Lo Savio campione, Lo Savio c'è
Roma, 1994-1995
La scritta murale mi
aveva sempre incuriosito perché si trattava di un tipo di
comunicazione nella quale lo scrivente era confrontato con una
situazione limite le cui condizioni - massima efficacia comunicativa,
estrema velocità d’esecuzione - erano abbastanza ben definite. Il
rischio che la sintesi sconfinasse nel criptico non poteva però
essere escluso: per uno interessato all’inferenza un campo
d’indagine quasi-ideale. Oggi purtroppo questa pratica è un po’
in disuso, il graffitismo ha reso un po’ desueta questa forma e
ormai è raro vedere scritto da qualche parte “Forza Juve” o
slogan politici. Mi chiedevo come potesse funzionare una cosa del
genere rispetto all’arte, ovvero se modificando i soggetti di
quelle frasi, ma anche agendo sulla loro consuetudinarietà, si
poteva determinare il corto-circuito del “progetto” comunicativo
giacente dietro una scritta murale. Pensai al nome di Francesco Lo
Savio, figura decisamente poco nota a confronto dell’importanza
storica della sua opera. Trovavo che fosse un nome calzante, più di
altri. Quindi feci una campionatura delle scritte esistenti e le
détournai inserendo
il soggetto Lo Savio in luogo di “Roma”, “Lazio”, etc.. Una
volta ebbi un divertente scambio con Domenico Nardone. Lui, da bravo
Piombinese, mi rimproverava di non aver documentato questa azione;
io, da bravo scettico, replicavo che documentare “la scritta” era
da feticisti e che l’essenza di quel lavoro, se c’era, non poteva
essere documentata: era così, prendere o lasciare. Che è poi quello
che scrissi a conclusione di questa esperienza e che mi motivò a non
proseguire quel tipo di ricerca.
Ad ogni modo gli indicai
un luogo a Trastevere dove (forse) avrebbe potuto trovarne una e lui
fece la fotografia ad un “Lo Savio
Campione!”. Un’altra foto, anch’essa
scattata da un’altro/a, ha avuto gli onori della cronaca, o il
disonore perché si trattava di un opuscolo sul vandalismo grafico a
cura del Comune. Ma il più rilevante esito relazionale fu quello che
documentai nei pressi di Porta Pia. Si tratta di un quartiere
tradizionalmente di destra. In deroga al progetto che prevedeva che
si scrivessero solo alcune frasi e solo quelle, vergammo Camerata
Lo Savio: Presente!, uno standard della
letteratura murale fascista. Meno di quarantotto ore dopo la scritta
era sparita, resa illeggibile, cancellata. Questo secondo me è il risultato più importante di quell’esperimento, l’unica testimonianza del fatto che qualcuno aveva capito che qualcun altro stava cercando di inflazionare un determinato repertorio gergale. I ragazzi di destra avevano concluso che Lo Savio non era un camerata da celebrare, che la scritta poteva dare luogo a pericolosi fraintendimenti e quindi la cancellarono.
È l’unico caso del genere, perché tutte le altre scritte o sono ancora lì, o sono state ripulite, o coperte dai lavori di rifacimento delle facciate. Diciamo che la retorica di destra si presta abbastanza bene a questo tipo di détournement perché è molto aulica, ma anche involontariamente buffa nel suo voler essere asciutta, marziale. “Lo Savio Mit Uns” è quasi poetico! Invece i ragazzi di sinistra sono sempre stati un po’ più beceri, le solite stupidaggini come “+ case – chiese”.
(conversazione con Roberto Galeotti riportata in Eric De Paoli, L'Arte relazionale e la coscienza, tesi di diploma, Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, Anno accademico 2012-213, pagg. 229-231)
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