Adeguamento del ruolo della galleria al contesto artistico e sociale: il caso de Lascala
di P.F. Angeleri e Leo Carlesimo
Relazione in rappresentanza di Lascala c/o.al convegno Il nuovo sistema dell'arte, Internazionale d'arte contemporanea , Milano 26-28 maggio 1987.
La galleria Lascala nasce in pieno clima di Transavanguardia e vi si contrappone con rigore e fermezza di intenti. Alla dissoluzione del senso della storia, che rinchiude l'artista nella prospettiva di un operare artistico, che non può essere che un rifare, in quanto reso avulso dal contesto storico-critico, Lascala contrappone il progetto di una ridefinizione dei modelli e delle metodologie di analisi del comportamento estetico.
Negli anni 1982-1985 Lascala contribuisce a costruire una nuova generazione di artisti, il cui operare mostra caratteristiche consimili più ad un ricercatore scientifico che a un artista. Oggetto del loro lavoro non è più la realtà interiore dell'artista, ma bensì i rapporti che egli, inteso come qualunque, intrattiene con le cose, intese come qualsiasi cosa. Questo rapporto è affrontato e analizzato per il tramite di strumenti di misura, i quali sono disegnati per essere sensibili all'errore, inteso quale scarto dal grado zero. In questo nuovo modo di procedere l'artista si confronta con gli elementi fondanti del suo operare.
L'artista diviene progettista, disegna, costruisce sperimenta macchine, che altro non sono che strumenti concepiti per rilevare scostamenti di comportamenti dalla norma, intensità di azioni, che vengono registrate solo se al di sopra di un valore di soglia, forme e manifestazioni di creatività involontaria. Ma gli artisti non sono gli unici protagonisti, il critico stesso documenta il proprio lavoro d'indagine ed analisi delle metodologie e degli strumenti dell'operare artistico.
In questa fase, Lascala ha, per così dire una configurazione di tipo tradizionale, e costituisce il luogo dove le risultanze sperimentali vengono illustrate e macchine e strumenti esposti.
Tuttavia l'aver constatato che la galleria, quale sede della fase di documentazione, avulsa dal contesto naturale nel quale nasce ogni esperimento, non costituisce contenitore asettico, ma bensì contesto connotato di valori storico-funzionali, ha posto le premesse per la trasformazione de Lascala nella attuale configurazione, cioè in un luogo altro dalla galleria.
E' evidente che una galleria militante non si pone né come vuoto contenitore disposto ad accogliere ed a sostenere operazioni artistiche di matrice diversa, né tantomeno come semplice intermediario di mercato tra produttori – eventualmente appartenenti ad un'area più o meno omogenea – e consumatori di opere d'arte.
Al contrario, la galleria, strettamente connotata dal credo estetico del gruppo di artisti che essa sostiene, ne assume coerentemente tutte le conseguenze, derivando da queste la sua identità e le direttrici del suo modus operandi.
Il gruppo di artisti attualmente legato alla galleria Lascala – il cui nucleo principale, composto da Falci, Fontana, Modica e Pietroiusti è presente in questa Fiera internazionale d'arte contemporanea nell'ambito della sezione “Nuove gallerie milanesi” - individua come oggetto del proprio lavoro l'ambiente, inteso quale elemento condizionante dell'esperienza estetica, ambiente che diviene, di volta in volta, ora il campo di indagini di tipo comportamentale, ora ricettore di interventi tesi, in diversa misura, a mutarne la dinamica o ad evidenziarne aspetti altrimenti ignoti. Nascono su questi presupposti lavori imperniati su forme di creatività spontanea – eventualmente sollecitata o manipolata dall'artista – (le tovaglie e le scatole di Pietroiusti, i vetri di Falci), o sul set di risposte che l'artista stesso è in grado di ottenere inserendo in un dato ambiente opportuni “oggetti di stimolo”, ovvero progettando operazioni miranti a suscitare e registrare un determinato tipo di interventi ( i camminamenti di Falci, il rilevatore estetico di Modica, i contenitori di Fontana).
Se l'artista, uscendo non solo fisicamente dal suo atelier, elegge l'ambiente che lo circonda a mileau della sua opera mirando a ridefinire per questa via il suo stesso ruolo, allo stesso modo la galleria, all'interno della quale egli espone i suoi lavori, deve subire una metamorfosi parallela. Nei primi anni della sua attività, Lascala si identificava con un luogo fisico all'interno dl quale venivano tenute delle mostre, articolate in una regolare stagione; l'esposizione del lavoro dell'artista si svolgeva dunque in un ambiente espressamente deputato a questa funzione e chiaramente connotato ad essa. Questa definizione di luoghi e funzioni, che ha certamente il pregio della chiarezza, si è rivelata tuttavia a lungo andare un limite sia al ruolo che la galleria era in grado di svolgere – in termini di presentazione e diffusione del lavoro degli artisti – sia all'attività degli stessi artisti, trasformandosi via via in un freno all'evoluzione delle loro opere. La galleria d'arte insomma, intesa come luogo eplicitamente ed unicamente deputato all'esposizione, sembrava in questo caso rimanere irrimediabilmente in arretrato rispetto al lavoro degli artisti; e la fase espositiva sembrava trasformarsi non in un momento di diffusione, ma nel suo contrario, in un momento di chiusura, trasferendo tra le rigide pareti di una galleria lavori nati all'interno e in funzione di un contesto più ampio.
E' sulla scorta di questo logoramento della galleria intesa in senso tradizionale, che è maturata l'esigenza di ridefinirne, almeno parzialmente, il ruolo ed il modo di operare, sia trasferendo l'esposizione in un luogo non strettamente designato ad ospitare mostre, sia modificando l'accezione stessa del termine galleria, che viene ad indicare una unità mobile, più legata al lavoro dei suoi artisti – e funzionale ad esso – che ad un luogo specifico e, soprattutto, ad un pubblico specifico. Ne è nato il bar-gallery presso il quale Lascala ha tenuto le sue mostre nella stagione '86-'87.
Il bar-gallery - “Il desiderio preso per la coda”, dal titolo di una commedia di Picasso – è stato inaugurato nel novembre '86 con una live action e successiva mostra di Terry Fox e Marino Vismara; sono seguite la mostra di Ettore Innocente “Chiunque...” , e, dopo un breve interludio durante il quale “Il desiderio preso per la coda” è stato sede di una operazione-esperimento di Stefano Fontana, le due mostre di Cesare Pietroiusti (“N titoli”) e di Salvatore Falci (“Azioni costanti”); l'ultima mostra, attualmente in corso, è intitolata “I Rulli”, e Renato Mambor vi espone lavori degli ultimi anni '60.
Per descrivere sommariamente i punti sui quali verte l'attività della galleria Lascala ci è sufficiente rienumerare quelli su cui verteva l'attività della galleria di Durand-Ruel, che può essere considerato a buon diritto l'antesignano del mercante moderno: mostre individuali e collettive in galleria, fondazione di riviste specializzate con funzioni critiche, contratti con i pittori con l'acquisto di parte della propria produzione, organizzazione di mostre all'estero, etc.
Quanto il bar, il caffè sia legato alla storia dell'arte moderna – come luogo d'incontro e di discussione per gli artisti, e talvolta anche come sede di esposizione – è probabilmente inutile ricordarlo; basti pensare al Cafè Guerbois degli impressionisti o, senza allontanarsi troppo, al vecchio Jamaica qui a Milano. Al di là di questa vaga legittimazione storica, tuttavia, più semplicemente il bar risponde all'esigenza di un luogo aperto, frequentato da un pubblico di composizione più eterogenea rispetto a quello che una galleria tradizionale è in grado di catturare, e in generale di un ambiente più profondamente inserito in un contesto (urbano) che lo accoglie. Che si tratti di un'esigenza nata direttamente dal gruppo che a Lascala fa capo, e dunque come adeguamento della galleria al ruolo e ai metodi dei suoi artist, è già stato sottolineato a sufficienza. Tra le conseguenze di questo trasloco della galleria, di questa sua diversa collocazione, due sono quelle che qui si intende evidenziare.
La più immediata è la disponibilità di un luogo che possa fungere non solo da sede espositiva, ma anche da laboratorio, ove sia consentito agli artisti di porre in atto i loro esperimenti (progettati, come temi a soggetto, sull'interazione con un ambiente tipo, in questo caso lo stesso bar). In questo senso, il bar possiede quei requisiti di neutralità che alla galleria fanno difetto; infatti non solo esso è frequentato da un pubblico più vario, ma, ovviamente, è frequentato in modo diverso. Dai ready-made di Duchamp conosciamo il potere che una galleria esercita sugli oggetti che accoglie, e quali capacità possieda di alterare il nostro modo di percepirli. Questo potere agisce sul pubblico in modo difficilmente controllabile; chi si reca in galleria, sa ancora prima di entrare che ciò che va a vedere (o a fare) è comunque parte di una mostra, e chiaramente condizionato da questa coscienza matura in base ad essa una serie di aspettative. Come laboratorio dell'artista, la galleria è un luogo fortemente connotato, e i risultati degli esperimenti ne sono chiaramente distorti. Le tovaglie di Pietroiusti – che raccolgono una serie di interventi di avventori del bar sulla base di disegni-stimolo tracciati dall'artista – possono essere prese ad esempio di questo genere di operazioni-esperimento progettate sull'ambiente (lo stesso ambiente che, in un secondo momento, ospiterà il risultato dell'operazione). In questo caso, tra l'altro, uno degli aspetti messi in luce è precisamente l'influenza che la consapevolezza di “essere visti”, di partecipare con il proprio contributo ad una vera e propria mostra, esercita sugli interventi operati dal pubblico. Assai diverso sarebbe stato il senso di un'operazione analoga realizzata in galleria ( cosa che del resto lo stesso artista aveva fatto alcuni anni prima, presentandola però sotto forma di test.
Il secondo elemento da tenere presente, deriva dal fatto che il bar-gallery è evidentemente un luogo ibrido, che vive sul filo di una doppia identità, perchè assolve contemporaneamente a due funzioni assai diverse tra loro. Queste non possono mai integrarsi perfettamente; né devono farlo. La dialettica tra uso conviviale ed uso estetico dello stesso ambiente è l'elemento che più di ogni altro sancisce la differenza rispetto alla galleria tradizionale. Nel bar-gallery, è il primo che apparentemente prevale sul secondo (eccezion fatta per le serate di vernice), ed anche questo è ragionevole; senza stravolgere l'abitus consueto del luogo che la ospita, la mostra tuttavia lo trasforma, riaffiora costantemente al di sotto della patina abituale del locale.
Questa invasione non distruttiva che conserva all'ambiente-ospite (qualunque esso sia) il suo statuto pre-galleria ma vi dissemina le trappole escogitate dall'artista, è forse l'obiettivo principale dell'abbandono della galleria come sede stabile di esposizione e, rispondendo ad una evidente esigenza di espansione, assume i caratteri di una parziale colonizzazione. E' chiaro, su questa base, che la scelta di un luogo altro dalla galleria non può presentarsi come un'iniziativa estemporanea, ma deve assumere la solidità e la durata minime di un progetto. Allo stesso modo, come la mostra si sposta dalla galleria propriamente detta per approdare ad un bar, non vi sono ragioni per cui debba necessariamente restarvi; si possono immaginare – con l'unica innovazione della sistematicità – gallerie mobili ospitate dalle hall degli alberghi, dalle sale d'imbarco degli aeroporti, dai locali di uno shopping-center.