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domenica 3 marzo 2013

Il metodo è il quadro

IL METODO E' IL QUADRO
di Domenico Nardone

in catalogo mostra Sergio Lombardo, Comune di Suvereto, giugno 2001
pubblicato anche in http://www.undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/cgi-bin/undo/features/features.pl%3Fa%3D%26cod%3D36
a cura di Domenico Nardone in collaborazione con Stefano Fontana e Pino Modica


   La sintetica retrospettiva di Sergio Lombardo, presentata nell'ambito di questa edizione di Extempore, offre una campionatura delle opere dell'artista, dal 1959 al 1979, atta a porre in evidenza il metodo di ricerca che le sottende, al di là delle diverse connotazioni formali che le distinguono. Stabilire delle correlazioni tra le opere di Lombardo, al fine di individuare una cifra stilistica che le accomuni in senso classico, condurrebbe infatti inevitabilmente ad uno stravolgimento della loro lettura. Mai come in questo caso è vera l'asserzione di Braque: il metodo è il quadro.
La mostra si apre con un'opera del 1959, Nero 78, una carta su cui l'artista ha incollato una serie di piccoli riquadri dello stesso formato a comporre un'ordinata griglia ortogonale. Il tutto appare poi uniformemente "verniciato" di nero.
L'analisi di questa gouache concretizza subito la questione posta nella premessa. Tecnicamente è infatti descrivibile come un monocromo, apparentemente simile, nel profilo formale, a quello di Schifano, a cui peraltro è cronologicamente vicino. Un'osservazione più attenta ne rivela nondimeno un impianto metodologico del tutto diverso. Il problema che si pone l'artista è infatti quello dello scarto esistente tra un progetto (suddividere una superficie in una griglia ortogonale e campirla uniformemente di nero) e la sua esecuzione. L'attenzione di chi guarda si appunta sulle deviazioni e gli errori (difformità di campitura, lievi inclinazioni delle linee che formano la griglia, scolature, etc.) che l'esecuzione mostra rispetto al semplice progetto iniziale.
Già nei monocromi - anche se in questo caso progettista ed esecutore sono materialmente la stessa persona - Lombardo sembra quindi individuare come nevralgico nell'economia dell'opera d'arte l'apporto che l'esecutore dà alla sua realizzazione.
I Punti Extra del 1967 sono delle (n) sagome rotonde di formica che devono essere disposte entro uno spazio x secondo uno schema y. La scelta di uno schema di disposizione piuttosto che un altro è rimessa all'arbitrio del gallerista o del curatore della mostra, nei quali viene a configurarsi la figura dell'esecutore del progetto.
Progettista ed esecutore, diversamente da quanto avveniva nei monocromi, non sono più fisicamente incarnate dalla stessa persona e, tra il progetto e la sua esecuzione, si frappone un intervallo di tempo più o meno lungo.
L'imprevedibilità delle variazioni implicate dall'esecuzione dei monocromi, è codificata nei Punti Extra da una serie di schemi di disposizione, assolutamente intercambiabili e tra loro equivalenti, che prendono forma ad ogni loro diverso allestimenento. La variabilità d'esecuzione è così assunta all'interno dello statuto definitivo dell'opera, anche se rimane il fatto che, una volta allestiti nello spazio e inaugurata l'esposizione, il pubblico vero e proprio non ha più la possibilità di modificarne la disposizione.
In un'altra opera - 30 Aste, attualmente nella collezione permanente della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e di cui in questa occasione viene presentata una versione ridotta - la responsabilità dell'esecuzione è apertamente consegnata nelle mani dello spettatore. A questi viene infatti richiesto di disporre lungo una parete 30 aste di circa tre metri di lunghezza e di sei colori diversi (5 bianche, 5 nere, 5 gialle, 5 rosse, 5 blu e 5 verdi) (1).
 

Aste e Punti Extra, 1967, istallazione alla galleria Grossetti, Milano, 1968
 
Il progetto dell'artista definisce in questo modo i limiti di un campo di possibilità comportamentali, nel cui ambito lo spettatore è libero di muoversi secondo le sue inclinazioni personali, assumendo il ruolo di esecutore necessario al completamento dell'opera, che vede concretizzarsi, ad ogni singola esecuzione, una delle possibilità formali contemplate dal progetto (2).
Se, nella modalità d'interazione declinata dalle Aste, lo spettatore può dirsi pienamente consapevole dell'apporto che dà al completamento dell'opera, non altrettanto si può dire nel caso delle cosiddette situazioni-problema, rappresentate in questa mostra dalla Sfera con sirena. Nelle situazioni-problema lo spettatore viene infatti improvvisamente a trovarsi alle prese con un problema da risolvere, per giunta in un contesto - una mostra d'arte - in cui non si aspettava minimamente di doverlo fare.

Sfere con sirena, XXXV Biennale di Venezia, 1970

Alla Biennale di Venezia del 1970, Sergio Lombardo espose sette sfere di colore diverso (3), che contenevano all'interno una sirena d'allarme azionata da un interruttore a mercurio. Quando gli spettatori entravano nella sala trovavano le sfere perfettamente immobili e silenziose. Non appena qualcuno di loro, sia pure inavvertitamente, ne metteva una in movimento, partiva l'urlo lacerante della sirena.
Con quest'opera, le maglie del sistema di regole che definisce il campo di possibilità, entro cui l'interazione dello spettatore può dar luogo al completamento dell'opera, si allargano a dismisura. L' assoluta involontarietà con cui questi si trova ad espletare l'azione di completamento fà sì che la Sfera con sirena, come progetto, preveda infatti dei comportamenti esecutivi imprevedibili.
La situazione di pericolo configurata dalla Sfera con sirena trova una formulazione ben più radicale nel Progetto di morte per avvelenamento del 1970. Lo spettatore è messo di fronte ad una boccetta di veleno, accanto a cui è collocata una busta su cui è scritto che può essere aperta solo dopo la morte della persona che ha assunto il veleno. L'esecuzione dell'opera implica in questo modo la morte dell'esecutore. Le possibilità d'interazione del fruitore si riducono drasticamente alla scelta tra la vita e la morte, il cui senso è dato da un ipotetico premio conoscitivo (il contenuto della busta) che comunque non sarà riscosso dal diretto interessato.
E' chiaro, ad ogni buon conto, che la possibilità di porre termine alla propria esistenza ingerendo il veleno è più che altro virtuale: la boccetta di veleno è infatti esposta all'interno di una teca di cristallo e un custode si mantiene sempre nelle vicinanze pronto ad intervenire.
La scelta tra la vita e la morte, che è preliminare a tutte le scelte successive dell'individuo fondandone la ragion d'essere, è in realtà proposta dal Progetto di morte per avvelenamento
su un piano d'interazione prettamente mentale. In questo lavoro possiamo quindi già cogliere nella ricerca dell'artista, seppure a livello embrionale, lo spostamento del fuoco dell'indagine dall'interazione manuale a quella psicologica e mentale, che sarà più evidente nelle opere successive.

Progetto di morte per avvelenamento, 1970

I Concerti matematici (1971-1975) sono ancora una situazione-problema, come quelle precedentemente descritte, ma introducono nell'economia dell'interazione delle dinamiche del tutto inedite.
Il progetto è codificato da uno strumento - denominato nella sua prima versione R72 SAS - concepito e fatto realizzare dall'artista. Questo strumento è collegato a dieci terminali dotati di una levetta, che può essere commutata dalla posizione A a quella B, ed emette un suono modulato. I terminali sono affidati ad altrettanti esecutori e la soluzione del problema posto da questo progetto è quella di ottenere la cessazione dell'emissione di suono da parte dello strumento. Le posizioni A e B della levetta del terminale manovrato dagli esecutori modificano infatti la frequenza del suono emesso, un innalzamento della frequenza indica un avvicinamento alla soluzione, un suo abbassamento un allontanamento da questa (4). I Concerti matematici sono 'diretti' da un attore che ne ignora la soluzione e procede alla sua ricerca sulla base delle variazioni che il suo comportamento - nei termini delle regole contenute nello 'spartito' distribuito agli esecutori - determina sulla frequenza dell'indice acustico. La figura del direttore è quindi quella direttamente impegnata nella ricerca della soluzione del problema, a cui può pervenire attraverso un processo di apprendimento per tentativi ed errori, orientato dal feed-back (il ritorno acustico) fornitogli dall''orchestra'.

Concerto per danzatrice, 1971, esecuzione nello studio dell'artista, 1971

Con i Concerti matematici assistiamo quindi in primo luogo ad un'elevazione dell'ordine di complessità del problema posto - rispetto a quello elementare posto dalle Aste - e, soprattutto, all'introduzione dell'interazione tra persone e non più soltanto tra il singolo e la situazione-problema da risolvere. Gli strumentisti-esecutori apportano infatti una variabilità nello svolgimento del concerto (lentezza nelle risposte, distrazione, etc.) indipendente dal comportamento del direttore e di cui, nondimeno, egli deve tenere conto nel corso del suo processo di avvicinamento alla soluzione.
Gli Specchi tachistoscopici, i cui primi esperimenti risalgono al 1979, sono delle cassette di legno, ricoperte di laminato plastico, al cui centro è collocato un piccolo specchio. Lateralmente è posto un pulsante che, se premuto, attiva un flash che visualizza per una frazione di secondo attraverso lo specchio -sovrapponendosi quindi all'immagine riflessa di chi lo sta guardando - un'immagine-stimolo. Accanto allo specchio si leggono le seguenti istruzioni:

Inquadra il tuo volto al centro dello specchio
e fissalo intensamente per circa un minuto.
Concentra l'attenzione sull'occhio destro,
e, mentre continui a fissarlo intensamente, premi il pulsante.
Questa notte, o la notte successiva, farai un sogno.
Un sogno indimenticabile
che riguarderà la tua immagine:
ti vedrai in una forma assurda, simbolica, segreta
e, forse, non ti riconoscerai.
Ti apparirà la tua Vera Immagine.
Un'immagine straordinaria, emozionante,
intima e profondamente vera.
Un sogno che ricorderai perfettamente
anche da sveglio.

I racconti dei sogni degli spettatori che si sono serviti degli specchi tachistoscopici sono stati poi raccolti da Lombardo e hanno dato luogo ad una serie di disegni in cui l'artista ne ha riprodotto il momento saliente. Questi disegni sono divenuti successivamente anch'essi oggetto di esposizione.
Gli Specchi tachistoscopici sono quindi la prima ricerca in cui l'attenzione dell'artista si appunta sui risultati prodotti dall'interazione del pubblico con il progetto, che da questo momento egli definirà sempre più esplicitamente nei termini di 'stimolo'. Nell'esito dell'interazione tra lo stimolo ed il fruitore egli individuerà l''evento' - da lui inteso come "vissuto psicologico soggettivo generato da uno stimolo oggettivo, che coinvolge profondamente il fruitore sia sul piano cognitivo, che su quello affettivo ed emotivo" (5) - e definirà nei termini di 'documento' gli oggetti materiali, nella fattispecie i disegni dei sogni, a cui l'evento dà luogo (6).
A questo interesse per la raccolta, la catalogazione e l'analisi dei risultati che si producono nell'interazione tra lo stimolo e il pubblico, non sembra estranea la nascita, che risale grosso modo allo stesso periodo delle prime ricerche sullo specchio tachistoscopico, della Rivista di Psicologia dell'Arte, fondata e diretta da Sergio Lombardo, da lui intesa proprio come sede specifica e specialistica per la discussione e divulgazione di questi risultati.
Gli Specchi tachistoscopici e la Rivista di Psicologia dell'Arte concludono, per certi versi, il ciclo di una ricerca intrapresa vent'anni prima con i Monocromi, articolando, in maniera quasi paradigmatica e nella loro pienezza, i termini della dialettica stimolo-evento-documento - lo specchio, il sogno e il disegno che lo riproduce - riconosciuta da Lombardo come propria del processo estetico e da lui assunta, fin dagli inizi, seppure con una diversa consapevolezza teorica, come metodo.
Dalla sperimentazione intrapresa dall'artista nel campo degli specchi tachistoscopici - ed in particolare da quella relativa alla configurazione dello stimolo onirico da introdurvi come percetto subliminale - trae inoltre origine la linea di ricerca che Lombardo seguirà nei vent'anni successivi. Nel corso di questi esperimenti, egli scopre infatti che l'immagine-stimolo più efficace, quella che induce nei fruitori una produzione onirica più variegata e complessa, oltre che quantitativamente significativa, è un'immagine astratta, ottenuta distribuendo casualmente su un foglio di carta - secondo un metodo da lui stesso riconosciuto come surrealista - dei ritagli di forme geometriche varie (7).
Sulla scorta di questa scoperta, il fuoco dell'indagine si sposta decisamente verso le modalità di configurazione dell'immagine-stimolo, per la quale l'artista mette a punto nel tempo due diversi metodi di generazione, fondati su criteri di ordine matematico: il metodo TAN, per la realizzazione di immagini bicromatiche ed il metodo SAT, per quella di immagini policromatiche.
Nondimeno, la questione dell'interazione dello spettatore con lo stimolo - che abbiamo visto sin'ora occupare una posizione centrale nella teoria dell'arte di Lombardo - non viene con questo accantonata e messa da parte, piuttosto infonde corpo e sostanza all'astrazione matematica di cui anima lo sfondo. Le immagini generate dai due metodi matematici vengono infatti passate al vaglio di una verifica statistica, condotta su campioni di soggetti eterogenei, chiamati ad esprimersi circa il grado di proiettività (la capacità di produrre interpretazioni) e quello di preferenza delle immagini sottoposte a giudizio.
Questa procedura di verifica sperimentale àncora i risultati prodotti dai due generatori matematici all'oggettività del rapporto interpretativo che lo spettatore intrattiene con l'immagine-stimolo, impedendo la deriva della ricerca verso una forma di lirismo matematico.
L'evoluzione euristica che subentra con la Pittura stocastica e le Mappe è quindi, più precisamente, quella di uno spostamento dell'interesse per i meccanismi di ricezione dell'opera d'arte da parte di chi la fruisce, dalla elementarità e immediatezza di un'interazione del tipo stimolo-risposta - come avveniva ad esempio nella Sfera con sirena - alla complessità e diacronia di un'interazione di ordine più propriamente interpretativo.



Note:
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(1) E' significativo che, almeno in questa fase della ricerca, l'ordine di complessità dei progetti messi a punto per essere eseguito sia volutamente sempre molto elementare. Non sembra affatto casuale, ad esempio, che le aste siano il primo esercizio di scrittura che viene insegnato al bambino.

(2) L'opera come insieme di regole che determinano un campo di possibilità di esecuzione è definita in quegli anni da Eco opera in movimento ( cfr. Opera aperta, Bompiani, Milano 1962).
E' interessante notare come anche nelle opere del Gruppo di Piombino (Falci, Fontana e Modica), che risalgono alla seconda metà degli anni '80, il fruitore sia chiamato al completamento dell'opera. Questo avviene però in un tempo che precede il momento espositivo, quando il progetto si trova ad essere declinato nel contesto della vita di tutti i giorni assolutamente privo di connotazioni artistiche. Per contro, quando l'opera piombinese viene proposta alla fruizione estetica in senso stretto, non è più suscettibile di movimento bensì 'bloccata' e non interagibile. Su questo argomento vedi anche il mio Prolegomeni ad un allargamento del campo d'osservazione in arte in cat. Antonio Lombardi: quattro lavori, Ediz. Lascala, Roma 1983.

(3) L'anno precedente, una sola Sfera con sirena, era stata presentata alla Biennale Internazionale di Parigi.

(4) In una versione successiva (R73 SAAS) lo strumento prevede per ogni concerto non una ma due soluzioni. Ciò vuol dire che la massima distanza dalla soluzione, a cui corrisponde l'emissione del suono di frequenza più bassa, è quella di cinque levette in posizione corretta e cinque no. In questo caso l'attore pur rendendosi conto dall'aumentare delle frequenze del suono che la soluzione è vicina, non riesce però mai a riconoscere di quale delle due soluzioni si tratti, egli perciò inconsapevolmente sceglie una soluzione piuttosto che il suo opposto (S. Lombardo in Metodo e Stile. Sui fondamenti di un'Arte Aleatoria Attiva in Rivista di Psicologia dell'Arte, n.3, 1980, p.105).

(5) S.Lombardo, Specchi Tachistoscopici con stimolazione a sognare. Alcuni risultati sperimentali in Riv.di Psicol.dell'Arte, anno XII, n.2,1991.


(6) Dovrebbe essere chiaro, ad ogni buon conto, che la continuità di questo processo non si arresta, nel caso degli Specchi Tachistoscopici, con la realizzazione dei disegni che riproducono i sogni dei fruitori degli specchi. Questi documenti, nel momento in cui vengono esposti e presentati al pubblico, divengono infatti a loro volta degli stimoli che riavviano la dialettica del processo

(7) Pittura stocastica 1980-1995, intervista a S.Lombardo a cura di M.Mirolla, in cat. Sergio Lombardo, Università degli studi di Roma "La Sapienza, Roma 1995, pag.79.

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