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domenica 19 giugno 2011

Ann Veronica Janssens, Ann Veronica Janssens, 1989

Ann Veronica Janssens
Ann Veronica Janssens, ottobre 1989

testo in catalogo di Marianne Van Leeuw
galleria Alice




Less is more – Less is more again

   C'è, come in Godard, che scriveva le grandi linee della scena da recitare la notte che precedeva la ripresa, una volontà di narrare altro che ricordi, la realtà del luogo del momento, equivalente a quella minimalista che cerca di stabilire un principio secondo cui il significante è funzione dello spazio esterno, in opposizione al minimalismo concettuale espressione di un “io privato” o appunto di concetti.
Esiste poi una serie di opere che utilizzando i materiali – mattoni senza cemento eretti come “muretti scavalcabili” - in termini di linee, vettori e limiti definisce un paradigma. In prima istanza la costruzione esiste soltanto in funzione del senso che le viene concesso, poi tutti gli spazi sono aperti o chiusi, compresi tra queste due possibilità. L'artista articola le proposte spaziali fino a formare delle tautologie , capaci di permettere l'identificazione delle sensazioni diffuse che dispensa lo spazio. Così, ad esempio, nell'opera realizzata per la mostra “ Intentie en rationale vorm” (1987), costituita da un muretto a secco che ripeteva a un metro di distanza esattamente il perimetro di una sala in cui uno dei muri mancanti dava direttamente sul vuoto., contraddicendo di fatto la convenzione dell'interno come riparo, perchè soltanto rimanendo all'esterno di questa costruzione si era fisicamente protetti dalla caduta. Nell'opera realizzata per la mostra “Verening voor het museum van hedendaagste kunst te Gent” (1989), in cui un muretto a secco riproduceva inesattamente il perimetro di una sala, definendo un rettangolo con una gradinata, che cirsconscriveva uno spazio in maniera da rendere visibile l'uguaglianza tra esterno e interno: l'”anfiteatro” così determinato era la piazza millenaria, la scena dove il senso si gioca.
Ciò che è religioso nella religione non è unicamente Dio, è il rituale; ciò che è religioso fuori dalla religione è il rituale. Se non è mai stato un segreto per nessuno che la complicazione del rituale è sempre indicativa di una flessione della fede, nell'arte la ridondanza formale, esplicitamente demistificata, è oggi esplicitamente accettata, largamente praticata con (e non è la stessa cosa) o senza illusione.
Di questa autocompassione/compensazione naturale, di questa affettazione che consiste nel considerare vivibile l'assenza di contenuto ma non quella del contenente, l'assenza di Dio ma non la sua morte, rimane la spiacevole abitudine di non considerare l'opera che in funzione del suo peso – inteso anche alla lettera.
Tuttavia la bellezza del lavoro di Ann Veronica Janssens non consiste nella dematerializzazione come apriori formale, come la bellezza del rituale chabbatico non consiste nel non prendere l'ascensore, cosè come la “semplicità” della poesia iperrealista non è interessante in sé. Ciò che unisce queste costruzioni è che non sono da guardare ma da utilizzare per vedere il luogo, il soggetto, il sole delle giornate. Senza ulteriori rimandi.

Marianne Van Leeuw

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