L'Arte nello spazio urbano. L'esperienza italiana dal 1968 ad oggi.
di Alessandra Pioselli
Johan & Levi Editore, 2015Il paragrafo 3 del capitolo 5 (pagg. 104-111) è interamente dedicato all'esperienza del Gruppo di Piombino.
Mimetiche e virali le azioni del gruppo di Piombino tesero a rilevare, più che a proporre orizzonti globali di mutamento. Esse puntarono a registrare condotte già in essere o i margini psicologici della libertà tra le pieghe dei condizionamenti, a sollecitare meccanismi di sottrazione spesso non volontari, slittamenti non evidenti alla coscienza che investono esclusivamente la sfera del soggetto.
(...) Cambiò il vocabolario: il "soggetto" sostituì la classe sociale, e la valenza psicologica quella sociologica. Progettate per accadere in luoghi pubblici extrartistici, le operazioni del gruppo di Piombino ritornavano in galleria per sottoporre a "valutazione" i dati ottenuti. I materiali manipolati diventavano testimonianza di una gestualità comportamentale acquisita nella quotidianità. L'artista è colui che opera il prelievo, sorta di readymade esperienziale. Tale impianto relazionale tornò ad attribuire valore alla processualità, riproponendo la messa in discussione dello status dell'autore e dell'opera, ora frutto del caso indotto da una serie di parametri.
(...) Per Nardone il progetto forte era quello moderno dell'avanguardia: una strategia di cambiamento affidata all'arte e attuata attraverso una progettualità militante, esplicitata dalla coesione tra artista, critico e gallerista in una presa di posizione sul ruolo dell'opera e dell'artista contraria alle teorizzazioni postmoderniste di tipo transavanguardistico e citazionista. Tale visione caratterizzò il gruppo di Piombino, distinguendolo dalle tendenze coeve con le quali condivise in ogni caso affinità formali.