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mercoledì 17 febbraio 2016

Simona Antonacci, L’altra Roma negli anni Ottanta. L’Eventualismo e il Gruppo di Piombino, un confronto.

Simona Antonacci, L’altra Roma negli anni Ottanta. L’Eventualismo e il Gruppo di Piombino, un confronto, tesi di specializzazione in Storia dell'arte, Università degli studi di Siena, Siena 2011.


La tesi ricostruisce e mette a confronto la storia di due esperienze che si sviluppano a Roma nel corso degli anni Ottanta: quella del Centro Studi di Psicologia dell’Arte Jartrakor, fondato da Sergio Lombardo nel 1977 nel suo studio di via dei Pianellari, e gli interventi urbani del Gruppo di Piombino, il quale a partire da Roma ha una diffusione a livello nazionale fino all’inizio degli anni Novanta.
Il primo, nel quale si formano Anna Homberg, Domenico Nardone e Cesare Pietroiusti, si configura da subito come uno spazio di ricerca e sperimentazione intorno al rapporto tra arte e scienza, da cui prende forma la Teoria dell’Evento. Formulato sulle pagine della “Rivista di Psicolgia dell’Arte”, l’Eventualismo concepisce l’opera come un evento che scardina i modelli percettivi omologati: le opere sono stimoli da sottoporre al pubblico come esperimenti al fine di attivare risposte individuali differenziate, che vengono indagate e analizzate attraverso un rigoroso metodo scientifico.
Motivato a portare questo tipo di sperimentazione nello “spazio della realtà”, Nardone si distacca da Jartrakor nel 1983, per fondare, insieme a Daniela De Dominicis e Antonio Lombardo, la galleria Lascala: il suo progetto di scardinare i confini tradizionali dello spazio espositivo si evolverà con Lascala c\o, concepita come spazio espositivo itinerante accolto, in una prima e unica tappa, nel ristorante Il desiderio preso per la coda. L’ipotesi “militante” condotta da Nardone – che opera a un tempo come gallerista, critico e compagno di strada degli artisti - si incontra con l’attività di tre giovani artisti piombinesi che, nella provincia toscana, avviano una sperimentazione nello spazio urbano. Svincolati dall’interesse per la riaffermazione del paradigma del quadro e per gli aspetti soggettivistici, espressivi, stilistici del fare arte, Salvatore Falci, Stefano Fontana e Pino Modica sono impegnati in operazioni di osservazione, e poi stimolazione, dei comportamenti spontanei del pubblico. Tra il 1983 e il 1991 il Gruppo di Piombino, formato dai tre piombinesi più Cesare Pietroiusti che si unirà nel 1987, mette in atto esperimenti nello spazio urbano secondo una modalità di intervento subliminale con cui il pubblico interagisce in modo inconsapevole. A partire dal 1987, grazie all’incontro con il gallerista milanese Sergio Casoli, il gruppo partecipa alle principali mostre dedicate alla giovane generazione “emergente”.

Nel ricostruire, nei primi due capitoli monografici, la storia di questi due fenomeni sia mediante l’approfondimento delle teorie di riferimento, sia la ricognizione sulle opere e sugli eventi espositivi significativi, la tesi propone nel terzo capitolo un confronto tra le due. Entrambe le esperienze costruiscono la propria poetica su un versante antitetico rispetto ai movimenti “ufficiali” che animano il panorama artistico della capitale, attraversata da fenomeni come la Transavanguardia, il gruppo di San Lorenzo e l’insieme delle esperienze citazioniste, accomunate dal recupero di mezzi tradizionali e dal ritorno all’opera come oggetto finito e autoriale: a differenza di queste sia l’Eventualismo che il Gruppo di Piombino propongono una linea “di avanguardia” che, attraverso un modello operativo di gruppo e un’elaborazione teorica rigorosa e condivisa, rappresentano un’alternativa vitale quanto celata nel panorama romano. Distanti dal punto di vista dell’ambito d’azione e nelle pratiche di intervento, i due fenomeni condividono il progetto di attivare nell’individuo un’esperienza creativa libera dai comportamenti stereotipati imposti dalla società dei consumi: all’artista il compito di attivare questo processo attraverso un azione che, nel recuperare alcune prassi partecipative degli anni Settanta (sebbene mondate da intenzionalità dichiaratamente ideologiche o politiche), anticipa le pratiche “relazionali” che si affermeranno con pienezza negli anni Novanta.


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