazione, ad eccezione di alcuni fogli elaborati dai clienti. Da essi è possibile riscontrare che la firma "Picasso" ha sortito il suo effetto: in alcuni casi sono stati realizzati interventi che ricordano il cubismo, in altri c'è stata una maggiore applicazione nel realizzare un disegno di qualità. Insieme a questi interventi ce n'erano altri del tutto indipendenti dallo stimolo, che era stato ignorato deliberatamente o inconsapevolmente.
Eric De Paoli, Segni ShuClub, cm. 24x33, 2013
 
Eric De Paoli, Segni ShuClub, cm. 24x33, 2013

La sperimentazione in questa direzione è momentaneamente ferma a causa di un evento inizialmente non previsto, verificatosi all'UnionClub: alcuni clienti hanno apprezzato molto “Segni” e hanno chiesto quando l’esperimento sarà riproposto. Questo da un lato testimonia l'efficacia dell'intervento e dimostra l'effettivo piacere e bisogno di esprimersi da parte delle persone, da un altro invece rende impossibile continuare la sperimentazione in quel luogo, perché ogni successivo intervento sarà potenzialmente falsato dalla consapevolezza che si tratta di un'operazione artistica. Sarà dunque necessario trovare altri spazi e altri metodi per proseguire l'indagine.

UnionClub


Considerazioni

“Segni” ha alcune caratteristiche che lo differenziano da “N titoli” di Pietroiusti. Lo scopo primario in Pietroiusti era l’analisi e lo studio psicologico dell’espressività involontaria, mentre nel caso di Segni questo scopo è secondario. L’obiettivo primario è indurre le persone ad esprimersi liberamente in un contesto non deputato a questo scopo, in questo caso il bar-pub. Lo stimolo rappresentato dal trovare materiale da disegno o scrittura con fogli e tovaglie su cui lavorare è sufficientemente inusuale da riportare l’attenzione qui-e-ora, come per ma implica anche la proposta di impegnarsi in un’attività espressiva che in alcuni casi è risultata essere volontaria e creativa. Ciò che è avvenuto all’UnionClub e allo Shu Club è stato, in molti casi, un impegno creativo volontario e consapevole, soprattutto allo Shu, grazie allo stimolo della firma “Picasso” che ha indotto alcuni a ricercare forme cubiste ed interagire in vario modo con la firma o “l’idea di Picasso”.
Quindi la stimolazione operata da “Segni” si configura come un’induzione esplicita ad esprimersi. Ritengo che l’espressività personale, ma anche la consapevolezza soggettiva di ciò che realmente sentiamo e desideriamo, siano campi fortemente condizionati ed influenzati dalle modalità standard di vita e comunicazione. Gli impulsi più autentici della nostra personalità vengono spinti nell’Inconscio perché non interferiscano con il sistema in cui viviamo.
Attraverso le forme inconsapevoli di creatività, come gli scarabocchi, e quelle più consapevoli, questi impulsi soppressi possono tornare alla luce, ed è possibile prenderne coscienza. “Segni” lavora in questo campo e l’espressività tramite la creatività, volontaria e involontaria, è il suo scopo primario. A tal fine mi sono inserito nelle ricerche condotte sull’argomento da Pietroiusti e mi sono avvalso di alcune indagini psicologiche sull’espressività involontaria, non tanto per che cercare di contribuire ad esse, quanto per indagarne le potenzialità “liberatorie” ed estetiche.







giovedì 4 luglio 2013

Stefano Fontana, Oggetti Smarriti, 1987

Stefano Fontana, Oggetti Smarriti, 1987


In una piccola cittadina della Toscana, caratterizzata da un notevole flusso turistico, l'artista ha disseminato “a random” circa 500 rettangolini di legno (6x4 cm.) di diverso colore. Tutti i rettangolini recavano sulla faccia posteriore una piccola piastra magnetica.
Nella piazza principale – punto di passaggio obbligato dell'itinerario turistico – era stata collocata in bella vista una lavagna metallica.


Sui muri della cittadina erano inoltre stati affissi dei manifesti che raffiguravano alcuni rettangolini sormontati dalla scritta “OGGETTI SMARRITI”.
Connettendo tra loro gli elementi descritti, i turisti hanno preso ad attaccare sulla lavagna i rettangolini che casualmente avevano trovato.
Ogni ora circa, senza farsi notare, l'artista sostituiva la lavagna con una nuova. Dal momento che questa operazione ha avuto il corso di una intera giornata, ne sono risultate 10 configurazioni successivamente rese stabili dall'artista.



I rettangolini, i manifesti e la lavagna fondano un sistema di possibilità virtuali – praticamente infinite – entro cui l'opera può essere realizzata. Allo stesso tempo questi elementi definisono i termini di una situazione-problema che l'artista introduce, in maniera inapparente e non esplicita, nel clichè di una visita turistica.
La realizzazione dell'opera scaturisce dal rovesciamento di un comportamento largamente codificato. Essa va infatti a compimento solo se, da una pratica di appropriazione ed eventuale restituzione dietro ricompensa, la situazione creata dall'artista riesce ad ottenere una condotta di retituzione gratuita.
Nel dettaglio, è probabilmente il piacere estetico nel comporre delle forme multicolori sulla lavagna a consentire il superamento dell'interesse pratico di appropriazione.
Ed è proprio questa emancipazione del comportamento indotto dal principio di utilità che regola la vita quotidiana – che la realizzazione dell'opera assume a suo necessario presupposto -a costituire il senso ultimo di questo lavoro di Stefano Fontana. (D.N., Scheda tecnica dell'opera per lo Studio Casoli, 1987)  

Stefano Fontana, Oggetti Smarriti n.4, cm. 70x100 c.ca, tecnica mista su metallo, 1987