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domenica 2 febbraio 2020

Lucilla Meloni, Il Gruppo di Piombino: processualità, partecipazione involontaria e persistenza dell’opera


Il Gruppo di Piombino: processualità, partecipazione involontaria e persistenza dell’opera
di Lucilla Meloni

Relazione per il convegno “L'Arte Relazionale prima di Nicolas Bourriaud. Gli anni '80 e '90 in Italia: Gruppo di Piombino – Progetto Oreste -Stalker”, Macro Asilo, Roma 16 marzo 2019.
Pubblicato negli Atti del Convegno, a cura di Francesca Franco, Macro Asilo Diario, fasc. 16/03, Roma 2019.


   Che questa giornata di studio e di testimonianze avvenga dopo l’ “Underground eventualista” – gli incontri che hanno ripercorso la storia del Centro Studi Jartrakor, fondato da Sergio Lombardo a Roma nel 1977, nel quale si sono formati tanto Domenico Nardone che Cesare Pietroiusti, concorrendo allo sviluppo della Teoria eventualista formulata da Lombardo – è una fortunata coincidenza1.

Infatti proprio la necessità di una rivisitazione dei presupposti dell’Eventualismo porta Nardone, nel corso del 1982, a ipotizzarne un diverso sviluppo: a quel punto per il critico l’ “opera-stimolo” doveva varcare i confini del laboratorio, cioè di Jartrakor, per disseminarsi nello spazio pubblico. Decide dunque di fondare con Daniela De Dominicis e Antonio Lombardi la galleria militante Lascala, che sarà la sede in cui alla fine del 1984 il Gruppo di Piombino presenterà Sosta quindici minuti.
La mia riflessione ruoterà intorno alla singolare esperienza del Gruppo di Piombino, che negli anni ottanta ha sviluppato una ricerca completamente in controtendenza rispetto a una koiné incentrata sul primato dell’individualità e dell’autorialità.
In quel decennio infatti emerge nella pratica dell’arte l’urgenza di riappropriarsi dei linguaggi tradizionali e, concettualmente, il rifiuto della intenzionalità politica che aveva caratterizzato in molta parte il decennio precedente. Viene così riaffermata l’idea dell’opera d’arte intesa quale luogo auratico, portatrice di una distanza che recideva il filo, più o meno evidente, che aveva collegato le molteplici declinazioni dell’opera “partecipata”: in cui l’intervento del pubblico dell’arte o della gente comune portava a compimento, sempre in maniera consapevole, il progetto dell’artista.
In quel momento le pratiche di matrice collettiva diventano improvvisamente obsolete, legate al clima contestatario degli anni sessanta e settanta e anche per questa sua “solitudine”, la formazione del gruppo di Piombino è significativa.
Nato dall’incontro tra Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica e Domenico Nardone, cui si deve l’impianto teorico, ad esso si unisce poco dopo Cesare Pietroiusti. La sua storia, seppur breve, ha rappresentato infatti un originale intervento nella realtà, ha ricollegato arte e vita quotidiana, e ha comportato la ri-definizione dell’oggetto d’arte.
Se il gruppo eredita, dall’avanguardia e dalla neoavanguardia, la messa in campo della processualità come momento centrale del lavoro, rielabora poi questo passaggio in maniera del tutto inedita nella successiva formalizzazione dell’opera.
La prima novità rispetto alle formazioni collettive del decennio precedente, di cui proprio qui al Macro Asilo abbiamo parlato nel convegno di novembre2, è la presenza costitutiva della critica militante e la messa a punto di una teoria dell’arte che si sostituisce agli aspetti politici e ideologici.
Gli esiti formali del gruppo possono essere senz’altro inclusi in una storia dell’ ”arte partecipata”, nel senso di un’opera d’arte alla cui realizzazione abbia concorso, oltre all’artista, un altro o altri soggetti. Ma ciò che rende singolare il tipo di partecipazione messa in atto dagli interventi dei piombinesi, è la sua natura involontaria, come spiega bene Nardone, che nel 1988 scrive: «[...] In primo luogo spicca l’assoluta involontarietà con cui le azioni della gente entrano a far parte integrante dell’opera: in linea di massima, coloro che camminano sui pavimenti di Falci, manipolano i materiali di Fontana, scarabocchiano o deformano gli oggetti che poi Pietroiusti ingigantisce o giocano al calciobalilla di Modica, ignorano la predisposizione che gli oggetti hanno»3.
Tale peculiarità degli oggetti messi a disposizione e il principio di involontarietà distinguono nettamente la pratica del gruppo dalle intrusioni nella realtà svoltesi nel decennio precedente, che si avveravano per lo più in luoghi socialmente e politicamente connotati e avevano una finalità chiaramente ideologica. Al contrario, gli oggetti e i contesti scelti dai piombinesi appaiono banali nella loro quotidianità.
Infatti i dispositivi predisposti, oggetti comuni lievemente modificati che l’autore ha sottratto al circuito della funzionalità, sono inseriti nei luoghi della vita: bar, cabine telefoniche, negozi, spazi urbani.
Se l’artista è colui che predispone uno stimolo, come le “prove materiali” di Fontana, come le tovaglie di Pietroiusti (N Titoli, 1987), come il Rilevatore estetico di Modica, o che fissa lo svolgersi di atti quotidiani, come accade nei Pavimenti o nei Letti di Falci, l’opera è compiuta solo se il dispositivo inserito nel contesto è stato agito entro un certo lasso di tempo; pertanto, dal punto di vista concettuale, la sua riuscita è ipotetica perché soggiace all’intervento, o meno, di un pubblico.

I Letti di Salvatore Falci (1989) esposti nella mostra Conwith alla galleria Casoli-de Luca, Roma, 2019
 
Ad ogni modo, c’è la persistenza dell’opera d’arte, che è ancora un oggetto: non è più l’ “evento” instabile, soggetto a decadenza e a saturazione dell’Eventualismo e non si è ancora rarefatta nelle trame della realtà, come avverrà di lì a breve nell’arte relazionale, come nei Pensieri non funzionali di Pietroiusti, o nelle camminate degli Stalker.
Immersa nel presente, l’opera include sempre una doppia temporalità: quella del processo e quella dell’artista che lo blocca.
Fissa nel suo supporto, presenta i gesti automatici, le attitudini comportamentali, le tracce lasciate da differenti soggetti in altrettanti ambiti e mette in luce il rapporto, più o meno subliminale, con gli oggetti d’uso e di consumo.
C’è poi la sperimentazione sulle materie e l’emergere di nuclei di significato altrimenti sconosciuti; viene svelata la differenza, nella risposta allo stimolo, fra l’atteggiamento consapevole e quello involontario.
Alla fine del processo l’opera può essere esposta nella galleria e nel museo e dunque entra a far parte a pieno titolo del sistema dell’arte; i titoli per lo più descrivono semplicemente l’oggetto che accompagnano e a volte, come in alcune opere di Pietroiusti, coincidono con la giornata in cui si compie l’azione.
In questo percorso come si definisce il ruolo del coautore inconsapevole che “partecipa” al progetto? Che si trova di fronte ad oggetti “traditi”?
In quella che è stata definita come “opera partecipata”, colui che interagisce ha una fisionomia ben precisa e in alcuni casi arriva ad orientare il lavoro o in un modo o nell’altro; ma qui, dove l’artista, ossia l’oggetto modificato, sembra anzi in certi casi beffarsi del suo utente? Nardone intitola, non a caso, una mostra del gruppo: L’arte di ingannare (Galleria Il Prisma, Siena 1986).
Concludo su questo titolo perché mi piace e sembra che bene sintetizzi una poetica: la messa in atto di una strategia “morbida”, come aveva scritto Nardone in un testo di presentazione, suffragata da una teoria dell’arte e da una metodologia creativa che hanno permesso a queste opere di diventare oggetti strani, a volte un po’ ludici, liberati dalla catena della funzionalità, ambigui e perciò più interessanti, o di presentarsi come il palcoscenico di un teatro su cui gli attori hanno lasciato le tracce delle loro azioni.
Terminata l’esperienza del Gruppo, la cui ultima mostra collettiva risale al 1991, Cesare Pietroiusti e Salvatore Falci saranno protagonisti dell’arte relazionale, in cui il gruppo si fa comunità fluida e provvisoria, in cui la figura dell’autore si stempera nella orizzontalità dei ruoli, in cui la messa in pratica di differenti strategie operative renderà infine marginale il ruolo della critica.

1 Cfr. M. Mirolla (a cura di), Underground eventualista, Macro Asilo, Roma 8-15-23-30 gennaio 2018; 7-13-20 febbraio 2019.
2 Cfr. L. Meloni (a cura di), Italia anni Settanta: gruppi, collettivi d’artista, spazi autogestiti nel decennio della contestazione, Macro Asilo, Roma 8-9-10 novembre 2018.
3 D. Nardone (a cura di), Salvatore Falci Stefano Fontana Pino Modica Cesare Pietroiusti (Firenze, Galleria Vivita - Milano,  Studio Casoli, 6 febbraio - 2 aprile 1988), Galleria Vivita-Studio Casoli, Firenze-Milano 1988, p.8.



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