ARTE EVENTUALE
di Domenico Nardone
in Rivista di Psicologia dell'Arte n.4/5, giu-dic 1981
1 - Morfologia e funzione dell'oggetto d'arte.
Esistono cataloghi di numismatica, di filatelia, di porcellane di Capodimonte e talismani della felicità. Accanto a questi esistono anche libri di storia dell'arte. Il testo di storia dell'arte è infatti il catalogo che ordina emette in fila una serie di oggetti - per l'appunto gli "oggetti d'arte" - presumibilmente appartenenti ad una stessa specie. Nondimeno, le peculiarità del catalogo in questione rispetto agli altri appaiono alquanto evidenti. Se infatti è piuttosto agevole definire in termini morfologici e di funzione lo statuto delle monete, statuto che presiede alla compilazione del relativo catalogo numismatico, altrettanto potendosi dire degli altri esempi citati, lo stesso, nei riguardi degli oggetti d'arte, appare notevolmente più arduo. In realtà, un'analisi limitata alla produzione cronologicamente antecedente al nostro secolo, individuerebbe probabilmente delle coordinate morfologiche dell'oggetto in questione piuttosto precise. Tutt'al più essa dovrebbe istituire, sulla base della diversità dei materiali e delle procedure impiegate nel processo di costituzione dei singoli oggetti, dei generi nell'ambito di una stessa classe: dovrebbe cioè distinguere un oggetto-quadro da un oggetto-scultura, un oggetto-affresco da un oggetto-incisione e via di questo passo.
La definizione morfologica dell'oggetto d'arte appena ipotizzata si mostra tuttavia decisamente insufficiente: è noto come ad un oggetto non sia sufficiente possedere i requisiti precedentemente elencati per essere catalogato come arte. Emerge qui una delle caratteristiche fondamentali del catalogo stesso: il suo risultare cioè da un processo di selezione, anziché come negli altri casi di semplice omologazione, che opera su un campo definito da caratteri morfologici. Essendo il campo d'indagine così definito, il giudizio di ammissione, che distribuisce i valori, che fonda e regola le gerarchie, non può che strutturarsi secondo parametri di ordine analogo, attinenti cioè al piano di fattura e di realizzazione tecnica dell'oggetto (es.'stesura del colore', 'qualità del disegno', 'finezza del cesello', 'levigatezza della superficie', etc.).
L'analisi dei connotati morfologici dell'oggetto d'arte offre inoltre la base per impostare anche il discorso sulla sua funzione. In un saggio del 1926 Arvatov (1), uno dei più lucidi teorici del Produttivismo russo, rilevava infatti l'esistenza di un certo grado di affinità tra i materiali e le procedure di costituzione dei vari generi di oggetto d'arte e quelle di altre attività produttive dell'uomo. Il processo di produzione di un quadro si apparenta cioè a quello d'imbiancamento di una parete, quelli della prosa e della poesia a quelli della conversazione e del discorso e via di seguito.Ciò che, alla luce di tale affinità, sembra distinguere l'oggetto d'arte, al di là del suo specifico morfologico, da tutti gli altri oggetti è proprio la sua sconcertante mancanza di funzione, la sua inutilità. L'arte, in questa prospettiva, si configura quindi come il territorio sterile di un più ampio processo di produzione, come il luogo nel quale tale processo muta di segno nel corpo di un oggetto estraniato da ogni ulteriore dinamica produttiva.
L'oggetto d'arte diviene così, rispetto agli altri, un oggetto privilegiato nel momento stesso in cui si sottrae alle leggi che governano la produzione, le quali prevedono bene anche la "consumazione", articolandosi nel rapporto con l'uomo, struttura eccellente di consumazione, secondo i canoni della "contemplazione" o della "fruizione estetica" (2). Entrambe quest'ultime sono infatti modalità di rapporto che interdicono l'uso diretto dell'oggetto per fondarne altresì il godimento in via indiretta, mediato dai suoi frutti (nel caso dell'arte i frutti dell'oggetto potrebbero essere identificati nelle immagini mentali prodotte dalla sua contemplazione): proprio come si possono godere e usare i frutti del capitale non altrettanto potendosi fare del capitale in sé.
Occorre qui ricordare tuttavia come, in apertura di discorso, si fossero fissati i limiti di questa analisi ad un ambito prenovecentesco. La rivoluzione dell'arte moderna si situa infatti proprio a ridosso della condizione dell'oggetto testè delineata: l'esperienza delle avanguardie, spesso anche programmaticamente impegnata nella estensione della gamma di tecniche e materiali utilizzabili per la produzione di arte, determina di fatto la progressiva erosione ed il conclusivo smantellamento della "definizione morfologica di oggetto d'arte" e con essa del dogma riguardante la sua inutilità (3).
Una prima conseguenza di questa trasformazione consiste nel determinare l'assoluta inadeguatezza dei vecchi strumenti di analisi e di valutazione dell'arte, giacché ne abbiamo in precedenza notato l'intima connessione con la definibilità morfologica del campo d'indagine. Un approccio critico, nei confronti della produzione contemporanea di arte, che continui, malgrado la dissoluzione di tale definizione, ad ordinarsi secondo parametri morfologici, non può pertanto che arenarsi sulla desolante constatazione che tra la fotografia giornalistica e l'opera di Warhol non sembra esserci che una differenza di prezzo (5). Purtroppo, molto spesso, anziché dedurre da questa constatazione, come forse sarebbe logico attendersi, l'inadeguatezza dei propri mezzi di analisi, ne afferma al contrario l'assoluta infallibilità e, di conseguenza, grida al feticcio, al simulacro e, in ultimo, alla truffa.
Questo genere di logica ricorda molto quella del capo della polizia del celebre racconto La lettera rubata di Poe, l'erroneità e arroganza della quale sono stati ben svelati da Lacan nel seminario ad esso dedicato (6) e che posono riassumerla nei termini di uno sguardo che, non vedendo ciò che si aspetta di vedere, ne deduce che non c'è niente da vedere.
Il nocciolo del problema consiste, nel nostro caso come in quello del capo della polizia, in uno spostamento dello sguardo, come a dire del giudizio di valutazione, dalla angusta superficie dell'oggetto ad un campo più ampio, non più morfologicamente delimitato, che abbraccia di fatto l'intera sfera dell'attività umana.
E' chiaro inoltre che, ad una estensione di tale portata del campo d'indagine, non può che corrispondere una trasformazione di analoga portata del valore d'arte - e quindi della struttura del giudizio al quale ne viene deputata l'attribuzione - che non potrà più essere individuato in particolari caratteristiche tecnico-fattuali.. In questa prospettiva ciò che l'Arte Eventuale assume a valore d'arte è appunto l'Evento.
2 - L'indefinizione di Evento.
La definizione forse più corretta di Evento è quella di trasformazione profonda dell'ordine del reale. Dal momento però che la realtà va continuamente incontro a processi di trasformazione (ogni accadimento, ogni fatto per quanto banale e quotidiano è pur sempre una trasformazione) ne deriva l'irriconoscibilità dell'Evento su base esclusivamente morfologica. Vedrò di essere più chiaro con un esempio.
Da un punto di vista morfologico il fenomeno di una mela che si stacca da un albero e colpisce la testa di un uomo seduto all'ombra di questo appare un fenomeno piuttosto frequente e di facile osservazione. Nessuno potrebbe attribuirgli su questa base caratteri di eccezionalità o di Evento. Nondimeno, la mela che colpisce in un dato momento la testa di Isaac Newton è a tutti gli effetti un Evento.
Questo semplice esempio indica la strada che dobbiamo intraprendere per approdare all'identificazione dell'Evento. Il suo riconoscimento dovrà cioè passare attraverso la valutazione di tutti gli effetti determinati dal suo prodursi nell'ordine delle cose. Nell'esempio citato tali effetti possono compendiarsi nella formulazione, ad opera di Newton, della legge di gravità, da cui derivano, con un meccanismo 'a rebound' di propagazione dell'Evento, numerosi sotto-effetti di carattere scientifico, sociale, etc.
L'esempio in oggetto ci mostra inoltre come l'analisi di un fenomeno, in termini meramente morfologici, si lasci sfuggire, o trascuri deliberatamente, tutti gli elementi - ad esempio la traiettoria d'incidenza e il peso della mela, la zona cerebrale colpita, i pensieri che Newton andava elaborando in quel mentre, etc. - che, contribuendo a definirne lo specifico, ne fondano altresì la più perfetta unicità.
Quanto detto indica in certa misura l'ottica teorica e metodologica secondo cui deve organizzarsi il giudizio di valutazione. Se questo può però almeno in parte risolvere i problemi deella critica, la quale opera in un tempo comunque successivo a quello della produzione, non risolve invece per nulla i problemi dell'artista - nella nostra prospettiva vero e proprio produttore di Eventi - che si trova altresì ad operare in un tempo antecedente anziché successivo l'Evento stesso. Oltre che dalla analisi di alcuni lavori "eventualisti" che affronterò in seguito, alcune indicazioni possono scaturire da un'ulteriore precisazione della fisionomia dell'Evento. In un articolo pubblicato sul terzo numero di questa stessa rivista (7), Lombardo attribuisce all'Evento i seguenti caratteri: la non-dicibilità, la non-prevedibilità, la non-ripetitività e la non-simbolicità. Vediamo quindi di riconsiderare il caso della mela di Newton in rapporto a questi parametri.
Avevamo già notato come la semplice caduta di una mela sulla testa di un uomo seduto sotto un albero fosse in sé un fenomeno in certa misura prevedibile, ciò che in questo caso non era assolutamente prevedibile è piuttosto la risposta del cervello di Newton allo stimolo mela-che-mi-cade-sulla-testa.
Su questa osservazione s'inserisce una riflessione estremamente importante: come cioè sia proprio il modo in cui Newton subisce e considera il fenomeno a conferire al fenomeno stesso lo statuto di Evento. Su questo punto avremo ad ogni modo occasione di tornare più avanti.
Consideriamo ora l' indicibilità e la irripetibilità dell'Evento. Già in precedenza si era notata l'impossibilità di giungere ad una esatta definizione dell'Evento, fatto dal quale consegue la sua indicibilità linguistica. Se pertanto un Evento non può essere compreso e definito nella sua complessità, allora qualsiasi tentativo di replicarlo non può che essere destinato al fallimento, dal momento che si lascerà sfuggire sempre qualche elemento necessario alla replica.
Newton ha un bel continuare a sedersi sotto gli alberi ed aspettare che una mela gli cada sulla testa, l'illuminazione non si ripeterà.
Il problema della non-simbolicità è peraltro piuttosto semplice: se l'Evento è già in sé un valore (in quanto aspetto innovativo del reale) non ha alcun bisogno di simboleggiarne uno ad esso esterno.
Affrontato quindi il problema relativo alla tipizzazione dell'Evento è d'uopo introdurre una osservazione atta a giustificarne ulteriormente l'assunzione a valore d'arte.
Jaspers, nel suo saggio Psicologia delle visioni del mondo (8), definisce i comportamenti come altrettante “possibilità formali”. Il soggetto seleziona quindi ed ordina i comportamenti sulla base di una “tavola dei valori” che ha assunto come propria. Essendo pressochè infinito il numero dei valori ed essendo possibili tutte le permutazioni del loro ordine gerarchico ne consegue perimenti l'infinità dei comportamenti possibili. In questa chiave il filosofo tedesco individua l'essenza del comportamento estetico in quella di un comportamento che si determina “isolando il valore momento per momento”. Si tratta cioè di un comportamento per definizione irriducibile ad una “tavola di valori” stabilizzata ed immutabile nel tempo ma che anzi assume nel suo stesso statuto l'inversione e lo stravolgimento dell'ordine gerarchico dei valori.
In una prospettiva analoga Lombardo nota l'impossibilità d'interpretare il comportamento estetico secondo una logica unitaria (9), dal momento infatti che ogni frazione di questo comportamento riassume in sé e risponde ad una logica propria, senz'altro diversa se non addirittura in conflitto con quella della frazione successiva. Proseguendo ancora oltre Lombardo giunge ad identificare le basi di un comportamento estetico proprio negli scarti e nelle incongruenze che esso presenta rispetto alla logica cosciente, e quindi razionalizzabile e dichiarabile, che dovrebbe informarlo.
Ritroviamo quindi nel comportamento estetico gli stessi caratteri che abbiamo precedentemente attribuito all'Evento. Vale a dire l'imprevedibilità, giacchè esso si trova a rispondere ad un ordinamento dei valori transitorio e confutabile momento per momento; l'indicibilità, perchè nel suo polimorfismo e nella sua complessità non può corrispondere a nessuno scopo formulabile; l'irripetibilità, perchè abbiamo già visto essere infinito il numero dei comportamenti possibili.
Si può quindi facilmente comprendere come l'arte, se è davvero prodotto-produzione di comportamenti estetici, non possa che essere analizzata e valutata in termini di Evento.
3 – La posizione dell'oggetto nell' Arte Eventuale.
L'identificazione del valore d'arte nel concetto di Evento, nei termini in cui è stata sin qui prospettata, pone a mio avviso la necessità di rivedere la posizione dell'oggetto nel contesto dell'arte. Se l'Evento è per statuto indicibile ed irripetibile è anche, per forza di cose, fuori della portata di ogni scrittura. Ciò, in altre parole, attesta l'impossibilità di un oggetto-evento. Data questa extraoggettualità dell'Evento, l'oggetto non può distribuirsi rispetto a questo che secondo un'ottica meramente strumentale. In questa chiave la sua posizione oscillerà tra due diverse polarità di funzione: l'oggetto-strumento di produzione da una parte, l'oggetto-strumento di documentazione dall'altra.
Di queste due polarità quella produttiva necessita di una ulteriore precisazione. Ideare un progetto per la produzione di un Evento, contesto nel quale si colloca l'oggetto-strumento di produzione, non significa infatti predeterminare la realizzazione pratica dell'Evento in questione. Una possibilità di questo genere si porrebbe tosto in conflitto con lo statuto stesso dell'Evento: se esso è imprevedibile non può certo essere progettabile. Il progetto d'Evento va inteso allora come la definizione dei termini di un processo di produzione nel cui ambito si presume soltanto di rilevare con maggior probabilità la produzione d'Evento. L'Evento infatti non è altro che il caso più favorevole di tutti i possibili esiti della progettata produzione.
Descritta quindi da un punto di vista teorico la prospettiva dell'Arte Eventuale non si può fare a meno, al fine di rendere tali concetti meno evanescenti e più chiari, di esaminarne il momento procedurale. A tale scopo preferisco, ponendo in secondo piano il criterio storiografico, servirmi di materiali già utilizzati dagli artisti come campioni; considererò cioè essenzialmente le opere presentate nella prima mostra collettiva di Arte Eventuale (10). Tra queste opere quella che, in virtù della struttura singolarmente paradigmatica, forse meglio si presta ad un approccio introduttivo è il Test di Preferenze estetiche (1980) di Anna Homberg. Il lavoro della Homberg consta infatti dei seguenti elementi:
Una serie di immagini fotografiche – riproducenti oggetti d'uso comune, arredamenti, capi d'abbigliamento, etc – accoppiate due a due sulla base di una analoga funzione d'uso.
Un questionario nel quale lo spettatore è tenuto ad indicare la sua preferenza per ogni elemento in ogni coppia d'immagini.
da Anna Homberg, Test di preferenze estetiche, 1980, item n.41
da Anna Homberg, Test di preferenze estetiche, 1980, questionario
Il lavoro descritto presenta quindi evidenti i tre aspetti fondamentali della procedura eventualista, vale a dire: l'oggetto-strumento di produzione (il pattern visivo articolato in coppie d'immagini), il processo di produzione (la serie di scelte operate dallo spettatore) e l'oggetto-strumento di documentazione (il questionario che documenta le scelte dello spettatore). Il processo di produzione, innescato dall'artista nello spettatore, assume, almeno in via teorica, dei connotati forzatamente estetici (11). Lo spettatore si trova infatti nell'impossibilità di adoperare nella scelta criteri economico-utilitaristici (il valore d'uso degli elementi presenti in ogni coppia si presume identico), dovendo quindi optare esclusivamente tra due diverse concezioni estetiche di uno stesso oggetto. La scelta si configura perciò in questo caso come prettamente estetica.
L'oggetto-test della Homberg funziona quindi a tutti gli effetti come strumento di produzione di comportamenti estetici. E' opportuno tuttavia rilevare in quest'oggetto un'altra modalità di funzione che vedremo condivisa da molti altri oggetti eventualisti. Vale a dire la sua capacità di funzionare come strumento di un'indagine scientifica condotta secondo criteri convenzionali. La stessa artista ha infatti sviluppato la possibilità di utilizzazione dell'oggetto in questo senso giungendo ai risultati esposti nel suo saggio Preferenze estetiche nel comportamento comune: critica della letteratura e nuovi studi sui gemelli (12).
Riguardo poi le due polarità di funzione – produttiva e documentativa – caratteristiche dell'oggetto eventualista vorrei notare come nell'oggetto-test, descritto in precedenza come strumento di produzione, affiori anche la componente documentativa: esso cioè, prima di produrre all'esterno dei comportamenti estetici, documenta con la sua peculiare composizione le scelte estetiche dell'artista stessa.
Abbiamo quindi potuto esaminare, nel Test di Preferenze Estetiche, un lavoro che presenta nell'unità spazio-temporale tutti gli aspetti fondamentali dell'opera eventualista. Va detto tuttavia che lo specifico dei problemi affrontati consente molto raramente una presentazione al pubblico di questo tipo; accade quindi spesso che gli eventualisti espongano oggetti che fanno riferimento e sottolineano piuttosto un singolo passaggio di una ricerca più vasta. Avviene cioè che, nell'ambito di una pratica di ricerca, si produce un fenomeno al quale l'artista connette il valore di Evento e la cui documentazione giudica sufficientemente autonoma da poter essere esposta da sola. Nella mostra che stiamo considerando troviamo per l'appunto esempi di questo tipo.
Raffaeli espone gli Errori (1979), una serie di ricevute, o di documenti equivalenti, che testimoniano il verificarsi di un errore di calcolo in circostanze di vario genere, sempre ad ogni modo a vantaggio dell'autore stesso.
da Ferruccio Raffaeli, Errori, 1979, evento n.1
Attraverso questa sottolineatura di errori – intesi nell'accezione freaudiana di atti mancati, di comportamenti che esorbitano il piano di coscienza – Raffaeli isola dalla mera esecuzione di un compito (il calcolo matematico) gli scarti e le deviazioni dalla logica esecutiva che costituiscono l'ossatura stessa del comportamento estetico. Considerando poi la concentrazione degli errori certificati, sette nell'arco di tre mesi; la loro entità sempre considerevole, aggiunte al fatto che si verificano sempre a favore dell'autore, ricaviamo l'ipoteca posta dall'artista stesso sulla genesi del fenomeno. Giacchè inoltre la documentazione offertaci non ci dice nulla riguardo gli strumenti e le tecniche adoperate dall'artista per conseguire tale risultato, possiamo dedurre che egli stesso, nell'interezza del suo comportamento e nella complessità della sua personalità, costituisca nel contempo lo strumento di produzione e la procedura tecnica che realizza l'errore. Raffaeli sgombra quindi il campo da qualsiasi protesi oggettuale e propone fisicamente se stesso come strumento di produzione di comportamenti estetici e quindi di Eventi.
Anche il lavoro di Sergio Lombardo, La tua vera immagine (sogno postipnotico, 1980), si presenta sotto il profilo di oggetto-strumento di documentazione. Essa consiste infatti in un disegno illustrante un sogno fatto dall'autore sulla base di una induzione ipnotica da egli stesso elaborata.
Sergio Lombardo, La tua vera immagine, 1979
L'opera investe quindi direttamente il campo di ricerca, il sogno, nel quale Lombardo sta investigando da un decennio a questa parte. In questa sede non è certo possibile neppure accennare ad una ricerca di tale vastità e portata, per la cui conoscenza rimando comunque alle sedi specifiche.
Mi limiterò tuttavia a rilevare come, a differenza degli Errori di Ferruccio Raffaeli, si possa qui facilmente intravedere lo strumento del quale si è avvalso l'autore per produrre l'Evento in questione, vale a dire l'induzione ipnotica elaborata dall'artista nonché precedentemente esposta al pubblico (13).
Ciò che mi interessa invece qui considerare è il problema posto dalla particolare morfologia dell'oggetto-documento: non c'è dubbio infatti che esso, su un piano morfologico, corrisponda alla definizione dell'oggetto-quadro data in apertura dell'articolo. Affinità morfologica che permane anche dopo l'osservazione che il linguaggio visivo, nel quadro di Lombardo, si dispone secondo criteri formali “asettici”, tipici dell'immagine scientifica, che conferiscono al segno un valore assimilabile a quello del simbolo matematico, nell'intento di eliminare dal disegno le componenti irrazionalistico-emotivo al fine di sottolineare l'ectopia del valore, l'evento onirico nella fattispecie, rispetto alla superficie di rappresentazione.L'artista recupera così l'oggetto-quadro sulla base della sua potenziale efficacia documentaristica e non, beninteso, nei termini di autosufficienza ed autovalore, fondati sulle sue peculiarità morfologiche e tecniche, che lo qualificafano in precedenza. La possibilità di questo recupero, dimostrata da Lombardo, lascia inoltre intravedere come, almeno in origine, anche l'oggetto-quadro si articolasse in rapporto all'Evento: da una parte come documento di eventi sociali, politici, etc. (es. i quadri storici) o intrapsichici individuali (es. i quadri astratti), dall'altra come strumento di produzione di altri eventi (le emozioni suscitate dalla sua contemplazione). In seguito tuttavia, l'utilizzazione protratta ed esclusiva del quadro come unico strumento di documentazione e produzione di eventi, ha finito per privarlo di questo rapporto, affermandolo come autovalore e rendendolo del pari inefficace in entrambi i sensi.
Il mio lavoro Io non sono qui né tantomeno desidero che si parli di me in questa sede (opera involontaria, 1981), serie di schizzi, appunti e scarabocchi da me eseguiti in varie occasioni e raccolti a mia insaputa da Lombardo, appartiene anch'esso al genere degli oggetti-documento.
Domenico Nardone, Io non sono qui nè tantomeno desidero che si parli di me in questa sede, 1981, particolare
Ci sono però in questo lavoro delle caratteristiche che meritano a mio avviso di essere considerate. Mi riferisco innanzitutto alla totale involontarietà con la quale tali documenti sono stati ottenuti. Vorrei a tal proposito ricordare che ero solito abbandonare gli scarabocchi in questione sul tavolo dove mi trovavo o addirittura accartocciarli e gettarli nel cestino dal quale puntualmente Lombardo li recuperava e conservava. Del resto la stessa didascalia “Io non sono qui né tantomeno desidero che si parli di me in questa sede” è stata da me concepita come dichiarazione, se non di completa estraneità ai fatti, giacchè non potevo negare di averli prodotti, almeno di non intenzionalità nel commettere l'accaduto. A posteriori ho avuto modo di notare come fosse proprio questa mancanza di intenzionalità a conferire loro un carattere particolare e sostanzialmente connesso all'Evento (ad esempio le conversazioni nelle quali ero impegnato ed i miei relativi stati d'animo) dal cui ambito scaturivano. Di fatto, da quando ho esposto questi scarabocchi, acquisendo in tal modo alla coscienza il loro valore, non sono più stato capace di ripeterli sortendo un effetto analogo.
A riprova di quanto detto basta osservare Interpolazione (1981), uno schizzo da me eseguito dopo aver esposto il lavoro in questione.
Domenico Nardone, Interpolazione, opera semi-involontaria, 1981
Si può notare come dalla sua superfice sia quasi completamente scomparso il carattere di involontarietà ed accidentalità che contraddistingueva gli altri.
Non si può infatti simulare l'involontarietà, l'istanza programmatica balza evidente agli occhi nonostante i trucchi da me escogitati (quali ad esempio l'aver utilizzato un foglio su cui figuravano già degli appunti anziché un foglio bianco), l'artificio rende il disegno una goffa imitazione di un gesto involontario.
L'analisi del lavoro di Vittorino Cyrci, Amatemi (1975), necessita di qualche precisazione. La prima riguarda la data che, collocandolo in una posizione all'incirca intermedia rispetto alle prime esperienze di Lombardo catalogabili come eventualiste e quelle successive di Pietroiusti, Raffaeli, etc., lo pone ovviamente al di fuori della discussione teorica che si sarebbe andata sviluppando con queste esperienze, nonché con la nascita di questa stessa rivista.
La seconda precisazione è invece relativa al contesto dal quale questo lavoro è stato prelevato e del quale offre una sorta di campionatura. Si tratta cioè di una serie di manifesti, grosso modo contemporanei a quello presentato e ad esso assimilabili da un punto di vista teorico oltre che tecnico, con i quali l'artista si proponeva di isolare le varie istanze psicologiche che promuovevano in lui il processo creativo. Sulla base di queste precisazioni resta comunque il fatto che questo lavoro, in una analisi a posteriori, presenti una piuttosto evidente connotazione eventualista. Riconosciamo infatti il suo aspetto di strumento di stimolazione nell'invocazione che esso offre allo spettatore e contemporaneamente non possiamo non rilevare anche l'aspetto documentativo, forse maggiormente cosciente nell'autore, rispetto ad una propria esigenza e ad un proprio stato d'animo.
L'ultimo dei lavori che considererò è Assenze 3° (1979) di Cesare Pietroiusti, unico oggetto-strumento di produzione presente isolatamente in questa mostra.
L'opera si compone di tre tavole grafiche ottenute attraverso la ripetizione di una sequenza segnica elementare (ad es. - + -). In ciascuna tavola la sequenza di base appare però incompleta in un tratto (ad es. - - + -).
Cesare Pietroiusti, Assenze 3°, 1979
Lo spettatore viene quindi pregato di “completare” il disegno che gli viene sottoposto. Ovviamente nella maggior parte dei casi questi, individuato il tratto mancante, lo completerà iscrivendovelo; esiste però la possibilità che egli, anziché regolarsi in questo modo, aggiunga un qualcosa di completamente extracontestuale. La valutazione di un siffatto comportamento è data dallo stesso Pietroiusti: “Il deviante (colui che non completa il disegno in base alla logica che esprime, nda)...ha una logica personale, che scientificamente si definisce 'delirante', che cozza contro il senso comune, ma che può anche imporsi ad esso, cambiandolo e indirizzandolo su nuovi binari. Il deviante costruisce infatti una nuova figura a partire dalla figura data e, lungi dallo svelarne l'assenza precedente, la rende più complessa, più problematica, stimolante altre proiezioni, cioè carente sotto nuovi e diversi aspetti. Il deviante crea nuove assenze, produce una nuova invenzione. Fa arte” (14).
Le tavole grafiche di Pietroiusti divengono quindi delle vere e proprie cartine al tornasole dell'Evento, perfettamente adatte a produrre e svelare comportamenti estetici.
Con quest'ultimo esempio si conclude la panoramica sulle opere dell'Arte Eventuale, con la quale spero di aver sufficientemente chiarito la posizione ed il ruolo assunti dall'oggetto in quest'ambito.
Sul finire vorrei però raffrontare il tipo di rapporto che intercorre tra lo spettatore e l'opera eventualista con quello che intercorreva, sempre tra gli stessi termini, nell'Arte tradizionale. Se infatti quest'ultima si articolava in rapporto allo spettatore secondo i già descritti canoni della “contemplazione” o della “fruizione estetica”, viceversa l'Erte Eventuale si fonda proprio sull'uso diretto dell'oggetto ad opera dello spettatore (test da compilare, disegni da completare, bottoni da premere, etc.). L'oggetto eventualista è tuttavia ancora un oggetto inutile, nel senso però che non si presta ad una funzione d'uso già nota e standardizzata bensì ad una funzione ancora ignota e non formulata. Con un gioco di parole possiamo dire che l'oggetto eventualista è un oggetto che deve essere usato ma che non può essere utilizzato.
Usare un oggetto per scopi ignoti è a tutti gli effetti un comportamento etetico, giacchè non può rispondere ad una logica economico-esecutiva, e quindi un Evento. In quest'ottica possiamo quindi comprendere la bellissima intuizione di Lombardo, sulla quale concludo, che “L'Evento è l'uso estetico della vita” (15).
Note:
Arvatov B., L'Arte nel sistema della cultura proletaria, in Arte, Produzione e Rivoluzione, Guaraldi, 1950. Ed. or. 1926.
In un primo tempo il carattere di inutilità sembra derivare all'oggetto d'arte dalla sua particolare morfologia. Successivamente, in forza della convenzione, il luogo di collocazione (la galleria, il museo, etc.) assume di per sé la capacità di destituire di ogni valore d'uso qualsiasi oggetto vi trovi posto. La defunzionalizzazione di un oggetto, necessaria secondo Duchamp per ottenerne la slatentizzazione delle valenze estetiche, è infatti a volte da questi provocata semplicemente trasferendo l'oggetto dal suo contesto abituale al museo.
Mi sembra in questa chiave significativo come il rifiuto da parte delle Avanguardie storiche della concezione di inutilità dell'arte segua da vicinola formulazione più radicale che tale concetto abbia mai trovato, ovvero la teorizzazione di “un arte perfettamente inutile” (Wilde) che sottende tutta la produzione decadente. Un'impostazione teorica di questo tipo ha infatti almeno il pregio di sgombrare completamente il campo dagli equivoci.
Cfr. Nardone D., La scomparsa dell'oggetto d'arte, in Riv. Di Psicol. Dell'Arte, vol.II, 1980.
Perniola M., La società dei simulacri, Cappelli, Bologna, 1980.
Cfr. Lacan J., Il seminario sulla lettera rubata, in La cosa freudiana e altri scritti, Einaudi, Torino 1972. Trad. it. Di Contri e Laoldi.
Cfr. Lombardo S., Metodo e Stile. Sui fondamenti di un'Arte Aleatoria Attiva, in Riv. Di Psicol. Dell'Arte, vol.III, 1980.
Cfr. Jaspers K., Psicologia delle visioni del mondo, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1950.
Cfr. Lombardo S., Appunti sulla teoria della complessità e sul concetto di isotropia, in Riv. di Psicol. Dell'Arte, vol.I, 1979.
Arte Eventuale, galleria Jartrakor, Roma novembre 1981. La mostra, con parziali mutamenti e sotto altro titolo, era già stata presentata a Milano, Galleria Cenobio-Visualità nell'aprile del 1981. L'allestimento di questa mostra è stato in entrambe le occasioni curato da Sergio Lombardo, Anna Homberg, Cesare Pietroiusti e da me.
La possibilità di ottenere da parte dello spettatore un comportamento etetico “obbligato” era già stata sfruttata da Lombardo in alcune “situazioni-problema” del 1968. In calce all'opera Scatola con 21 cubi si trova ad esempio la seguente didascalia: Riempire una scatola che contiene perfettamente 20 cubi avendone a disposizione 21 di cui sette rossi, sette gialli, sette azzurri”. Non esistendo una disposizione logica dei cubi nella scatola, né alcuna ragione per scartare un cubo di un colore anziché di un altro, le scelte operate dallo spettatore sono in ogni caso frutto di un comportamento estetico.
Cfr. Homberg A., Preferenze estetiche nel comportamento comune: critica della letteratura e nuovi studi sui gemelli, in Riv. Di Psicol. Dell'Arte, vol.III, 198
Gli strumenti di produzione ai quali si fa accenno sono stati presentati al pubblico per la prima volta in Sergio Lombardo: L'attraversamento dello specchio, La tua vera immagine. Cesare Pietroiusti: Il gesto di potere, galleria Jatrakor, Roma, maggio-giugno 1979. L'induzione ipnotica in questione, La tua vera immagine, era nella fattispecie articolata in un nastro magnetico registrato, che ne costituiva la componente verbal e più in generale uditiva, e in uno specchio tachistoscopico di Lombardo, che ne costtituiva la componente visiva.Riferimenti specifici a questo lavoro si possono ad ogni modo trovare in: Lombardo S., Immagini indotte in stato di trance ipnotica, in RpdA, vol.I, 1979, pagg. 56-59.Una descrizione tecnica dello specchio tachistoscopico si trova invece in Lombardo S., Caratteristiche delle immagini che stimolano attività onirica, su questo stesso numero.
Pietroiusti C.M., Assenza e devianza, in RpdA, vol.I, 1979
Da una conversazione privata con l'artista.