Il Gruppo di Piombino e l'Arte
Relazionale: analogie e differenze.
di Domenico Nardone
Relazione per il convegno “L'Arte
Relazionale prima di Nicolas Bourriaud. Gli anni '80 e '90 in Italia:
Gruppo di Piombino – Progetto Oreste -Stalker”, Macro Asilo, Roma
16 marzo 2019.
Pubblicato negli
Atti del Convegno,
a cura di Francesca Franco, Macro Asilo Diario, fasc. 16/03, Roma
2019.
Da qualche anno a questa parte –
soprattutto da quando curo il blog del Gruppo di Piombino – mi
sento rivolgere la domanda sui rapporti che intercorrono tra la
teoria e la pratica dell'arte del Gruppo di Piombino e l'Arte
Relazionale di cui a molti la nostra esperienza sembra costituire un
antecedente.
Come è noto Nicolas Borriaud
formalizza e da spessore teorico al concetto di Arte Relazionale nel
saggio
Estetica Relazionale che pubblica nel 1998, mentre la
prima mostra da lui curata dove questa si profila come tendenza è
Traffic, per il Museo di Arte Contemporanea di Bordeaux che
risale 1996.
Per una scelta operata di comune
accordo, per quanto ci riguarda, abbiamo invece stabilito di
racchiudere l'esperienza di Piombino tra la fine del 1984, quando
Falci, Fontana e Modica espongono per la prima volta l'opera a firma
collettiva
Sosta Quindici Minuti, ed il 1992, anno in cui
Falci, Fontana, Modica e Pietroiusti si presentano per l'ultima volta
come gruppo nella mostra curata da Catherine Arthus Bertrand per il
Museo d'arte contemporanea di Guirigny nel cui catalogo compare un
testo di presentazione da me scritto.
E' però vero che il concetto di Arte
Relazionale viene elaborato e formalizzato da Borriaud a partire dal
lavoro di molti artisti, come lo scomparso Felix Gonzalez-Torres, la
cui esperienza si allunga verso il decennio precedente quasi in
contiguità, dunque, con quella di Piombino.
Una prima idea dei rapporti che
intercorrono tra l'impostazione teorica del gruppo di Piombino e
quella dell'Arte Relazionale si può cogliere dal raffronto di due
passi, il primo tratto da una conferenza tenuta da Borriaud alla
Fondazione Ratti nel luglio 1995 e l'altro dal mio
Alice nel Paese
della Realtà, pubblicato come testo di presentazione della
mostra del Gruppo alla galleria Vivita di Firenze nel 1988.
Il mio primo caposaldo è
che credo fermamente sia difficile, oggi, rappresentare la realtà.
In un certo senso, penso che noi abbiamo oltrepassato la
rappresentazione della realtà: noi dovremmo produrla, la realtà.
Ovviamente un artista può continuare a rappresentarla, ma il
risultato dipenderà dalla maniera in cui intende questa operazione:
la rappresentazione non deve essere un fine in se stessa, ma uno
strumento all'interno di un meccanismo molto più complesso. Per
definire questo approccio, dovremmo usare la locuzione "realismo
operazionale": "realismo"
perché si tratta, comunque, di un atto volto verso la
realtà che è diretto a penetrarla, ma "operazionale"
perché la maggior parte delle opere d'arte oggi sono orientate a una
fuga dal mondo dell'arte in quanto tale e verso l'inserimento
all'interno di processi reali. (N.Borriaud, conferenza presso la
Fondazione Ratti, luglio 1995)
La trasformazione
dell'esperienza quotidiana che realizzano queste opere, nella misura
in cui rendono nuovamente problematiche le nostre relazioni con
oggetti e situazioni di largo consumo, è ottenuta a mezzo di
strategie 'morbide', che alla chiassosità effimera e un po'
carnevalesca dell'agit-prop
prediligono la meno rumorosa ma più sostanziale modificazione
subliminale.
In precedenti occasioni
ho definito questo passaggio come la transizione da un'arte politica
ad un'arte fatta in maniera
politica, vale a dire di un'arte che, pur orientandosi
decisamente verso la trasformazione delle realtà e delle pratiche
sociali, nondimeno conserva la propria autonomia, rendendosi
indisponibile ed inservibile a qualsivoglia strumentalizzazione o
azione di propaganda. (D.Nardone,
Alice nel paese della
Realtà, Firenze 1988)
Dal raffronto di queste
dichiarazioni teoriche emerge la possibilità di definire un campo
d'azione comune – il reale – in cui sia L'Arte relazionale sia
quella di Piombino tendono a dislocare la loro operatività.
Entrambe le posizioni
partono dal considerare superata l'arte come rappresentazione della
realtà e respingono questa funzione ai margini del suo orizzonte
teleologico a favore di una performatività del reale di cui l'arte
rivendica il suo far parte integrante.
Stante questo presupposto
comune, nella pratica gli artisti di Piombino e quelli cosiddetti
"relazionali" imboccano strade alquanto diverse. Il gruppo di Piombino si
struttura infatti come un'avanguardia. Chi entra a farne parte, a
prescindere dal ruolo che svolge, viene a trovarsi all'interno di una
sorta di cerchio magico che moltiplica le energie. Gli artisti vivono
a stretto contatto di gomito, si studiano, si annusano, l'idea
sviluppata dal lavoro di uno è immediatamente approfondita e
rilanciata dal lavoro dell'altro.
Per quanto mi riguarda,
avendo giocato per un periodo nella storia del gruppo il ruolo di
gallerista, ho già detto altre volte come vivessi il momento di
commercializzazione delle opere più che altro come divulgazione,
ogni vendita di un opera del gruppo rappresentava in realtà per me
un allargamento del consenso.
Quella che avevo definito -
mutuando il concetto da Godard che aveva detto "non bisogna più
fare film politici ma fare film in
maniera politica" –
una maniera politica di fare arte, si traduceva a livello pubblico in
prese di posizione da parte del gruppo che un tempo si sarebbero
definite "militanti", come rifiutare le mostre a cui era
invitata solo una parte degli artisti del gruppo o, come nel caso
della Biennale di Venezia del 1990, dove era stato invitato il solo
Stefano Fontana, nell'esporre nello spazio a lui riservato anche le
casse d'imballaggio delle sue opere che – anche se realmente
utilizzate come tali - dopo il trasporto erano diventate altrettante
opere di Salvatore Falci.
Dell'essere avanguardia il
Gruppo di Piombino presenta ovviamente anche i difetti: la coesione
interna di un'avanguardia si proietta infatti all'esterno come
intransigenza ideologica, in un crescendo paranoide che finisce per
determinarne l'autodistruzione per implosione. Pensate ad esempio
alle espulsioni dal movimento surrealista decretate a raffica da
Breton.
Il termine Arte Relazionale,
invece, indica più che altro una tendenza, un
modus operandi
che si riscontra e ricorre nel lavoro di alcuni artisti. Borriaud, in
particolare, l'unica volta che nel suo saggio usa il termine
avanguardia lo fa per sottolineare il carattere obsoleto dell'utopia
radicale e universalista implicata da questo termine.
Qualcosa dell'utopia
radicale delle avanguardie storiche e degli anni Sessanta persiste
invece ancora, a mio avviso, nella teoria e nella pratica del Gruppo
di Piombino, che piuttosto avvertono la modernità come progetto
incompiuto – per dirla con Habermas - anziché definitivamente
insterilito – e che sottendono in definitiva un progetto di
trasformazione del mondo attraverso la diffusione dei nuovi modelli
di comportamento a cui esse danno luogo.
Osserviamo adesso più in
dettaglio per quali aspetti un'opera classificata come "arte
relazionale" somiglia ad un opera piombinese e per quali ne
differisce attraverso il raffronto di
Turkish jokes, un'opera
dell'artista relazionale danese Jens Hanning, realizzata per la prima
volta nel 1994 e
Buono di prenotazione d'acquisto, un'opera di
Pino Modica del 1991.
Metto a raffronto proprio
queste due opere perchè entrambe affrontano la stessa tematica, vale
a dire l'integrazione delle minoranze etniche provenienti da paesi
poveri nelle società a capitalismo avanzato.
Nel 1994 Jens Haaning ha
diffuso per mezzo di un altoparlante una serie di storielle buffe in
lingua turca su una piazza di Copenhaghen particolarmente frequentata
da immigrati di questa etnia (
Turkish jokes). Successivamente
diverse versioni di questo lavoro sono state riproposte nel corso
degli anni in altre città (Oslo, Berlino, Mosca). Le storielle
diffuse dall'altoparlante erano sempre nella lingua madre di un
gruppo etnico presente in quota minoritaria nel tessuto sociale in
oggetto.
Come osservato da Borriaud,
ascoltare una storiella di cui possono comprendere il significato
modifica i modelli di relazione che intercorrono tra coloro che
parlano quella lingua e che si trovano in quel momento a passare
nella piazza. La particolare natura di queste storielle, viene da
aggiungere, tutte atte a suscitare il riso in chi le comprende,
determina una sorta di visualizzazione della rete di relazioni che si
viene a formare e a cui si connettono tutte le persone che in quel
momento sorridono.
Il formarsi di questa rete
di relazioni sottrae – anche se solo provvisoriamente –
l'emigrante all'isolamento della sua condizione di straniero in terra
straniera rendendolo nuovamente partecipe di una comunità
lasciandogli con ciò intravedere un nuovo modello esistenziale.
Nel 1991 – in
collaborazione con la Confesercenti e la CGIL Immigrazione di
Piombino – Pino Modica aveva finanziato 6 buoni di prenotazione
d'acquisto del valore di lit.250.000 l'uno. Questi buoni erano stati
distribuiti ad altrettanti cittadini extracomunitari tramite una
sorta di lotteria svoltasi presso i locali della sezione della CGIL.
I sei immigrati avevano potuto spendere i buoni in prenotazioni
d'acquisto presso un qualunque esercizio cittadino da loro scelto.
Successivamente, nel 1992, l'artista presentò in una mostra presso
le gallerie Alice e Il Campo di Roma, sei basi che raccoglievano
ognuna le merci scelte da ciascuno dei sei acquirenti
extracomunitari. Nel corso dello stesso anno, Buono
di prenotazione d'acquisto fu anche
selezionata per la grande mostra internazionale, Molteplici
Culture – 60
artisti invitati tra i quali figuravano Damien Hirst, Alfredo Jaar,
Marcel Odenbach, Henry Bond, Michelangelo Pistoletto e Alighiero
Boetti - curata
da Carolyn Christov Bagarkiev e Ludovico Pratesi al Museo del
Folklore di Roma, dove fu presentata con un diverso allestimento.
Con questa operazione
Modica andava ad alterare il modello percettivo che il commerciante
ha per solito dell'immigrato che, anzichè nelle più consuete vesti
di questuante, gli si presentava invece sotto il profilo
dell'acquirente. Contrasto reso più stridente dal fatto che gli
immigrati, lungi dall'orientare i propri acquisti verso generi di
prima necessità li orientarono decisamente verso generi di lusso
(scarpe Reebock, stereo portatile, etc.), i cosiddetti status symbol
del benessere nelle società occidentali. Fenomeno comunque del tutto
analogo a quello che si verificava nel corso degli “espropri
proletari” compiuti dal proletariato giovanile del movimento del
'77 a testimonianza dell'emergere nelle classi escluse di un bisogno
d'inclusione attraverso il possesso di oggetti e beni in qualche modo
superflui, cioè non strettamente legati al soddisfacimento di
bisogni primari.
Buono
di prenotazione d'acquisto è
probabilmente il primo caso in cui, nella pratica di Piombino, la
mostra si profila e appare come una ridondanza. Secondo la teoria
dell'arte di Piombino, infatti, la mostra in galleria non è altro
che il momento in cui i risultati di una pratica sperimentale
condotta al di fuori del campo istituzionale del sistema dell'arte,
vengono introdotti in questo sistema sotto forma di "comunicazione
congressuale" rivolta agli specialisti, al fine di operarvi una
modificazione culturale.
In un primo tempo, cioè,
l'operazione piombinese si svolge in un contesto del tutto normale in
cui nulla la connota esplicitamente come “artistica”,
coinvolgendo un pubblico eterogeneo di cui altera gli schemi
d'interazione abituali a livello subliminale, inserendo degli
elementi incongrui in situazioni apparentemente simili a quelle già
esperite innumerevoli volte e rispetto alle quali tale pubblico ha
sviluppato risposte automatiche e standardizzate.
La mostra in galleria non
fa altro che rievocare o se preferite narrare o riferire i risultati
ad un pubblico formato di specialisti di un evento che ha avuto luogo
in precedenza.
Questo, a ben vedere,
avviene anche nel caso dei
Turkish Jokes di Haaning. Vediamo
infatti poste a confronto le diverse modalità con cui l'operazione
di Modica e quella dell'artista danese vengono presentate al pubblico
dell'arte nel contesto di una mostra.
Jens Haaning,
Turkish Jokes, 1994
La presentazione di
Haaning come potete vedere è molto scarna: c'è la fotografia della
piazza in cui è stato istallato l'altoparlante accompagnata da un
testo che descrive l'operazione. Quasi in disparte, lasciato lì con
noncuranza l'altoparlante con arrotolato il suo lungo cavo. E' una
modalità di presentazione di tipo tardo concettuale volta ad
accentuare e sottolineare la smaterializzazione dell'opera d'arte.
Pino Modica,
Buono di prenotazione d'acquisto (particolare), 1992
Nella presentazione di
Modica, gli oggetti appaiono invece evidenziati e disposti
ordinatamente quasi come in un display di Steimbach, solo che qui
concorrono a definire i termini psicologici e socioculturali del
soggetto che li ha scelti e che non è l'artista.
H.Steimbach, Supremely black, 1995
Nella pratica di
Piombino infatti l'oggetto non esce del tutto di scena come spesso
avviene nell' Arte Relazionale (penso in ad esempio ad alcune opere
di Gonzalez-Torres come le pile di manifesti o i cumuli di caramelle
che il pubblico è invitato a prelevare determinando così la
progressiva scomparsa dell'oggetto) ma vi persiste ricaricato di
senso – o di una nuova aura come scrisse Carolyn Christov –
dall'uso che ne è stato fatto. Nella fattispecie questo uso consiste
nella semplice “scelta di acquisto” da parte di uno dei vincitori
della lotteria e che da queste scelte si trova ad essere ridefinito
come soggetto.
A proposito degli arazzi
di Boetti, Bourriaud osserva come l'artista “facendo lavorare
cinquecento operai tessitori (in realtà erano quasi tutte donne) a
Peshawar ha rappresentato/ripresentato il processo di lavoro delle
imprese multinazionali in maniera ben più efficace che non se si
fosse accontentato di raffigurarli o di descriverne i funzionamenti”.
Le ricamatrici
afghane retribuite dall'artista per realizzare gli arazzi, svolgono
in effetti un lavoro salariato che presenta
in maniera quasi paradigmatica tutte le caratteristiche che la
critica marxiana attribuisce al lavoro alienato. Le ricamatrici non
sono infatti proprietarie di quanto producono (che rimane di
proprietà dell'artista committente) ed eseguono in maniera
ripetitiva e coatta il compito loro assegnato, richieste di attenersi
a regole di cui ignorano il significato (ad esempio, nella maggior
parte dei casi, non sono neppure in grado di intendere il senso della
frase che ricamano a telaio).
Apparentemente,
intrattengono con il manufatto che producono con il loro lavoro – e
di cui ignorano l'alto valore di scambio - lo stesso rapporto di
estraneità che intratterrebbero con una scarpa Nike, se lavorassero
in una delle tante fabbriche che nel terzo mondo lavorano per questa
multinazionale.
Il processo di produzione
messo a punto da Boetti non si limita però alla mera critica
sociale, che pure esprime ripresentando – come osservato da
Bourriaud - all'interno del sistema dell'arte, il processo di
produzione delle multinazionali delle società a capitalismo
avanzato. Nel momento in cui gli oggetti così prodotti vengono
immessi nel mercato come arte, avviene una sorta di catarsi che
riscatta l'alienazione del lavoro svolto da chi li ha materialmente
realizzati.
Se infatti gli oggetti
prodotti di norma dai sistemi di produzione globale raggiungono il
massimo del valore di scambio quanto più sono aderenti e meno si
discostano dal prototipo ideale, nel caso degli oggetti d'arte
avviene esattamente l'inverso: raggiungono il massimo valore di
scambio quanto più è apprezzabile la loro unicità, quanto più
cioè si discostano dalla morfologia del prototipo di cui però
mantengono le caratteristiche essenziali. L'arazzo che contiene un
errore di lettera, involontariamente commesso da chi lo ha eseguito,
in altre parole, ha sul mercato un valore di scambio più alto del
suo omologo che non presenta questo errore. Lo stesso oggetto,
viceversa, se avesse dovuto essere inserito in un circuito di
mercificazione diverso dall'arte, sarebbe stato invece scartato o
venduto sotto prezzo in quanto difettoso. Tutte le deviazioni dalla
norma ed i piccoli errori - dalle disomogeneità e piccole
irregolarità di tessitura fino al più eclatante salto o errore di
lettera - che l'esecutore introduce suo malgrado nella realizzazione
dell'oggetto, emancipano quest'ultimo dalla condizione di oggetto
seriale determinandone quell'unicità che ne incrementa il valore di
scambio. Attraverso questa deserializzazione dell'oggetto,
l'esecutore riscatta il suo lavoro dall'alienazione, rivendicando con
forza la peculiarità del suo apporto al processo di produzione e con
essa la sua soggettività. Il sistema di produzione messo a punto da
Boetti per gli arazzi funziona quindi a tutti gli effetti come una
macchina di ri-sogettivazione per usare un'espressione di Guattari,
autore per altro molto caro a Borriaud.
Ma torniamo alla modalità
operazionale messa in luce da Borriaud a proposito degli arazzi e
cioè quella di rappresentare/ripresentare all'interno del sistema
dell'arte linguaggi e modelli relazionali tipici di altri settori di
attività del macrosistema sociale deprivandoli delle finalità (non
necessariamente di lucro) per cui sono sorti sottoponendoli
attraverso questa sorta di parodia che ne deriva ad una critica
serrata.
Tra gli artisti riferibili
all'area dell'Arte Relazionale che sfruttano questa modalità
operazionale Borriaud cita la Premiata Ditta e Ingold Airlines.
Nel 1990 Vincenzo
Chiarandà e Anna Stuart Tovini – per quanto usino il nome già dal
1984 – registrano la Premiata Ditta come società in accomandita
semplice. Almeno fino al 1995 i fini societari sono rivolti alla
promozione della ditta attraverso una serie di “autopresentazioni”
- con tutto il corredo di grafici, sondaggi presso il pubblico,
diffusione di gadget, etc. - che accompagna solitamente l'attività
di promozione d'impresa. In una stretta circolarità autoreferenziale
l'unica finalità della Premiata Ditta è quella di promuovere se
stessa e le sue attività coincidono con l'esistenza stessa dei due
soci.
“Fin dai primi tempi
il nostro modo di porci, impersonale perché con un marchio, e di
esprimerci era una reazione alla comoda vaghezza del sistema
dell'arte (...). Quello aziendale non appariva il solo linguaggio
dell’avversario perché quello poetico degli artisti che
decoravano il presente non era per noi meno fastidioso. Usare
nell’arte certe parole e definire chiaramente certi meccanismi era
un po’ come scoperchiare la pentola. Contemporaneamente vestire i
panni del mostro
rendeva evidente una realtà che nell’ambiente artistico e
culturale sembrava non toccare nessuno. L’aspetto pervasivo
dell’economia era, in buona o cattiva fede, ignorato. Il virus
assume i connotati della cellula che lo ospita, ma non fa finta,
diversamente non porterebbe nessuna modifica”. (da P.P.P. Premiata Ditta s.a.s. in Juliet, anno XXVI, n.127, 2006)
In
questa intervista del 1995, Chiarandà e la Tovini, esplicitano i
termini della critica serrata a cui l'operazione Premiata Ditta
sottopone i modelli di comportamento e di relazione della
sociocultura dell'economia postfordiana mediante la loro semplice
trasposizione all'interno del sistema dell'arte e deprivandoli di una
finalità. In altre parole, costringendo questi meccanismi a girare
fuori contesto e a vuoto ne viene messa a nudo la pervasività e
invadenza.
Nel
1995 la scoperta della rete e l'incontro con Emanuele Vecchia, un
esperto d'informatica, porteranno la Premiata Ditta alla creazione di
Undo.Net. Questo network è un data base che raccoglie esperienze
artistiche e testimonianze sull'arte da tutto il mondo mettendole in
contatto ed in relazione tra loro. Se la Premiata Ditta esisteva
grazie alla rete di relazioni che riusciva a stabilire, Undo.Net “è”
esso stesso una rete di relazioni senza più alcuna mediazione.
L'opera si smaterializza completamente e si risolve esplicitamente in
una rete relazionale. E' comunque vero che, con la coerenza che lo
contraddistingue, Chiarandà da qualche anno non definisce più il
suo ruolo come quello di artista anche se vi aggiunge l'aggettivo
“riconoscibile”.
Questa
possibilità di esercitare una critica sociale e politica sottraendo
ai modelli di comportamento standardizzati la loro apparente
finalità, è stata sfruttata anche dal Gruppo di Piombino ed in
particolare da Stefano Fontana.
L'Unione Depauperati Consapevoli di
Stefano Fontana appare per la prima volta nel 1996, con
l'installazione all'aperto di un banco per la raccolta di adesioni,
nel contesto della mostra Arte instabile a Bologna.
L'UN.DE.CO, nelle intenzioni
dell'artista, doveva essere una sorta di movimento politico virtuale,
la riproduzione fedele dell'aspetto esterno della forma partito,
realizzata mettendo in scena tutte le pratiche che ne caratterizzano
l'esistenza nella sfera sociale: tesseramento, manifesti di
propaganda, sito internet, spot pubblicitari, etc.
Il primo e unico punto del programma
dell'UN.DE.CO è però quello di non avere assolutamente nessun
programma.
Anche in questo caso l'artista
inserisce nella realtà una struttura formale – a cui corrispondono
i modelli comportamentali che definiscono la militanza politica –
svuotata del suo contenuto ideologico. Ciononostante questa struttura
si trova ad essere agita: le adesioni vengono realmente raccolte e
compaiono i primi militanti.
Dal 26 gennaio 2001, e per
tutto il mese successivo, la galleria Alice&Altrilavoriincorso di
Roma viene trasformata in una 'sezione distaccata' dell'Unione
Depauperati, in cui vengono svolte attività di tesseramento,
propaganda - attraverso la distribuzione di depliant, portachiavi con
il simbolo dell'Unione, spillette, adesivi, etc. - e raccolta fondi.
In concomitanza con il periodo di apertura di questa sezione
distaccata, l'Unione aveva anche realizzato uno
spot promozionale
della durata di circa 3 minuti che venne mandato in onda
integralmente dalla trasmissione televisiva Blob (RAI 3, 9-2-2001 ).
La galleria non viene più
utilizzata, come avveniva in precedenza nella pratica piombinese, per
esporre i risultati o narrare un evento che aveva avuto luogo altrove
e in un tempo antecedente ma viene piuttosto coinvolta nel processo
di produzione e trasformata essa stessa a tutti gli effetti in
sezione del partito.
Successivamente l'Unione
Depauperati lancerà una vera e propria campagna di protesta contro
l'edificazione di una diga lungo il corso del Cornia, che avrebbe
provocato la sommersione di alcuni comuni. Nonostante che questo
progetto non fosse stato in realtà mai avanzato da nessuno vennero
raccolte numerosissime firme in calce alla petizione di protesta. Con l'Unione Depauperati Consapevoli, Stefano Fontana esprime una critica radicale alla trasformazione della politica in una serie di comportamenti automatici e rituali che si attivano anche in totale assenza di contenuto e che conducono al suo risolversi in giudizi di gradevolezza televisiva. Le adesioni che questa organizzazione partitica priva di programmi reali pure riesce a raccogliere, rivela altresì - in maniera drammatica - il bisogno sociale di politica, intesa nel senso più autentico di confronto sui contenuti e non sulle maschere.
Unione
Depauperati Consapevoli
(un momento della
raccolta di firme contro la diga sul Cornia)