Trilogia di una città sconosciuta
di Domenico Nardone
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Questo
di Domenico Nardone, assai meglio d’ogni romanzo non necessario,
può essere definito, prendendo in prestito un’espressione propria
della tradizione narrativa letteraria, un esempio di imperdibile
“catasto magico”, in quanto racchiude, custodisce e immagazzina,
illimitatamente, con lo stesso puntiglio di un collezionista di
memorabilia, l’intero scibile (o quasi) della nostra storia recente
e trascorsa. Un po’ come accade con il mondo animale al Museo
Civico di Zoologia se s’apre su via Aldrovandi, non lontano da via
Paisiello, dominio dei Parioli e del quartiere Salario, la stessa
strada che all’alba del 3 febbraio 1960 conobbe la morte di Fred
Buscaglione, la sua Ford “Thunderbird” coupé modello 1959 rosa a
schiantarsi…
Un
volo narrativo radente sull’Urbe. Mitologia, anagrafe,
catalogazione, una scia memoriale, topografia residenziale romana,
puntiglio da coroner, sorta di “Guida Monaci” della città dei
pittori, delle figure oscure e dei semplici astanti davanti alla
fermata del 628 (per tutti, a Roma, inspiegabilmente, il “sei e
ventotto”). Poi Giorgio De Chirico accanto alla Tomba di Cecilia
Metella, e perfino il profilo dell’imperatore Commodo.
Un
romanzo “topografico” che lascia intravedere addirittura
l’ingresso, era il 4 giugno del 1944, delle truppe Alleate del
generale Clark e la sua jeep, precisando che non entrarono
dall’Appia, semmai dalla Casilina, costeggiando la borgata del
Pigneto dirigendosi verso Porta Maggiore dov’è la Tomba del
Fornaio, ciò che nel tempo sarebbe divenuto simbolo di
gentrificazione cittadina; le ceneri e la poltiglia non meno
memoriale del film “Accattone”, lì girato.
Un
“prontuario” di storia dell’arte, del vivente e insieme una
mappa di ciò che Roma è stata, dove perfino l’Hemingway,
trascorso locale capitolino di via delle Coppelle figura nel
racconto, insieme al ricordo dei suoi residenti notturni, l’artista
Gino De Dominicis fra loro.
Diversamente
da molta letteratura da “truccabimbi”, il romanzo di Nardone
brilla invece come un “baedecker” storico, cronistico,
esistenziale, restituendo perfino memoria del “Rugantino”, il
locale di viale Trastevere, già viale del Re, dove “nasce” la
dolce vita, trasfigurato poi in affollato McDonald’s e infine,
adesso, agenzia di banca.
Per
chi non ne fosse al corrente, anche il pittore Mario Schifano
affermava che la luna non sarebbe mai stata sfiorata dal Lem
dell’Apollo 11, semmai una semplice messa in scena degli studios di
Hollywood.
E
molte altre cose e memorabilia ancora nel nostro
romanzo-faldone-museo, compresa la citazione del night “Il
Pipistrello”, le sue luci non meno lunari, se non da pianeta rosso,
spettrografia d’ogni possibile suggestione sessuale.
Questo
di Domenico Nardone, va divorato allo stesso modo del libro ormai
introvabile su Eugenio Cefis, pagine “nere” che avrebbero
suggerito a Pier Paolo Pasolini il romanzo incompiuto postumo
“Petrolio”. Grazie a lui, la “città”, ci appare infine
svelata.
Fulvio Abbate
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