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martedì 28 giugno 2011

Space Invaders, il possibile appuntamento, 2010

Space Invaders, il possibile appuntamento
di Simona Antonacci

pubblicato in http://www.artapartofculture.net/, 23 ottobre 2010

Date appuntamento ad un amico di un amico che non conoscete in un’ora e in un punto preciso della città. Nessuna persona lo aspetterà, purtuttavia questo possibile appuntamento che lo ha condotto in un luogo che può sia conoscere sia ignorare, lo indurrà ad osservarne i paraggi, a chiedere informazioni ai passanti o a muoversi in direzioni inconsulte, realizzando una deriva inconsapevole”.
On a pu en même temps donner au même endroit un autre rendez-vous possible à quelqu’un dont il ne peut prévoir l’identité. Il peut même ne l’avoir jamais vu, ce qui incite à lier conversation avec divers passants. Il peut ne rencontrer personne, ou même rencontrer par hasard celui qui a fixé le rendez-vous possible. De toute façon, et surtout si le lieu et l’heure ont été bien choisis, l’emploi du temps du sujet y prendra une tournure imprévue.”
Guy-Ernest Debord, Theorié de la dérive, 1956.

fotografia di Jessica Stewart
   La mostra InvaderRoma 2010 and other curiosities curata dall’Associazione culturale Wunderkammern (23 ottobre – 21 dicembre 2010) presenta per la prima volta nella capitale una personale dedicata a uno dei più famosi urban artist internazionali.
40 città invase. Oltre 2000 invasioni effettuate con successo. Quello di Invader non è un semplice intervento di street art ma uno strategico progetto di arte pubblica.
Nato nel 1969, Invader lavora dalla fine degli anni ’90 al progetto di un’invasione pacifica del mondo attraverso le sue opere. Tale invasione è messa in atto attraverso l’inserimento di mosaici, ispirati all’arcade game Space Invaders, sviluppato da Toshihiro Nishikado nel 1978. Questi interventi, collocati in punti pianificati dall’artista secondo criteri ora estetici ora concettuali, sono concepiti come parte di un reality game globale a cui il visitatore è invitato a partecipare. Ad ognuna delle sue invasioni, anonime e documentate con mappe dettagliate, sono associati un determinato punteggio e un alias, duplicato fedele dell’intervento realizzato.
Immobili come icone bizantine, gli Space Invaders ammiccano dagli angoli dei palazzi di tutte le più grandi capitali mondiali, ritratti fedeli di un’intera popolazione di alieni passati dallo stato di immaterialità virtuale del pixel a quello di calda fisicità iconica. L’astratto e dissolto codice binario, fluido e originario DNA degli invasori, si sublima e si fissa nei tasselli del mosaico, come incantato da un esperimento alchemico che ribalta il meccanismo di originale e simulacro.
Adottando una strategia volutamente ambigua, gli interventi di Invader citano i meccanismi pervasivi della pubblicità nella società capitalistica e allo stesso tempo la contraddicono. Gli invasori si insinuano furtivamente nel flusso caotico delle immagini delle nostre strade, imitando la strategia dei loghi, diffusi e riconoscibili, ma in questo caso anonimi, senza marchio, personalizzati. Quello degli invasori infatti è un logo che cambia sempre, ritratto in piena regola di un’entità immaginaria, ancestrale nella sua astrazione e classico nella sua tecnica, ma assolutamente e, finalmente, contemporaneo.
L’invasore cattura l’attenzione di chi è capace di riconoscere in esso un simbolo familiare, materializzando una figura presente nell’immaginario collettivo della generazione a cavallo degli Ottanta, che scopriva l’interfaccia uomo-macchina come nuova fonte visiva.
Con la loro strategia di appropriazione virale, questi mosaici strutturano nuovi link, disegnano un videogioco reale, un détournement rivisitato, una caccia al segnale interferente, in cui i passanti\consumatori sono giocatori attivi.
La disseminazione degli invasori, frutto di una vera e propria pianificazione strategica d’attacco allo sguardo, modella così nuovi percorsi nello spazio collettivo, attivando una pratica di spiazzamento, rottura, interferenza. L’invasore ci invita a guardarlo, a seguirlo, a catturarlo ma allo stesso tempo suggerisce di ampliare lo sguardo per osservare il contesto visivo circostante e infine a rimandarlo indietro per soffermarci sulla nostra situazione emotiva in quel particolare contesto architettonico e urbano.
Attraverso segni che definiscono particolari punti psicogeografici dello spazio urbano, il progetto di invasione si struttura così come modello di percezione emotiva della città, “Appuntamento possibile” con il nostro modo di sentire lo spazio pubblico.


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