H.Bond, S.Calle, W. Doherty, S.Falci, S.Fontana, C.Marclay, P.Modica, C.Pietroiusti, S.Samore
galleria Alice e galleria Il Campo, Roma
Studio Casoli, Milano
galleria Marco Noire, Torino
invito
E' da qualche tempo, già, che le cose sono cambiate.Ancor prima che lo “scudo nel deserto” si fosse trasformato il “tempesta nel deserto”, ancor prima che si sparasse in Croazia, portando la guerra in un “primo mondo” che si credeva da essa, ormai, immune, passiamo più tempo davanti al telegiornalee meno a pensare a quanto sia “astratto” ed “iperreale” il mondo. Più tempo sbalorditi dinanzi alla complessità ed imprevedibilità della vita che non a disquisire sull'arte in un'epoca postindustriale e postmoderna. Non soddisfa più, infatti, il modello conoscitivo derivato dalla sensazione dell'inautenticità dell'esperienza contemporanea, così come pare una tremenda ingenuità vedere il mondo progredire armoniosamente verso una economia telematica globale ed una cultura della pura “simulazione”.
Dopo il senso di liberazione (o di lutto) che si è espresso come perdita del moderno, delle ideologie, dell'ordine mondiale bipolare e delle grandi narrazioni, osservare la ricchezza e la molteplicità dell'esistenza è inevitabile. Ma non si ricostruisce un punto di vista unitario, né un' ideologia coerente. Si sviluppa, invece, la capacità di incorporare la ricchezza e la complessità di innumerevoli punti di vista, di micro-ideologie e modelli di vita, come i frammenti di una bomba che volano in mille direzioni, dopo un'esplosione.
Circa dieci anni fa, ci si divertiva a guardare raffinate citazioni e burle del varietà televisivo, contenti che la presa di coscienza del mezzo televisivo finalmente operava di se stesso. Sono anche, e non a caso, gli anni di una pittura di colta intertestualità, che macina stili delle avanguardie e della tradizione. Sono gli anni in cui si sviluppa una scultura oggettuale ed architettonica che evidenzia la perdita del reale in un mondo dove anche gli oggetti sono pura immagine, pura superficie. Ma da qualche stagione ci si appassiona per i video fatti da amatori che la CNN trasmette, oppure per la ricerca di persone qualunque, sparite e ricercate dai familiari in diretta. Come portava il berretto il vecchietto che si è perso a Trastevere? Cosa pensano i russi davanti al panificio vuoto?
L'artista scruta il reale, preleva campioni, spia comportamenti. Si avvicina ad esso in modo curioso, quasi da scienziato, ricercando le identità altrui come un antropologo, moltiplicando i punti di vista, cercando nell'Altro se stesso.
C'è chi si fa ascoltare da dietro una porta, chi paragona il taglio delle bocche, chi ci fa sentire minacciati nel nostro stesso sguardo inquisitore, lungo una strada dell'Irlanda del Nord. C'è chi raccoglie le fotografie dimenticate nei laboratori fotografici e mai ritirate, chi si fa assumere come cameriera in un albergo per studiarne gli ospiti a loro insaputa e chi visita gli appartamenti. C'è chi raccoglie messaggi telefonici, chi le traccie nei bar, e c'è chi studia i percorsi dei detriti nelle vie di una città.
La mostra “Storie” è nata da simili considerazioni, raccolte priam come appunti sulla rivista Flash Art int., nel maggio 1991. Successivamente, dietro suggerimento di Domenico Nardone, sono diventate una mostra a Roma, Milano e, poi, Torino. La lista degli artisti partecipanti è, come sempre, un po' casuale. Avrei voluto ce ne fossero molti altri. Mi sarebbero piaciuti, per esempio, gli accumuli di realtà vissuta che ricostruisce in mostra Laurie Parsons. “Storie” è solo una delle possibili ipotesi, fortunatamente aperta e provvisoria.
C. Marclay, 80 East 11th street, galleria Alice per Storie, 1991
Nella fotografia si notano sia, sulla sinistra, il rappezzo di cartongesso che fu necessario realizzare per adattare la porta di Marclay agli stipiti di quella della galleria, sia, sulla destra, le etichette che indicavano autore e titolo dell'opera.
P.Modica, Bar Giuliani, galleria Il Campo per Storie, 1991
Il lavoro consiste nel rendere visibili le tracce lasciate sugli oggetti dagli avventori del bar Giuliani durante le consumazioni e nel rilevare la posizione in cui sono stati trovati questi oggetti dopo l'uso. Il tutto seguendo scrupolosamente il processo usato normalmente dalla polizia scientifica.
P. Modica, Bar Giuliani, 1991, particolare
Veduta del bancone del bar Giuliani
Sam Samore, Categorie del corpo (labbra), stampa fotografica b/n, cm. 60x150, 1990-1991
Cesare Pietroiusti, Visite
Il mio progetto per la mostra "Storie" a Roma consisteva in visite guidate presso gli appartamenti privati che si trovavano nello stesso palazzo dove era la galleria, in via della Minerva 5. Due degli otto appartamenti furono aperti, uno apparteneva ad un giornalista che occupava l'attico e l'altro era la casa di un' ottica, a livello del mezzanino. Il giornalista mi lasciò le chiavi e non era presente la sera dell'evento, l'ottica scelse di continuare la sua normale vita famigliare con i suoi figli. Eravamo comunque d'accordo che la visita si sarebbe limitata all'ingresso del suo appartamento, così separai quell'ambiente dal resto dell'appartamento per mezzo di cordoni oltre i quali erano visibili ma non accessibili le altre stanze. Le visite guidate ebbero luogo tra le 19.00 e le 21.00 del giorno dell'inaugurazione della mostra, l'8 maggio 1991. Circa ottanta persone furono da me accompagnate in piccoli gruppi di cinque dieci persone alla volta. (vedi anche Visite e l'opera effimera)
Sophie Calle, L'Hotel chambre n. 25, 2 pannelli cm. 104x144 cad., tecnica mista, 1983
Sophie Calle mette in atto una vera e propria indagine a partire dagli indizi forniti da camere d’albergo. Nel 1981, per un periodo di tre settimane, si fa assumere come cameriera presso un albergo di Venezia. Durante la pulizie delle stanze esamina gli effetti personali degli ospiti, indagando tutte le tracce lasciate, dai rifiuti, ai diari, agli abiti usati e puliti.
Da questa esperienza l’artista ricava una serie di opere dal titolo Hotel, composte ognuna da due pannelli: in uno è inserita la fotografia della camera come si presenta prima di essere occupata, accompagnata da una descrizione dello stato in cui si trova nel momento in cui l'artista entra per rigovernarla, nell'altro sono disposte alcune fotografie che documentano le tracce rinvenute.
Da questa esperienza l’artista ricava una serie di opere dal titolo Hotel, composte ognuna da due pannelli: in uno è inserita la fotografia della camera come si presenta prima di essere occupata, accompagnata da una descrizione dello stato in cui si trova nel momento in cui l'artista entra per rigovernarla, nell'altro sono disposte alcune fotografie che documentano le tracce rinvenute.
Nel lavoro dell’artista, però, non c’è la freddezza analitica del detective, ma una "presa in carico" dell’esperienza, in una sorta di affezione spontanea e imprescindibile nei confronti del protagonista di una storia (come avviene quando si legge un libro), protagonista la cui personalità viene ricostruita, anzi reinventata dall’artista a partire dalle tracce personali. Un modo di rimanere "implicati", anche affettivamente, nella rete di tracce create dall’interazione con la realtà. (Simona Antonacci)
Henry Bond, One Hour Photo, 1990
stampa
fotografica a colori (ciascun elemento cm. 10x15), dimensioni variabili.
Veduta dell’istallazione realizzata per la mostra Storie
presso la galleria Il Campo di Roma.
L’opera è composta da una serie di stampe fotografiche
mai ritirate dagli autori e raccolte dall’artista nei laboratori di “sviluppo e
stampa in un’ora” di Londra.
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