In occasione del convegno
L’arte relazionale prima di Nicolas Bourriaud. Gli anni ’80 e ’90
in Italia. Dal Gruppo di Piombino al Progetto Oreste, a Stalker,
organizzato da Francesca Franco e svoltosi presso la Sala Cinema del
MACRO di Roma sabato 16 marzo 2019, Stefano Fontana ha inviato questo
contributo che è stato letto da Francesca Franco mentre sullo
schermo era proiettata l'immagine sopra riprodotta.
‘Unione Depauperati consapevoli’:
ci mancavano loro, un altro gruppetto,
chissà questi cosa. Si lamenteranno anche loro di qualche cosa, come
tutti in questo paese. Depauperati di cosa? Cosa gli hanno portato
via questa volta? Cosa rimpiangono? Le file alla posta? I bei tempi
andati? Quando c’era il muro? Quando si facevano le assemblee?
Quando si scendeva in piazza?
Eccoli ritratti tutti insieme. Dietro sullo sfondo si vedono foto di operai, forse in una manifestazione. Sì, la lotta, si richiamano ai valori dell’intramontabile movimento operaio. Loro però non sono operai, sembrano più borghesi, medici, funzionari, qualche ex figlio dei fiori, sono i peggiori, chissà cosa vogliono fare, se ne accorgano ora che tutto sta andando a rotoli?
Per cosa poi si indignano? Per i privilegi della casta? Per la legge Fornero? Forse non vogliono la fatturazione elettronica. Saranno contro le case farmaceutiche e contro la soia transgenica, contro le multinazionali che ci avvelenano tutti. La società civile, ecco loro sono i rappresentanti della società civile, loro si indignano, forse un tempo facevano i girotondi e nessuno gli ha detto che sono anche quelli finiti.
E’ ora di dire basta, sembrano dire, che così non si può andare avanti. Abbiamo sopportato anche troppo, ora dobbiamo agire, dobbiamo ripartire, non possiamo più aspettare, né demandare, dobbiamo riappropriarci del nostro presente, dobbiamo costruire il nostro futuro. Dobbiamo, dobbiamo. Non domani, ma oggi, prima che sia troppo tardi, prima che non si possa più farlo, che la porta sia irreversibilmente chiusa. Ora o mai più. Perché domani si possa ancora dire domani, perché si possa ancora. Perché.
Parole, altre parole, quante parole! Non dette, forse pensate, forse immaginate.
Colti, inventati, dipinti nel momento dove tutto nasce, l’incipit di ogni cosa: la creazione artistica, l’afflato rivoluzionario. Dove alla tesi si è appena contrapposta l’antitesi, in quel momento fecondo, immediato ed eterno prima che la pulsazione dialettica si chiuda inesorabilmente, si ricomponga, prima che il fuoco si spenga, prima che diventi storia.
Loro c’erano. Loro avevano capito. L’atto fondante, il momento della consapevolezza raggiunta, del senso stesso di esserci, di essere pronti. ‘Understanding’ come ‘Yes we can’ ma molti anni prima. La forma della rivoluzione, di ogni rivoluzione, la sua architettura, i suoi colori.
Un’altra epoca. Adesso è troppo tardi, ormai sono ombre del passato, sono come i ‘non-visti’ di Bill Viola, come un nuovo quarto stato. Non sono più, erano.
Ed in fondo è meglio così. Con i tempi che corrono magari ora sarebbero stati tutti in Parlamento. Invece al massimo questa foto finirà appesa su qualche muro. Forse a qualcuno diranno anche qualcosa, vai a sapere, con la gente strana che c’è in giro.
Un amico