relazione per il convegno
l'Arte d'ingannare
di Domenico Nardone
Istituto di Estetica, Università degli studi di Siena, maggio 1986
Il mio intervento prende le mosse da un'osservazione che, dopo aver ascoltato le relazioni che mi hanno preceduto (1), chiunque può compiere con facilità.
Vi invito cioè a soffermarvi sulla natura delle esperienze-base su cui intervengono i tre oggetti-stimolo di cui si è parlato sin'ora.
Provo ad evidenziarlo e a metterlo in forma schematica:
I Contenitori ideologici di Fontana, ad esempio, intervengono su un'esperienza-base che è individuabile nello stendere ed imbucare una missiva;
Gli Itai-doshin di Falci, viceversa, vertono sull'esperienza-base di trovarsi attorno ad un tavolo presumibilmente in condizioni di relax;
Osservare attraverso un'apertura costituisce infine l'esperienza-base su cui interviene il Rilevatore estetico di Modica.
A questo punto vorrei estendere un minimo il raggio d'osservazione e considerare, sotto il profilo dell'esperienza-base che vi si trova coinvolta, qualche altro esperimento estetico.
Comincerei da Sosta Quindici Minuti, che è un esperimento del 1984 ed è il frutto di una collaborazione tra i tre artisti presenti:
5 sedie di tipo pieghevole, ciascuna di un colore diverso (giallo, rosso, blu, bianco e nero), vennero collocate nei Giardini della Biennale di Venezia, il giorno dell'inaugurazione. Le sedie erano completate da una iscrizione, posta in basso anteriormente, che recitava – in italiano e in inglese - sosta quindici minuti.
I parametri di valutazione dell'esperimento erano costituiti dunque da:
A) Le percentuali secondo cui il pubblico avrebbe scelto di sedersi sulla sedia di un colore anziché di un altro;
B) Le percentuali con cui il pubblico avrebbe rispettato o trasgreditol'istruzione che limitava il tempo di permanenza sulle sedie.
A livello di risultati l'esperimento rivelò da parte del pubblico una certa preferenza per il colore giallo (24%), più significativo, ad ogni modo, fu il dato relativo al “disprezzo” per la sedia bianca, scelta solo dal 14% del campione.
Per quanto riguarda l'istruzione, essa fu rispettata nell'80% dei casi.
Può essere interessante notare come la percentuale di trasgressioni fosse quasi completamente a carico della componente femminile del campione.
L'esperimento testè descritto appartiene alla classe di esperimenti detti di “scelta estetica obbligata”; tali esperimenti pongono il pubblico nella condizione di dover compiere una scelta tra alternative funzionalmente equivalenti ( le sedie, nel nostro caso, sono identiche nel design, cosicchè nessuna delle cinque risulta in alcun modo più confortevole o comoda delle altre).
La scelta del pubblico avviene pertanto unicamente in funzione di un parametro estetico (il colore).
In riferimento al tema di questa riflessione ciò che interessa , ad ogni modo è che l'esperienza-base di questo esperimento è rappresentata dalla scelta della sedia su cui sedersi o, più semplicemente, dal sedersi.
Descriverò adesso alcuni esperimenti accomunati dal fatto che in tutti l'oggetto-stimolo è costituito da un cartello segnaletico:
1. Il primo di questi è MSEO ART CNTMPO che è un esperimento del 1983 di Marino Vismara.
Trenta cartelli – identici nell'impostazione generale a quelli recanti delle indicazioni turistiche – vennero disposti, sfruttando gli spazi disponibili negli appositi supporti, nella città di Firenze.
Per comprendere appieno il senso di questo intervento è necessario aggiungere che a Firenze – nonostante una delibera del consiglio comunale che ne preveda la costituzione, stanziando dei fondi e assegnandogli degli spazi – non esiste un Museo d'Arte contemporanea.
2. Lavori in corso è invece un esperimento di Andrea Lanini che risale al 1981.
Si tratta di un segnale stradale di pericolo in cui la consueta silhouette dell'omino che spala la terra è sostituita da quella dei personaggi rappresentati nell'Angelus di Millet che, nella composizione, gli somigliano vagamente.
Come annotazione occorre aggiungere che questo segnale venne collocato in prossimità della GNAM a Roma, accompagnato da una lettera, affissa sul retro indirizzata ad uno dei critici del museo.
Dopo circa un mese di esposizione, grazie ad alcuni passanti, l'attenzione di questo critico, che era passato per trenta giorni dinanzi al segnale senza accorgersi di nulla, fu finalmente richiamata sulla missiva a lui indirizzata.
3. Da ultimo, inserisco una strana scoperta da me fatta in tempi piuttosto recenti, che purtroppo non sono riuscito a documentare ed approfondire come avrei desisderato.
Un paio di mesi fa, passeggiando per le strade di Roma, sollevando lo sguardo notai una targa stradale su cui era scritto Piazza degli Sfratti di Trastevere. La targa, dal mio punto di osservazione, sembrava identica in tutto e per tutto a quelle normalmente in uso a Roma.
Solo avvicinandomi notevolmente scoprii che la targa in questione, anziché essere di marmo, era di polistirolo. A questo punto la riconobbi come falsa e guardandomi attorno potei identificare, in una posizione molto più defilata, la targa che recava il vero nome della piazza.
Successivamente notai anche come la targa falsa fosse collocata sul muro di un palazzo occupato e potei comprendere come questa singolare iniziativa s'integrasse nel quadro delle lotte intraprese da un locale comitato per la casa.
Per meglio cogliere il grado di raffinatezza presente nella messa a punto di questa targa – che, a buon diritto possiamo considerare alla stregua di un oggetto di stimolo – è opportuno aggiungere che, a Roma, Piazza delle Fratte di Trastevere esiste realmente.
E' chiaro infatti come, la possibilità di sfruttare questa assonanza, aumenti il grado di congruenza al contesto di questo manufatto, grado di congruenza che, come sappiamo, permette all'oggetto di superare la diffidenza del pubblico e, successivamente, di espletare la sua funzione di stimolo.
Credo che a nessuno di voi, ad ogni modo, sfugga l'esistenza di una certa affinità tra le procedure utilizzate da questo comitato di lotta per la casa e quelle seguite dagli esperimenti estetici di cui si è parlato sin'ora. Ci sono tuttavia delle differenze: il comitato di lotta per la casa, per certi versi, ha fatto con la sua targa dell'arte applicata, perchè si è servito di questa procedura per divulgare un messaggio determinato – nella fattispecie di protesta contro gli sfratti - e per indurre nel pubblico una reazione predeterminata, l'eventuale sostegno o adesione alla lotta.
L'arte, viceversa, a livello di ricerca si distingue dall'arte applicata proprio per l'assenza di finalità così precise e prevedibili, esprimendo essenzialmente la tensione puramente euristica del ricercatore.
La mia piccola scoperta, in ogni caso, rivela una, a mio avviso sorprendente, contiguità tra i risultati prodotti nei laboratori dell'avanguardia e le forme in cui si esprime oggi la protesta sociale.
Ma torniamo al nostro discorso principale. Ricapitolando, abbiamo estrapolato da tutti gli esperimenti citati le seguenti esperienze-base:
scrivere ed imbucare una lettera
stare attorno ad un tavolo
osservare qualcosa attraverso un'apertura
sedersi
imbattersi in un cartello segnaletico
Non è difficile riconoscere in tutte queste esperienze alcune di quelle più frequenti e comuni della vita quotidiana. Scopriamo così il terreno d'azione dell'arte.
Nelle situazioni esistenziali in cui l'esperienza si fa più stereotipata e ripetitiva, dove essa si consuma e si dissipa nei piccoli riti del quotidiano, là dove è più elevato il rischio di comportamenti automatici e reazioni standard, là è il topos dell'arte, là il suo spazio d'azione.
Le modalità con cui l'artista può intervenire sono state ampiamente discusse. E altrettanto chiara dovrebbe apparirvi la trasformazione dell'esperienza che questo intervento opera: una situazione familiare, consueta, giudicata priva d'imprevisti si trasforma repentinamente in una situazione imprevedibile e perturbante. E' come se sul piano levigato su cui scivola quotidianamente, senza trovare appigli, la nostra esperienza, si aprisse all'improvviso un crepaccio che la inghiotte, nel corpo di un oggetto che, gettata la maschera dell'utensile, torna a costituire un problema.
Messi in chiaro il dove ed il come, si delinea la possibilità di ricavare una ulteriore, interessante, risposta. Intravvediamo cioè quella che probabilmente è la ragione profonda dell'arte, la natura del bisogno primario, della domanda che la precede nel corpo sociale.
Il bisogno fisiologico dell'uomo di sottrarsi ad una esistenza automatizzata, pianificata nei minimi dettagli, scevra d'imprevisti, cristallizzata nelle stereotipie e nella ripetizione passiva dei comportamenti di massa.
Ed è esattamente questa, la tendenza involutiva della nostra civiltà, che i grandi utopisti negativi della prima metà del secolo – Orwell, Zamjatin e Huxley – hanno individuato e denunciato nei loro apocalittici romanzi, qualcosa forse di più terribile della stessa peste atomica.
Ma oggi, se permettete, è la stessa cronaca che comincia a dar corpo alle profezie letterarie. In tutte e tre le citate anti-utopie troviamo infatti un dato costante: il soggiogamento e lo svuotamento dell'eros, attraverso la sua rigida pianificazione, la sua degradazione a compito di routine.
Bene, la cronaca ci sbatte oggi in faccia l'annichilente progetto dell'assessore all'Urbanistica di Napoli, quel suo “parco dell'amore”, geometricamente ordinato in piazzole, separate l'una dall'altra da siepi, zelantemente sorvegliate da solerti guardiani e magari, chissà, anche con un disco orario che limiti il tempo di permanenza...
L'arte, a fronte di questa tendenza involutiva, si profila come l'unico anticorpo potenzialmente efficace. A patto, sia chiaro, di darsi nuove regole, di mutare le sue procedure, rifiutando qualsiasi riserva, qualsiasi ghettizzazione in luoghi previsti e deputati, per attraversare continuamente, imprevedibile ed imprevista, l'ordinario quotidiano.
Solo così essa sarà in grado di assolvere pienamente alla sua funzione: produrre deviazioni dalle norme, produrre, in definitiva, comportamenti creativi.
(1) Prima di me Falci, Fontana e Modica avevano presentato le loro relazioni.